
Giorgia Bonafini è un’alumna Univr laureata in Scienze e tecnologie viticole ed enologiche e oggi si occupa di digital marketing per Vitevis, società cooperativa agricola che unisce quattro storiche cantine nelle province di Vicenza e Verona. Ma come si comunica il mondo del vino? Per l’ex studentessa del nostro ateneo è fondamentale conoscerne i metodi di produzione, ed è per questo che nel suo curriculum vitae non mancano esperienze sul campo, o meglio, in vigna, a “sporcarsi le mani”.
Ciao Giorgia, parlaci un po’ di te e del tuo percorso formativo.
Mi chiamo Giorgia, sono un’enologa anche se attualmente mi occupo di marketing all’interno di Cantine Vitevis, gruppo di cantine sociali cooperative dislocate tra le province di Verona e Vicenza. Il mio percorso è partito con il liceo scientifico alle Stimmate di Verona, dove ho iniziato a gettare le basi scientifiche della mia preparazione. All’epoca ancora non c’era in me la passione del vino e credo sia difficile per chiunque averla a 15 anni. Mio papà è sempre stato appassionato di vino, ha sempre messo la bottiglia in tavola e anche la nostra cantina di casa ne è sempre stata ricca. In più, anche il paese dove sono cresciuta è, dal punto di vista paesaggistico, un territorio viticolo. Quindi, anche se la passione ancora non era subentrata, posso dire che ero già in qualche modo inserita in questo mondo.
Finita la maturità, un amico mi chiese perché non provassi a iscrivermi a Enologia. Io, al tempo, non sapevo nemmeno cosa fosse, a essere sincera. Mi sono informata e mi son detta che sarebbe stato bello come corso, peraltro in una sede davvero affascinante come quella di Villa Lebrecht. Ho tentato il test superandolo subito e sono stata ammessa. Il primo anno è stato molto improntato sulle basi scientifiche, il vino non si vede, ma ero preparata adeguatamente provenendo da uno scientifico. Ho tenuto botta fino a quando, a partire dal secondo anno di corso, non si è iniziato a parlare di vino e lì mi si è aperto un mondo. “Che figata, mi piace!”, ho detto. Così ho proseguito fino alla laurea!
Come ti sei avvicinata al mondo del lavoro?
Durante e dopo la triennale all’Università di Verona, ho fatto esperienze pratiche in cantine come Bertani a Grezzana ed Eleva a Sant’Ambrogio di Valpolicella, due momenti formativi importanti perché nella prima esperienza ho approfondito tutti gli aspetti tecnici affiancando l’enologo e stando in laboratorio mentre, nella seconda, essendo una cantina più piccola, ho affrontato un po’ di tutto: amministrazione, contabilità, affiancavo gli agenti e portavo i clienti a fare le degustazioni.
Quando è arrivato il Covid, ho attraversato un periodo di profonda riflessione: dovevo decidere se continuare con la parte produttiva tra cantina e laboratorio che non mi permetteva, però, di essere molto a contatto con le persone o se seguire la mia indole artistica e relazionale cambiando, quindi, mansione. Dentro di me sentivo la necessità di cambiare, da lì la decisione di iscrivermi a un master dell’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, incentrato prevalentemente sulla comunicazione, non strategica ma giornalistica. Ho affrontato temi, secondo me, molto innovativi, che mi hanno fatto pensare, una volta uscita di qui, che avrei voluto fare proprio questo nella vita.
Ma prima, ho voluto tornare per un periodo a seguire la produzione perché penso che per comunicare bene un vino devo prima capire bene come si fa. Così, ho fatto la vendemmia a Pantelleria: è stata molto dura perché c’erano alberelli bassissimi e mi sono “spaccata” la schiena.
Come contorno alla mia attività lavorativa, porto avanti anche alcune collaborazioni: con alcuni amici mi occupo della produzione di contenuti per un blog su Instagram che tratta di realtà enogastronomiche venete da noi selezionate, mentre per un magazine online scrivo di vita serale e notturna a Verona e provincia.
Per il resto, ho tantissime passioni: suono la batteria, canto, dipingo… faccio un po’ di tutto.
Mi sembra di capire che questo tuo lato artistico influenzi anche il tuo lavoro…
Non è così semplice in realtà, perché quando si entra in una cantina sociale, entri in una cantina che è molto radicata alle tradizioni, così come le persone che ci lavorano dentro. Non è facile ma si cerca sempre di apportare qualcosa di nuovo o, perlomeno, di proporlo. Ma non demordo, penso che in generale tante cose stiano cambiando.
Durante i miei anni di studi ho avuto modo di confrontarmi con diverse visioni della comunicazione del vino. Una di queste è legata alla storia dell’arte che, in apparenza, potrebbe apparire estranea al mondo del vino. Nonostante ciò, un mio professore diceva che questa disciplina, meglio di qualsiasi altra spiegazione estetico-filosofica, può spiegarti meglio concetti come prospettiva, misura, potenza ma anche quello che è il termine più difficile da usare nel vino: classicità. Tramite i quadri, come per esempio La flagellazione di Cristo di Piero Della Francesca, riuscivamo a comprendere meglio, solamente osservando, cosa significa un concetto, come la fissità temporale, per esempio. Sì, quelli elencati sono tutti termini che si possono associare anche al vino. Esce dagli schemi, non è il solito linguaggio standard caratterizzato dalla ricerca dell’oggettivo.
Ovviamente, avendo studiato Enologia, so che il vino ha parametri oggettivi misurabili ma, quello che cambia – e la gente non sempre lo capisce – è la percezione del vino, perché ognuno di noi ha genetica, cultura e abitudini diverse. Anche se degustiamo lo stesso prodotto, io avrò una sensazione e tu ne avrai un’altra. Poi c’è tutto il mondo della sommellérie nel quale più ci si allena e più si riesce ad avvicinarsi a questa oggettività, però, alla fine, il gusto è soggettivo. È dimostrato scientificamente. L’oggettività e la soggettività della percezione del vino sono tematiche molto attuali.
Come si svolge il tuo lavoro alle Cantine Vitevis?
Io mi occupo di marketing, ma non quello strategico. Seguo l’organizzazione di eventi, un po’ la parte dei social network, le attività relative alle guide enogastronomiche, l’ufficio stampa e anche l’ufficio prodotto. Per quest’ultima mansione, nello specifico, lavoro a delle etichette affiancata da più aziende di grafica. Gestisco cinque mail e devo passare continuamente da una all’altra. Con il tempo ho capito che per gestire tutto al meglio devo iniziare una cosa e finirla prima di iniziarne un’altra, altrimenti non si riesce a tenere testa a tutto. Il mio è sicuramente un lavoro molto dinamico, si addice molto a chi vuole vivacità nel proprio ruolo. È anche un lavoro che richiede sacrificio: lavoro lontana da casa, a Gambellara, ogni giorno faccio novanta chilometri e il tempo per suonare la batteria o pitturare è sempre meno. Allo stesso tempo, sono molto soddisfatta di quello che sto facendo, perché nel giro di pochi anni credo di aver acquisito una quantità di conoscenze e di esperienze non da poco.
Quale abitudine ti porti dietro dai tuoi anni di studio?
Direi la capacità di gestire attività molteplici e diverse. Quando studi all’università ti trovi tante materie da dover studiare anche contemporaneamente e tante lezioni da frequentare, per cui l’organizzazione negli studi è fondamentale, così come lo è sul lavoro. Le varie mansioni che svolgo all’interno del mio ruolo sono come tante materie diverse, quindi devo avere la capacità di gestirle e di avere una mente lucida per scandire le diverse attività, ognuna con il giusto tempo e la giusta attenzione.
Di cosa pensi che abbia bisogno il mondo del vino e cosa serve sapere a chi vuole lavorare in questo settore?
Sto notando che la base di tutto è l’aspetto umano, al di là di tutti gli studi e le esperienze. Ciò che conta è come ti comporti e ti rapporti con le persone. Va mantenuto sempre un mood positivo, con clienti e colleghi. L’università deve insegnare anche questo, perché se poi non vivi nel modo giusto il tuo lavoro, ti ritroverai spesso a chiederti se hai fatto la scelta giusta. Per chi studierà nel settore del vino negli anni a venire, auspico che i corsi di studio offrano anche materie che, anche se non strettamente legate al vino, possono aprire sempre più la mente di chi frequenta.
Oggi, a mio avviso, c’è poca conoscenza tra i giovani di cosa vuol dire fare l’enologo. Quando inizi non sai bene che il primo periodo è una vera gavetta che, in questo settore, non è fare fotocopie, ma è fare notevoli sacrifici in cantina, con tubi, pompe, sporcarsi… a me diverte tutto ciò, ma nel lungo periodo può stancare. Se ci sono ragazzi che, come me, riescono ad adattarsi facilmente ma non hanno un’idea chiara di cosa è il lavoro e la prospettiva futura nell’ambito del vino, va data loro la possibilità di poter comprendere le mansioni che si possono svolgere in questo settore e le tante sfaccettature che lo caratterizzano.
Quale consiglio daresti a chi sta studiando o si sta laureando nel tuo settore e non solo?
Io ho studiato recitazione e consiglio a tutti di fare un corso di recitazione, anche se non vuoi fare l’attore. Fatelo! Ti insegna a stare in mezzo alla gente, ad avere meno inibizioni. Se, per esempio, farai l’enologo, sei sicuro che prima o poi ti chiameranno a una conferenza a parlare, ci sono sempre occasioni di questo tipo.
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