Giovanni de Manzoni, una carriera medica a Verona… per scelta

Laureato in Medicina e chirurgia nel 1986 e specializzato in Chirurgia d’urgenza, il Prof. Giovanni de Manzoni ricopre dal 2018 il ruolo di Direttore del Dipartimento di Scienze Chirurgiche Odontostomatologiche e Materno-Infantili dell’Università degli Studi di Verona. Il suo racconto a 360 gradi rivela l’importanza di avere una cultura umanistica per affrontare la professione medica e per trasmettere valore alle generazioni future di medici. 

Prof. De Manzoni, ci racconti la sua storia.

Mi chiamo Giovanni de Manzoni. Sono nato a Verona, ho studiato a Verona, vivo a Verona, lavoro a Verona e ho fatto carriera a Verona… nonostante sia piccola, la nostra città offre delle possibilità di sviluppo internazionale paragonabili solo ad altre grandi città. Al liceo classico non ero il più bravo della classe. Sono sempre stato un amante delle materie umanistiche eppure, all’ultimo anno di liceo, nel momento della scelta, è scattato dentro di me qualcosa che mi ha fatto propendere per una disciplina ben diversa, la medicina.

Qual è quel fattore che la motiva ogni giorno a venire a lavorare?

Potrei elencare più di un fattore, ma il primo è sicuramente il rapporto con il paziente. La mia curiosità, poi, mi permette di imparare ogni giorno dalle sfide che si presentano nel lavoro che svolgo. Oltre alla professione medica, svolgo anche il ruolo di docente, grazie al quale mi trovo circondato da studentesse e studenti volenterosi di imparare. Lavorare in un ospedale universitario ti dà la possibilità di assistere al ricambio generazionale e per me è entusiasmante poter trasmettere ai giovani “l’arte” della nostra professione.  

C’è qualcosa che si porta dietro dal periodo di studi?

Ho frequentato e mi sono diplomato al Liceo classico “Maffei” tra gli anni Settanta e Ottanta prima di iscrivermi alla facoltà di Medicina all’Università degli Studi di Verona. Aver studiato greco, latino, storia, filosofia mi ha aiutato durante il percorso universitario perché sono materie fondamentali a costruire una base per tutti i meccanismi di ragionamento. Ricordiamoci che anche la medicina è ragionamento, non è una scienza esatta, ha dei margini di errore. Stiamo attenti a non impoverire troppo i nostri studi perché in realtà restituiscono sempre qualcosa. Il lavoro di analisi che fa un medico è fondamentale e deriva sicuramente da un insieme di vissuto personale, storia professionale e preparazione culturale. 

Spesso chi si laurea preferisce guardare all’estero, ma quanto è ancora valido “giocare in casa” oggi? 

Quando i ragazzi vanno all’estero, spesso lo attribuiamo a un errore di sistema. Credo invece che molti dei migliori rimangano qui a “lottare”. Il problema è trovare un maestro che ti guidi lungo la strada da percorrere e questo non è semplice, ma non solo nel nostro Paese. Sicuramente rimanere in Italia è più difficile per una serie di ragioni ma, allo stesso tempo, è un percorso più formativo. A un ragazzo che vale consiglierei, appunto, di restare. 

Perché oggi si fatica o ci si rifiuta di accettare la sconfitta per progredire? 

Secondo me la colpa è della mia generazione. La questione nasce da un punto di vista educativo, non solo da parte dei genitori, ma anche a causa di un sistema che da una parte ci dice di non essere troppo selettivi e non mettere troppa pressione, e dall’altra di stare attenti che non è tutto semplice perché un pochino di difficoltà, anche quando si è giovani, è corretto affrontarla. Affrontando un esame, ad esempio, la bocciatura non deve essere ritenuta una cosa “tragica”. Ricordo durante gli anni di studio i miei insuccessi e quelli dei colleghi: è normale, anche questo aspetto fa parte del percorso.

Quanto è importante essere curiosi al di fuori del proprio ambito?

Per me la curiosità è fondamentale. Uno studente dovrebbe dedicare tempo alla lettura di libri e quotidiani, bisogna calarsi nella realtà di tutti i giorni perché altrimenti si rischia di astrarsi dal mondo che ci circonda. 

Quale consiglio darebbe agli studenti?

Un consiglio che darei ai ragazzi e alle ragazze è di avere un po’ più di “capacità di sofferenza”: le sconfitte esistono, vanno metabolizzate in maniera serena perché consentono di migliorarsi, non bisogna viverle in maniera drammatica. Molte volte mi accorgo che il fallimento lo vivono peggio gli studenti di come, invece, lo possa vivere io da professore. In fondo va compreso che fa tutto parte del percorso della formazione.

Francesca Palladini, dirigente medica all’Aoui di Verona

Francesca Palladini è dirigente medica e fa parte dell’equipe della Direzione medica ospedaliera per le Funzioni igienico-sanitarie e prevenzione del rischio dell’Aoui, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona. Al percorso formativo avviato con la laurea in Medicina e chirurgia all’Università di Padova la dott.ssa Palladini ha aggiunto la specializzazione in Igiene e medicina preventiva presso il nostro ateneo. La dirigente si racconta dentro e fuori il posto di lavoro, con alcuni consigli su come affrontare un percorso tanto affascinante quanto difficoltoso.

Parlaci di te, Francesca.

Sono Francesca Palladini, trentuno anni, e faccio parte dell’equipe della Direzione medica ospedaliera per le Funzioni igienico-sanitarie e prevenzione del rischio dell’Aoui Verona, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata. All’Università di Verona ho completato i miei studi con la specializzazione in Igiene e medicina preventiva. Mi considero una persona entusiasta, nel senso che mi metto in gioco tutte le volte che è possibile.

Come si svolge la tua giornata tipo?

La mia giornata tipo può variare molto a seconda dei periodi. In genere qui iniziamo verso 8.30/9.00 del mattino, ma nei periodi più intensi finiamo anche molto tardi. Alla mattina abbiamo una routine: ci dividiamo i compiti e ci si organizza rispetto alle attività da svolgere. Nelle giornate di lavoro più intenso, alla sera facciamo un debriefing con i colleghi. Fuori dal lavoro non ho un hobby principale: mi piace andare al cinema e uscire a cena con gli amici, nel weekend amo fare delle belle passeggiate e possibilmente stare all’aperto. 

Quanto conta instaurare relazioni “umane” nel lavoro?

Personalmente credo molto nei rapporti umani che si creano all’interno del luogo di lavoro e che poi si continuano a coltivare anche fuori. Si tratta di un aspetto che ho iniziato a considerare con più attenzione quando mi sono approcciata per la prima volta agli ambienti di lavoro: da allora, per me è sempre stato un elemento che alleggerisce le difficoltà quotidiane che si possono incontrare. Apprezzo tanto il fatto di portare avanti delle relazioni umane sul lavoro: permette di prendersi una piccola pausa durante la giornata per darsi un piccolo incoraggiamento a vicenda nei momenti di difficoltà.

Descrivici il tuo percorso di formazione. Come sei arrivata a un ruolo così importante?

Il mio percorso è iniziato al liceo classico. Dopo essermi diplomata, mi sono iscritta a Medicina e chirurgia all’Università di Padova. Mi sono laureata nei tempi giusti ma, nei miei anni, il corso non era professionalizzante, per cui ho avuto un periodo di latenza prima dell’abilitazione, nel quale ho anche viaggiato. Dopo l’abilitazione ho iniziato a lavorare, ed è lì che sono cambiati i miei orizzonti: la laurea in Medicina è una delle più lunghe, e per la prima volta ho iniziato ad avere una prospettiva di quello che sarebbe stato il lavoro vero. Mi sono messa subito in gioco: dapprima facendo il medico di guardia in una struttura privata, poi conducendo corsi di primo soccorso aziendale. Un’esperienza che ho apprezzato molto perché così si diffonde un minimo di cultura sanitaria anche nella popolazione non addetta ai lavori. 

Poi è arrivata la specializzazione nel nostro ateneo…

Esattamente. È proprio al culmine di tutte queste esperienze che ho conseguito la mia specialità in Igiene e medicina preventiva all’Università degli Studi di Verona. Durante gli studi precedenti non avevo un’idea precisa di questo settore che però mi aveva sempre attirato: l’ho sempre considerata come una specialità in grado di valorizzare degli aspetti del mio carattere e della mia personalità. Ho deciso così di cambiare ateneo e città: da qui deriva la scelta di Verona che offriva il percorso che mi interessava di più. 

Cosa consigli a studentesse e studenti che si approcciano al mondo del lavoro?

A chi affronta i miei stessi studi, vorrei dire che non è vero che “dopo anatomia è tutto in discesa”: si dice così ma è un falso mito. La parte più dura di questi anni è che la prospettiva è sempre a medio-lungo termine, cioè quando gran parte dei tuoi compagni delle superiori si laureano, tu sei a malapena alla metà del tuo percorso. La laurea in Medicina è una prova di resistenza e resilienza, però poi arriva la fine. C’è un periodo più difficile di tutti, quando ti chiedi “chi te l’ha fatto fare”, però il consiglio per chi inizia è di fare un passo alla volta, esame per esame, senza rinunciare mai alla vita fuori dall’università, mi ha aiutato a vivere più serena quegli anni. Lo direi a tutti gli studenti, ma a quelli di Medicina in particolare, per i quali il carico di studio si protrae più a lungo nel tempo. Non focalizzarsi solo sulla durata aiuta molto ad andare avanti. A chi si sta laureando e si sta affacciando alla vita professionale il mio consiglio e la mia speranza è di avere sempre vigile la percezione che si può imparare da tutti: da chi fa la nostra professione e ha più esperienza di noi, ma anche da figure professionali molto diverse. Qualcuno ti insegna cosa vorrai diventare, qualcun altro, invece, quello che non vorrai mai essere… sta poi alla persona imparare per analogia o per contrasto.

Definiresti la carriera medica come una vocazione?


Per quello che è la mia personalissima esperienza, non definirei questo lavoro una vocazione, una forza esterna che ti chiama e ti attira, una tensione. Io invece la mia professione l’ho sempre percepita come un percorso. È certo che la tua crescita va verso l’obiettivo, ma la mia sensazione è questa: si deve avvertire una spinta che viene e deve per forza venire dal basso, da se stessi, perché se così non fosse poi ti ritrovi a dire “ma chi me lo fa fare”, con difficoltà e sconforto pronte a prendere il sopravvento. La motivazione è tua e ti conduce a una crescita per il raggiungimento del tuo obiettivo.

Chirurgia Generale mi aspetta, ma la strada è ancora lunga

“C’è da dire che diventare un medico è sempre stato il mio sogno. Mesi fa mi capitò di ascoltare a “Che tempo che fa” Fabio Fazio che intervistava Gino Strada, il fondatore di “Emergency”: da quel giorno capii realmente che avevo intrapreso la strada giusta. Sto terminando, infatti, il mio percorso di studi in Medicina e Chirurgia e mi laureerò a ottobre con una tesi sulla Chirurgia del pancreas. Per due anni sono stata rappresentante degli studenti nel Collegio didattico del mio dipartimento: devo dire che il corso permette  di approcciarsi fin da subito a ogni specialità, aumentando la consapevolezza della scelta futura. Io opterò sicuramente per Chirurgia Generale, sperando di entrare nelle graduatorie nazionali e rimanere qui a Verona. Ma non finisce qui, perché la lista delle cose da fare è ancora molto lunga: fra dieci anni conto di aver terminato gli studi, di avere un lavoro in un ospedale che sia pubblico e che dia la possibilità a chi ci lavora di fare ricerca (come accade qui all’ospedale di Borgo Roma, ad esempio) e di viaggiare verso l’estremo Nord del mondo per avvistare dal vivo i cetacei. Non dimentichiamo che vorrei anche essere mamma di due splendidi bambini e che mi vedo ancora accanto al mio attuale ragazzo. Nel mezzo della mia progettualità alberga, però, sempre un pensiero costante: il legame con una grande amica, venuta a mancare improvvisamente da poco, che porterò sempre nel cuore. Se dovessi ricordare un “tenero” aneddoto di questi anni di studio parlerei dei primi giorni del mio tirocinio nel reparto di Chirurgia del pancreas. A quel tempo seguivo l’ambulatorio con il professor Claudio Bassi, Direttore del reparto. Ricordo di questa coppia di coniugi siciliani; la moglie era appena stata operata di carcinoma e l’operazione era andata a buon fine. La loro riconoscenza fu qualcosa di sensazionale: dopo l’operazione la moglie abbracciò il professore, ringraziandolo per essersi preso cura di lei e, insieme al marito, donò alcuni prodotti tipici siciliani a tutto lo staff medico, complimentandosi con loro per l’accoglienza ricevuta. Dopo due anni di chemioterapia, la donna poteva finalmente tornare a casa.”

 

Chiara, 25 anni, studentessa di Medicina e Chirurgia

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