Il mio Expo Dubai: un incontro con mondi nuovi e diversi

“Da pochi giorni ho concluso la mia esperienza di stage ad Expo 2020 Dubai. Sono venuta a conoscenza del progetto grazie all’Università di Verona, che ha pubblicato il bando ad inizio 2021 e ho deciso di candidarmi e tentare la selezione., che richiedeva in particolare alte competenze linguistiche, preferibilmente precedenti esperienze all’estero ed una lettera motivazionale. 

Le ragioni principali che mi hanno spinto a candidarmi sono state la mia costante necessità di approcciarmi a mondi nuovi e diversi – ragione per cui in fondo ho scelto il percorso di studi con focus sulle relazioni internazionali – il desiderio di rappresentare il mio Paese e promuoverne la ripresa – in particolare dopo averlo visto lacerato dalla piaga Covid negli ultimi anni – e la necessità personale di imparare, crescere e sperimentare in un contesto mondiale. 

Le candidature si sono concluse con più di 8500 ragazzi e ad aprile 2021 sono uscite le graduatorie, dove ho scoperto di essere stata selezionata come ambasciatrice digitale insieme ad altri 59 studenti provenienti da tutta Italia. La formazione inizialmente è avvenuta in DAD per poi seguire con gli ultimi 15 giorni in presenza a Dubai, dal 1° ottobre 2021 è poi iniziata Expo e da lì anche il lavoro vero e proprio sul campo. 

I ruoli principali che ho svolto sono stati: la preparazione dello storytelling del padiglione, la gestione del percorso espositivo con tour guidati per ospiti nazionali ed internazionali, attività di public speaking e set on stage, l’organizzazione e partecipazione ad eventi e la collaborazione con diverse funzioni del commissariato tra cui la funzione ‘institutional’ che si occupa della gestione degli eventi internazionali e del contatto con tutte le istituzioni italiane e non aderenti ad Expo e la funzione ‘business’ che riguarda la gestione degli sponsor, partner e stakeholder del padiglione Italia. 

Questa esperienza mi ha arricchito sia dal punto di vista personale che professionale: mi ha permesso di conoscere e mettere in pratica le lingue che ho studiato, relazionarmi con nuove persone e culture oltre che venire a contatto con il grande mondo degli scambi internazionali.  Ho avuto modo di capire le logiche di collaborazione economica, sociale e politica, apprendere protocolli e procedure internazionali, aver voce in meeting internazionali e soprattutto promuovere il mio Paese all’estero. 

Nonostante sia innegabile il fatto che l’esperienza sia stata totalizzante sia dal punto di vista fisico che mentale, raccomando a qualsiasi studente non solo di partecipare a quanti più progetti Erasmus possibili ma anche di tentare le traineeships all’estero, poiché venire in contatto con un mondo del lavoro diverso da quello italiano aiuta a sviluppare un maggior pensiero critico, imparare come mediare ed essere tolleranti, capire quali siano le vere competenze da acquisire e soprattutto capire come fare la differenza sia nella propria vita personale che nella futura carriera lavorativa. “

Elisa, studentessa di Lingue per la Comunicazione Turistica e Commerciale 
Instagram:@e.isonni 

Fare meglio, o almeno fare la nostra parte

“L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha coinvolto tutti da vicino, aprendo molte riflessioni sulla realtà che sperimentiamo ogni giorno.

La necessità di rifiutare un cieco individualismo ci è apparsa più che mai urgente e la grande lezione che secondo noi il Covid-19 ha portato con sé è che nessuno si salva da solo, ma è piuttosto l’attenzione per il prossimo, il tutelarne le sue debolezze, il più grande gesto d’amore per gli altri e per se stessi.

Partendo da queste riflessioni abbiamo voluto partecipare alla sfida lanciata dall’Università LUMSA per la sensibilizzazione dei giovani all’adozione di comportamenti corretti per la prevenzione del Covid-19.

Troppo spesso abbiamo sentito parlare di giovani e di studentesse e studenti con toni poco incoraggianti, soprattutto nell’ultimo anno, ma noi ci siamo!

Non abbiamo certo l’arroganza di pensare di essere davvero migliori rispetto alle altre generazioni, ma sicuramente siamo pronti a fare la nostra parte, per questo abbiamo voluto metterci in gioco con questo concorso.

Abbiamo partecipato nella categoria campagna social media con un messaggio semplice: “l’amore è una questione di sguardi”.

L’idea è quella di comunicare l’importanza dell’uso della mascherina, senza la sua diretta rappresentazione grafica, ma focalizzandoci sul fatto che basti uno sguardo per trasmettere un’emozione: “Guarda agli altri, vedi il prossimo, attribuiscigli la giusta importanza e con amore proteggilo, perché non è altro che lo specchio di te stesso.”

Ai fini di coinvolgere il target Millenials e Gen Z e rendere la campagna “instagramabile” abbiamo utilizzato alcuni dei più famosi volti del mondo dell’arte a cui abbiamo aggiunto il nostro messaggio.

Orgogliose di aver rappresentato il nostro Ateneo e che il nostro sia stato uno dei progetti vincitori, ci teniamo a congratularci con tutti i colleghi delle altre università che hanno ottenuto con noi questo riconoscimento e ci auguriamo di riuscire sempre a fare la nostra parte!”

Michela, Anna e Michela, studentesse di Marketing e comunicazione d’impresa
Instagram: @michela_agus @annawhale @michizantedeschi

Covid? Io parto e vado all’isola de La Réunion

“Sono sempre stata una persona alla ricerca dell’avventura e delle esperienze insolite. Così, dopo essere stata miracolata durante un incidente in auto mentre tornavo a casa dall’Univr per le vacanze natalizie, ho deciso di fare il grande passo e candidarmi per partire con il progetto Erasmus+, perché la vita è troppo breve per rimandare. Senza troppe difficoltà ho scelto la meta dei miei sogni, quella dove il mio spirito avventuriero e sportivo sarebbe stato sfamato: l’isola francese de La Réunion.

Con i pochi crediti nel libretto universitario che solo uno studente del primo anno può avere, ho mandato la mia candidatura e, con molta sorpresa, mi sono aggiudicata uno dei due posti disponibili per la mobilità della durata di un anno. Le mie certezze hanno cominciato a vacillare a causa del Covid, poi il lockdown e le restrizioni per viaggiare: la mia tanto desiderata partenza era duramente messa in discussione. A distanza di otto mesi, la situazione non era delle migliori ma comunque accettabile. Non potevo farmi fermare né dal Covid, né dal mio scarso francese imparato da appena cinque mesi solamente per l’occasione. Così ho salutato mamma e papà, ho imboccato l’entrata dell’aeroporto e dopo novemila kilometri di volo sono atterrata nel mio sogno.

Ora vivo da cinque settimane nel campus de l’Université de La Réunion e frequento i corsi per validare il mio secondo anno di Bioinformatica, sempre dotata di mascherina e con l’igienizzante alla mano. Non senza difficoltà tutto procede, il mio francese migliora e l’avventura è all’ordine del weekend: posso ritenermi soddisfatta per adesso, sempre sperando che qui la situazione “febbre Dengue” non superi quella Covid! L’esperienza è comunque solo all’inizio e l’alternarsi di periodi positivi e negativi sarà inevitabile. Ormai il Covid è una realtà a cui purtroppo tutti sono abituati ma non per questo dev’essere motivo di sconforto e ostacolo per i propri progetti.

Comunque vada, io sono qui e non vedo l’ora di poter scoprire a distanza di un anno cosa sboccerà da questa esperienza e non sarò mai abbastanza grata all’università di Verona per queste meravigliose opportunità per crescere in altre realtà.

Buon inizio d’anno accademico a tutti voi, studentesse e studenti Univr!”

Chiara, studentessa di Bioinformatica
Instagram: @chiardani

Ero in Francia durante il Covid e ho scelto di tornare a casa: è stato come un uragano che ha scosso qualsiasi certezza

Mi sono laureata alla triennale a novembre 2019 e per la magistrale ho pensato di partecipare al programma Erasmus per un semestre: una sorta di regalo, un’esperienza all’estero che tanto avevo sognato. Quando ho saputo di essere stata presa in Francia, precisamente in Bretagna a Rennes, ero contentissima!  

Sono partita l’8 gennaio, ho fatto tappa a Parigi per un paio di giorni e in seguito, il 12 gennaio, sono arrivata ufficialmente a Rennes. Quest’esperienza è iniziata in maniera strepitosa: tantissime nuove amicizie con persone provenienti da qualsiasi nazione, moltissimi viaggi, escursioni organizzate e tantissimi confronti a livello culturale che mi hanno arricchita moltissimo.  

Ad un certo punto, però, questa avventura Erasmus cambia.  

Erano trascorsi circa due mesi, quando la mia esperienza all’estero inizia a prendere una piega diversa. Verso la fine di febbraio arriva una notizia: in Italia erano stati registrati i primi casi di Covid-19. In Francia la situazione era diversa, perché in quelle settimane non c’erano ancora stati dei contagi. Ricordo quelle settimane e i sentimenti contrastanti che continuamente si presentavano: cosa stava accadendo nel mio Paese? Noi italiani in Erasmus avevamo forse più timore di tutti gli altri ragazzi, poiché stavamo vivendo l’inizio della pandemia tramite i racconti dei nostri familiari, dei nostri amici, dei nostri legami più cari.  

Dopo qualche settimana dalle prime notizie tutto ciò che stava accadendo in Italia, che avevo vissuto indirettamente, cominciò piano piano a verificarsi anche sotto ai miei occhi. Ricordo giovedì 12 marzo, quando annunciarono che anche in Francia tutte le università sarebbero rimaste chiuse dal lunedì successivo. Quel weekend andai a restituire i libri presi in prestito dalle biblioteche dell’Università e cercai di bloccare tutti gli abbonamenti di cui stavo usufruendo. Arriva quindi il lunedì e le università chiudono. 

A poco a poco le restrizioni aumentavano e i dubbi su cosa fare o non fare crescevano di giorno in giorno. Io, assieme ad altri italiani che avevo conosciuto, alloggiavo nella residenza universitaria dove c’era una cucina in comune. Ogni giorno le domande erano sempre più frequenti: partire o non partire? Oppure rimanere? Il viaggio? I contagi? Tantissimi erano i dubbi che, giorno dopo giorno, si sovrapponevano nei nostri pensieri. 

 Molti ragazzi di altre nazionalità sono stati rimpatriati subito. A noi italiani, invece, è stato chiesto di scegliere. Così iniziai a valutare entrambe le opzioni, ovvero rimanere o partire, continuando a monitorare la situazione. Ricordo le chiamate all’Ambasciata, alla Farnesina e soprattutto ai familiari preoccupati. Piano piano la scelta iniziale che ci era stata offerta ha assunto un altro significato, perché i mezzi per rientrare in Italia diminuivano di giorno in giorno. Rennes si trova nel Nord-Ovest della Francia e dista circa un’ora e mezza di treno da Parigi. Cercai un volo per il rimpatrio, ed era garantito (da Parigi a Roma-Fiumicino e da Roma-Fiumicino a Milano Malpensa), ma i treni e qualsiasi altro mezzo per arrivare a Parigi si riducevano sempre di più e le restrizioni alla circolazione aumentavano.  

Iniziò così una corsa contro il tempo per riuscire a prendere i mezzi ancora garantiti per tornare a casa. Il primo volo di rimpatrio, previsto per il 31 marzo, era garantito ma il treno per raggiungere Parigi (e di conseguenza l’aeroporto) venne cancellato. Chiamai quindi la compagnia aerea, che molto gentilmente riuscì ad anticiparmi il volo al 29 marzo.  

Arrivò quel giorno: erano le 19 quando finalmente arrivai a Milano Malpensa. Ricordo l’ultima parte del mio viaggio di ritorno, in autostrada da Milano verso Vicenza: la strada completamente vuota, deserta. Dopo aver trascorso i 15 giorni di auto-isolamento, obbligatori per chi rientrava da un Paese estero, sono tornata a vivere normalmente con la mia famiglia. L’università francese, molto disponibile, ha permesso a tutti gli studenti di terminare il programma Erasmus a distanza, di seguire le lezioni e di svolgere gli esami online. Sono così riuscita a terminare il programma dell’università francese.  

È stata un’esperienza che non mi sarei mai aspettata di affrontare, una sorta di uragano all’improvviso che ha scosso qualsiasi certezza, un repentino cambio di programmi e di progetti, e che mi ha fatto capire quanto a volte, molte cose che diamo per scontate, in realtà, possono cambiare velocemente. 

Erika, studentessa di Lingue per la comunicazione turistica e commerciale
Instagram: @erikavitomi

Ho trovato la serenità stando all’aria aperta e con i miei coinquilini internazionali durante la pandemia in Germania

“Mi chiamo Suada e sono studentessa al secondo anno di magistrale in Biotecnologie mediche. Sono da settembre a Bielefeld, città della Renania Settentrionale-Vestfalia.

Quando è iniziata la pandemia ero tranquilla, ignara delle conseguenze che avrebbe portato. Qui non siamo mai stati in quarantena come in Italia, ma furono disposte delle regole di distanziamento sociale e ovviamente hanno chiuso tutte le attività tra cui l’università. Ho seguito le lezioni online e per diversi mesi non è stato possibile accedere ai laboratori, che sono parte integrante del mio corso di studio.

Seguivo la situazione in Italia tramite i media, e non potevo fare tutto ciò che prima era normale. Con i giorni che passavano, la situazione ha cominciato a diventare molto pesante psicologicamente anche per me.

Comunque sia, visto che qui abbiamo sempre potuto uscire per camminate o fare sport, e visto che vivo in una zona molto verde della Germania, ho trovato serenità stando all’aria aperta e anche grazie alla compagnia dei miei coinquilini internazionali.”

Suada, studentessa di Biotecnologie
Instagram: @its_suadin

Dottorarsi in pantofole, quale eufemismo!

“Probabilmente l’avvicinarsi della discussione della tesi di Dottorato non è paragonabile al terrore che don Abbondio ebbe all’appropinquarsi dei Bravi, miei venticinque (e spero anche qualcuno di più) lettori; tuttavia, almeno da parte mia, non mi appariva certo come una passeggiata della salute. Il dover cercare di rendere quanto meno comprensibile (“interessante” è un termine da Iperuranio) la mia ricerca, e doverlo fare in lingua inglese, mi atterriva già prima di scoprire che avrei affrontato la questione attraverso la cosiddetta, famigerata, “modalità Covid”; ossia online, dietro lo schermo di colui (sì, la personificazione non è casuale) che tutti noi abbiamo imparato a conoscere a fondo nei due mesi circa di lockdown: il PC.

La preoccupazione maggiore non poteva che essere una: l’assenza di connessione (o l’instabilità, che è, se possibile, ancora più terrificante perché foriera di fermi immagini il più delle volte parodistici). Invece tutto è filato fortunatamente liscio come l’olio (perdonate il colloquialismo di tale immagine, ma ritengo sia iconica come poche). Anzi, ad essere sinceri, forse anche di più. Paradossalmente, il non avere una platea fisicamente di fronte, ha abbassato il livello di tensione (se qualcuno fra voi studia Psicologia potrà sicuramente fornire una spiegazione adeguata) con il risultato di esporre la mia presentazione in maniera quanto meno soddisfacente. Non mi soffermerei nella descrizione dell’evento in sé, e neppure sul cerimoniale di vestizione precedente alla discussione.

Ora, alcuni doverosi ringraziamenti. Il primo va al Corso di Dottorato in Economia dell’Università ed in particolar modo al coordinatore del Corso ed al mio supervisor, per avermi permesso di migliorare costantemente, non solo dal punto di vista delle skills acquisite, ma anche a livello di esperienze di vita. Il secondo ringraziamento va ai miei colleghi, i quali hanno sempre allungato una mano in mio soccorso. Il terzo ringraziamento è alla mia famiglia. Il quarto ed ultimo è rivolto alla mia fidanzata, la quale è stata àncora di sostegno in questi anni, anche quando la barra del timone sembrava non poter reggere.

Concludo con un invito a tutti voi (o, almeno, a coloro che sono arrivati a leggere fin qui). Non mollate mai, anche quando la montagna sembra troppo impervia. I professori non sono qui per “fregarvi”, ma svolgono esattamente il ruolo di docenti, nel senso latino del termine. E ricordate: chiedere aiuto non è segno di debolezza ma di coraggio, perché solo ammettendo i propri limiti si può migliorare.”

Davide, Dottore di Ricerca in Economics

Ci siamo laureati nella stessa casa, alla stessa scrivania, a dure ore di distanza

“In questi giorni strani, tristi e con poca luce abbiamo avuto un momento di pura felicità.

Da un mese condividiamo la quarantena perché prima che accadesse tutto eravamo insieme e ci siamo rimasti. Nella stessa casa, alla stessa scrivania abbiamo discusso le nostre tesi conseguendo la laurea a due ore di distanza.

Abbiamo avuto la fortuna di avere parte della famiglia al nostro fianco e un’altra parte che, per quanto lontana, ci ha trasmesso calore e affetto. Siamo fortunati.

È stata un’esperienza che ci aspettavamo essere molto meno emozionante di una laurea tradizionale, ma al contrario abbiamo provato tanta gioia e soddisfazione inaspettate.”

Alberto e Sofia, studenti di Scienze della Comunicazione

Il mio agognato Erasmus in Germania, dalla finestra della mia camera

“In quanto studentessa di Lingue, penso che l’opportunità di partecipare e prendere parte ad un progetto come l’Erasmus+ sia fondamentale per migliorare le proprie capacità e per comprendere realmente se il percorso intrapreso sia quello giusto. E così, all’alba dell’inizio del mio secondo anno di triennale, decisi di candidarmi per il bando.

Non avevo mai studiato il tedesco prima di entrare in università, ma (stranamente) ne ero affascinata e consapevole della sua complessità. In effetti, questa lingua così ostica si è subito palesata come un’enorme sfida da affrontare. E quale poteva essere la soluzione migliore per poter vincere quest’eterna “lotta”? Trascorrere un semestre in Germania, dove avrei potuto abbattere la paura del parlare la lingua tedesca.

Armata di determinazione e pazienza, mi sono immersa nello studio in modo da conseguire ottimi risultati che mi avrebbero aiutata a scalare la graduatoria del bando Erasmus. E dopo aver dovuto comunque affrontare la fase dei ripescaggi, il 17 aprile 2019 risultai vincitrice di una borsa di studio per Monaco.

Ed è così che, tra appelli e lezioni, trascorsero i giorni, sognando costantemente l’arrivo della data di partenza. Nonostante in Italia la situazione stesse diventando sempre più critica a causa del crescente numero di contagi da Coronavirus, un po’ incoscientemente e un po’ egoisticamente, decisi comunque di salire su quel treno che da Verona mi avrebbe scortato a Monaco. Il 5 marzo, dopo un anno di burocrazia, finalmente la mia esperienza poteva cominciare. Peccato che tutto ciò che avevo meticolosamente programmato e immaginato nei mesi precedenti si è potuto realizzare solamente per una settimana.

Non appena l’OMS ha dichiarato lo stato di emergenza globale, ordinando il lockdown, un dubbio amletico ha afflitto la mia mente: rimanere confinata nei miei 10 mq in Germania, o tornare in Italia e trascorrere questo periodo di crisi con la mia famiglia? Ad oggi non saprei ancora dire quali sono le ragioni che mi hanno portato a prendere la decisione di restare qui, ma posso dire con certezza che ne sono comunque contenta. Non è ciò che desideravo, ma sto comunque esercitando le mie capacità linguistiche, sia grazie alle lezioni online che l’università ospitante (LMU München) sta impartendo, sia grazie a banalità come chiedere informazioni mentre si fa la spesa o leggere il quotidiano in tedesco. Inoltre, vivendo in uno studentato in una città così multiculturale come Monaco, ho la possibilità di incontrare gente proveniente da ogni parte del mondo e scoprire le loro tradizioni, le loro lingue.

Tutto sommato, poteva andarmi molto peggio! E non disdegno nemmeno quei giorni di malinconia, in cui mi affaccio alla finestra della mia camera, sorseggiando un’amata birra tedesca e osservando come questa pandemia abbia sconvolto le nostre routine.”

Anna Maria, studentessa di Lingue e culture per l’editoria
Instagram: @anne_cingu

Il mio cuore è costantemente volto all’Italia, che spero di rivedere presto

“Proprio un anno fa, mi comunicarono che ero stata selezionata per partecipare al programma di mobilità Erasmus e il cuore mi scoppiava di gioia. Mi sentivo così fortunata a poter trascorrere un periodo di studio all’estero, conoscere gente proveniente da tutto il mondo, studiare in una nuova università, praticare una nuova lingua, arricchire la mia cultura.

Il 23 febbraio presi quel tanto atteso aereo per la Spagna, le mie emozioni erano un miscuglio di paura per l’ignoto e spirito di avventura. Le prime due settimane furono un po’ strane, non conoscevo quasi nessuno, cercavo di capire come muovermi, tentavo di praticare al meglio la lingua. Mi guardavo attorno, in giro per la città, e il sole della Spagna mi faceva sentire così grata per tutto quello che avevo tra le mani.

Nel frattempo, il mondo si stava preparando ad affrontare questa grande pandemia e, mentre in Italia era già iniziato il periodo di confinamento,  qui la gente sembrava non rendersi conto di quello che stava succedendo e a volte notavo la diffidenza nello sguardo di alcuni. “La colpa è di tutto questi studenti venuti qui dall’Italia”, dicevano.

Fin quando, il 15 marzo, Sanchez dichiara lo stato di emergenza e l’inizio della quarantena. Molti andarono via, presero d’assalto i traghetti e salirono sugli ultimi aerei disponibili. Io mi soffermai molto a pensare a quello che sarebbe stato giusto fare, fin quando arrivai alla conclusione che sarebbe stato meglio rimanere in casa e spostarsi il meno possibile. Capii che quello era il momento meno opportuno per essere egoista e pensare, invece, alla mia famiglia e a tutte le persone a me care.

La Spagna mi sta dando tanto, nonostante tutto.

Anche qui la gente cerca di farsi forza a vicenda con applausi collettivi, saluti dai balconi e musica a tutto volume. Mi sento a casa anche qui, siamo tutti soli ma lo siamo tutti nello stesso momento. Il mio cuore è costantemente volto all’Italia, che spero di poter rivedere presto.”

Valeria, studentessa di Lingue e culture per l’editoria
Instagram: @_valeriacarbone

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