Lavinia Furlani, comunicatrice del vino e filosofa 

Imprenditrice, filosofa, giornalista, counselor e docente. Lavinia Furlani, presidente e direttrice editoriale di Wine Meridian, magazine dedicato al settore vitivinicolo italiano, è Alumna Univr, laureata nel nostro ateneo in Lettere, Scienze della Formazione e Filosofia. Negli anni la sua esperienza l’ha portata a fornire consulenze, curare diverse pubblicazioni in ambito filosofico ed enogastronomico e tenere corsi di formazione sui temi della comunicazione, dell’enoturismo e del marketing. Le sue competenze nascono dall’unione di filosofia, counseling, giornalismo, comunicazione, formazione e passione per l’enogastronomia. “Gli studi filosofici – spiega – mi hanno fornito la cassetta degli attrezzi per relazionarmi con le persone nel mondo del lavoro. Ai giovani dico: non precludetevi scelte che al momento vi possono sembrare non coerenti con il vostro percorso di studio. Anche all’Università un approccio creativo ti può aprire molte opportunità”  

Buongiorno Lavinia, descrivi te stessa e le tue attività in poche parole. 

Sono Lavinia Furlani: imprenditrice e giornalista laureata in lettere e filosofia. Rappresento il gruppo editoriale Absit Daily che si occupa della gestione dei portali Wine Meridian, Oil Meridian e Spirits Meridian. Ci occupiamo, con particolare attenzione al mondo del vino, di informazione, formazione, consulenza, branding e selezione di risorse umane.  

Qual è stato il tuo percorso universitario e come sei arrivata a questa professione? 

Il mio percorso universitario all’Università di Verona è stato inizialmente imprevedibile e lungo, perché mi sono laureata ben tre volte! La prima volta mi sono iscritta, potremmo dire, “per disperazione”: la mia prima scelta, infatti, sarebbe stata Medicina, però, non avendo ottenuto il punteggio minimo all’esame di maturità per accedere al test d’ingresso, ho poi optato per Lettere, un corso di studio ad accesso libero. Un “ripiego” che, anche se al tempo ancora non lo sapevo, si sarebbe però rivelato la più grande opportunità professionale della mia vita. Dopo Lettere ho proseguito con Scienze della formazione: un percorso che con Medicina condivideva l’obiettivo di poter essere di aiuto all’altro attraverso, però, un approccio formativo.  

La terza laurea è stata quella in Filosofia: il percorso che mi ha dato di più e che oggi sfrutto maggiormente, in quanto è proprio in quella facoltà che ho trovato docenti e insegnamenti che mi hanno fornito la “cassetta degli attrezzi” e strumenti che nel tempo mi sono risultati utilissimi nel relazionarmi con le persone e nella gestione di clienti, dipendenti, collaboratori e fornitori. Credo che una delle competenze più utili nel mondo del lavoro sia proprio la capacità di riuscire a gestire una relazione sociale, qualunque essa sia. Che tu sia un dipendente, un collaboratore o altro, con qualcuno dovrai rapportarti: per questo le materie umanistiche mi hanno davvero agevolato in questo senso. 

Per quanto riguarda la tua professione, quali sono gli aspetti che ti appassionano maggiormente? 

Quello che ritengo più avvincente è interpretare i gusti del consumatore e quindi le sue evoluzioni, sia in termini di consumo di prodotti agroalimentari che in termini di comunicazione, anche alla luce degli ultimi approcci digitali, di intelligenza artificiale e di gestione e ricerca delle informazioni. Il tutto in un mondo che va velocissimo e in cui quello che costruiamo oggi sarà già vecchio domani… 

Descrivici la tua giornata tipo… 

La mia giornata è quella tipica dell’imprenditore. Una giornata che inizia molto presto, all’alba. Solitamente tra le 6 e le 8 del mattino sento di aver fatto molto più di quanto avrei potuto fare svegliandomi più tardi. Penso che il giusto approccio al mattino sia determinante. Personalmente ho i miei piccoli rituali: pratico meditazione, cerco di fare attività fisica regolare ed evitare la tentazione di prendere in mano lo smartphone non appena mi sveglio, una buona pratica che consiglio a tutti. Per il resto, la mia giornata in genere è dedicata al 50% ai clienti e al restante 50% alla gestione di dipendenti e collaboratori. Poi ci sono i viaggi: visto che ci occupiamo anche di export, viaggio spesso e in tutto il mondo. Solamente negli ultimi anni il mio lavoro mi ha portata in Usa, Nepal, Thailandia, Canada e India.  

Quali sono i suggerimenti che daresti ai neolaureati? 

Vista la mia esperienza all’università, con la scelta – non prevista – delle materie umanistiche, direi che il primo suggerimento che mi sento di dare è questo: non lasciatevi scappare le opportunità, anche quando vi trovate in una fase poco chiara della vostra vita. È fondamentale avere la più ampia apertura mentale possibile e non precludersi scelte che al momento vi possono sembrare non coerenti con il vostro percorso di studio. Se si vive il percorso universitario con un approccio creativo e uno “sguardo allargato”, credo che nella vita si possano aprire moltissime opportunità.  

Ci sono secondo te delle qualità che è opportuno avere o sviluppare per trovare la propria strada? 

Certamente. Prima di tutto c’è l’umiltà – una qualità che oggi mi pare si tenda talvolta a sottovalutare – e la “fame” di emergere: due aspetti che potrebbero sembrare opposti, ma che per me non lo sono affatto. Sono convinta che si possa e si debba puntare a crescere ed emergere, pur continuando a comportarsi in maniera umile e corretta con chi ci circonda. Importantissimo, poi, continuare a imparare: trovare del tempo, ogni giorno, per apprendere cose nuove. 

In più, prima di muoverci nel mondo del lavoro credo sia fondamentale chiarire che cosa significa, per ognuno di noi, il concetto di “successo”. Cos’è il successo per me? È raggiungere una migliore gestione del tempo lavorativo e della vita privata? È un migliore compenso economico? O quello che mettiamo al primo posto sono le gratificazioni professionali? Sono convinta che più abbiamo chiaro ciò che ci fa davvero stare bene nell’impostazione dell’ambiente lavorativo, più riusciremo a trovare un’azienda in linea con i nostri bisogni. 


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Dove si colloca una filosofa? Cosa può dare o fare per una città? La mia maratona del Pensiero

“Nel corso degli studi può accadere di perdersi e faticare a trovare la strada che conduce al processo di emancipazione professionale. Pericolo ancor più incombente se si viene, come me, da un percorso di studi filosofico, perché ci si può smarrire nei vorticosi pensieri, aprirsi alle molte possibilità, senza però aver il coraggio di attualizzarne alcuna. Per questa ragione mi è stata di fondamentale importanza l’occasione del tirocinio universitario che l’Università degli Studi di Verona ci accorda, permettendomi di approfondire, verificare ed ampliare l’apprendimento ricevuto nel percorso degli studi e soprattutto darne poi un’immediata applicazione pratica orientata al mondo del lavoro.

Due le domande a cui cercavo risposta: Dove si colloca una filosofa? Cosa può dare o fare per una città? Il Festival Filosofi Lungo l’Oglio mi ha aiutato a rispondere a queste interrogazioni, a quale possa essere un’ubicazione di privilegio per la filosofia sul territorio da un punto di vista pratico. È stato proprio un certo desiderio di agire, di mettermi in gioco ad avermi spinta ad inviare la mia candidatura a questo ente, poiché credo in una filosofia pratica, che guarda alla persona e dunque alla polis.

Sono onorata di aver avuto la possibilità di collaborare a questa importante iniziativa filosofica-culturale-sociale, sia perché si tratta di conferenze di filosofia sostenute tra i più illustri pensatori del nostro tempo, sia perché tale Festival si muove nei territori a me più cari tra il Bresciano, Bergamasco e Cremonese, ossia in quei piccoli paesini della Pianura Padana in cui io stessa sono nata e cresciuta. Luoghi spesso emarginati al loro stato d’abbandono, ma che in questo Festival si sono resi protagonisti in un riscatto culturale e di comunità. Il Festival è, infatti, definito “nomade” poiché si innerva non solo in grandi città già perfettamente attrezzate ad accogliere eventi di questo tipo, ma predilige luoghi intimi, più piccoli spesso esclusi da ogni iniziativa: una scelta coraggiosa per un Festival di rilevanza nazionale.

Aver contribuito a portare la cultura nelle periferie è stato un compito complesso, ma del tutto soddisfacente. Ho compreso l’importanza del filosofo come agente di mediazione culturale: colui che occupa uno spazio interstiziale tra la società civile e le istituzioni, creando occasioni di scambi, contaminazioni e sinergie. Come mediatrice culturale il mio ruolo – insieme a quello del mio straordinario team – è stato promuovere il dialogo ed il confronto: gli unici strumenti e codici con cui è possibile aprirsi all’altro per creare nuovi simboli culturali condivisi. Lavorare filosoficamente in questi territori ha significato porre l’attenzione alle esigenze dei cittadini, soprattutto legate alla scomparsa di spazi comuni di interazione e di socialità.

Il Festival ha rimesso al centro la filosofia vitale e la periferia da un punto di vista storico, culturale e sociale, riportando le piazze – ormai svuotate sia da processi di decentramento urbanistico sia dalla pandemia – al loro antico vigore. È stato sorprendente ed emozionante osservare come la filosofia abbia una tale carica attrattiva, anche in quei paesini che ho sempre considerato pragmatici, duri, laboriosi e che avvertivo come realtà soffocanti. Ora, dopo il Festival li osservo sotto uno sguardo differente: quello della possibilità. Vedere le piazze gremite di gente per ascoltare di filosofia mi ha dimostrato quanto ci sia un reale bisogno di contenuti, di testimonianza, d’incontro. Qui si gioca la partita della filosofia: rispondere alle esigenze sociali straordinariamente concrete e problematiche.

Oltre la nobile missione del Festival, ciò che mi ha spinto fortemente alla candidatura a questo tirocinio è stata la figura della professoressa Francesca Nodari: direttrice scientifica del Festival Filosofi Lungo l’Oglio e presidentessa della Fondazione che sostiene il Festival. Una testimonianza che smentisce gli stereotipi correnti che vorrebbero le donne appiattite sulla loro immagine, piuttosto che sulla loro mente. La Sua storia come donna, filosofa e natia dei miei stessi paesini agricoli e provinciali, mi è stata da stimolo a rifuggire ad un certo vittimismo e paura che mi paralizzavano, incoraggiandomi a lavorare tenacemente per divenire protagonista della mia storia.

È stato un percorso e un lavoro di grande soddisfazione poter investire le mie competenze raggiunte in tanti anni di studio in un’istituzione così prestigiosa, operando proprio nei luoghi del padano, a cui nel bene e nel male sono debitrice. Inoltre, questa esperienza mi ha dato la misura e l’occasione di poter vedere effettivamente come il pensiero e la filosofia possano essere tradotti in prassi, per trovare una strada e dar forma al mondo in cui viviamo.

Il tirocinio universitario è stato una “maratona del pensiero”: un viaggio di conoscenza di me stessa e di riconoscenza verso i luoghi in cui sono nata, al mio esser donna ed alla filosofia”.

Paola, studentessa in Scienze Filosofiche

Instagram: @paolalovegood

Il mio Erasmus in Finlandia con il Covid: una vittoria indelebile

“Allora, cosa ti porti a casa da questa esperienza?”. Era questa la domanda che, durante l’ultima settimana del mio Erasmus, circolava incessantemente negli appartamenti, nei corridoi dei palazzi e negli spazi aperti di Kortepohja, il famoso quartiere che ospitava la maggior parte dei ragazzi che avevano scelto la città finlandese di Jyväskylä come meta del loro viaggio-studio. La questione non trovava facile risposta: le consapevolezze e le emozioni che sollevava erano parecchie e quasi inesprimibili a parole. Eppure, io non avevo dubbi circa l’insegnamento più prezioso che quei cinque mesi in Finlandia mi avevano trasmesso e che sarebbe rimasto con me per sempre: se si ha la forza di guardare in maniera diversa alle cadute che inevitabilmente si presentano nel corso della vita, non solo esse possono essere superate, ma possono anche diventare occasioni di luminose risalite.

La mia avventura non iniziò nel migliore dei modi: dopo tre settimane dall’arrivo nell’affascinante Paese nordico e dieci giorni di quarantena, in una fase oscillante tra ambientamento e solitudine, contrassi il Coronavirus. L’evento rappresentò un problema non da poco: la quasi totalità degli studenti accettati si era ammalata e nessuno sapeva, a fronte di un inatteso focolaio di contagi scoppiato in città, quali sarebbero state le conseguenze di tale imprevisto; inoltre, l’infinito buio invernale, la mancanza di dimestichezza con i luoghi e con lo stile di vita, il non avere ancora attorno persone fidate su cui contare e da cui poter ricevere aiuto, fomentavano il senso di disorientamento e preoccupazione. Sentivo dentro di me il peso di una profonda sconfitta: evidentemente, come molti giudicavano prima della mia partenza, avevo sbagliato a lasciare casa in un momento storico così delicato come quello dell’emergenza sanitaria da Covid-19.

A fronte dell’angoscia che pervadeva le mie giornate in isolamento, pensai di rientrare in Italia non appena fossi guarita: sembrava questa la soluzione migliore, perché l’incerta atmosfera non consentiva di dare per scontata l’esistenza di un seguito positivo. Interrompere la faccenda sul nascere, sfuggendo in questo modo anche alle eventuali ulteriori sfide che si sarebbero prospettate

dopo la prima, rappresentava la via più comoda da imboccare; ma valeva davvero la pena lasciarsi atterrare dal primo ostacolo, per quanto arduo, e buttar via lo scenario di un periodo di vita e studio all’estero che tanto avevo desiderato? Conveniva rinunciare alla grande opportunità che l’Università di Verona mi aveva regalato, permettendomi di assaporare un pizzico di normalità e libertà negateci dalla pandemia? Capii che questa non sarebbe stata la mia scelta: volevo restare e affrontare la difficoltà, per ripartire poi con maggiore convinzione e sfruttare al massimo quell’esperienza. Ecco che la cupa e critica situazione sopraggiunta si rivelò essere una possibilità di autentica rinascita, una fertile occasione per il fiorire di potenzialità sopite in tempi di ordinarietà: solo grazie alle turbolenze in cui ero incappata, infatti, realizzai quanto fossi fortunata a poter svolgere il programma Erasmus nonostante tutto, e fui veramente pronta ad aprirmi e ad accogliere con entusiasmo ciò che mi attendeva. In effetti, una moltitudine di successi iniziarono successivamente a balenare per me: uscendo dalla mia zona di comfort e immergendomi completamente in un ambiente e in una cultura così diversi dai miei, potetti osservare fenomeni incredibili, come l’aurora boreale o il sole di mezzanotte, scoprire luoghi incantati, come gli innevati e silenziosi paesaggi della Lapponia, e provare attività elettrizzanti, come le immersioni post-sauna nel lago ghiacciato; strinsi intense amicizie e, misurandomi con diverse ed interessanti mentalità, imparai molto nel dialogo costante con l’altro; ebbi modo, per quanto riguarda l’aspetto universitario, di confrontarmi con materie e metodologie didattiche diverse, ricevendo freschi ed importanti stimoli che hanno contribuito ad ampliare la mia formazione.

Partire per l’Erasmus e rimanerci è stata quindi la decisione vincente. Devo ammettere, però, che questa non fu frutto soltanto dei miei pensieri: ad infondermi coraggio furono i miei cari, il Referente del Corso di Studi, la Referente alla Mobilità Internazionale di area filosofica e diversi docenti, i quali, insieme al personale dell’Ufficio per la Mobilità Internazionale, si prodigarono per supportarmi e tutelarmi, riflettendo assieme a me e rassicurando la mia famiglia. Desidero ringraziare sinceramente i miei professori, non solo per non avermi mai fatta sentire sola in questa sfortunata circostanza, ma anche per avermi motivava ad intraprendere un percorso di mobilità: anche con tutti gli inconvenienti del caso (anzi, soprattutto con questi), rifarei innumerevoli volte questa esperienza, perché, facendomi oltrepassare pregiudizi e paure, mi ha permesso di incontrare nuove e ricche realtà, di conoscere più a fondo me stessa e di crescere sotto parecchi punti di vista. Dirò qualcosa di scontato, ma in cui credo fermamente: l’Erasmus ti cambia la vita!”

Lucia, studentessa di Scienze Filosofiche
Instagram: @squillantelucia

La filosofia per i bambini: aspetti essenziali per il ben-essere di ciascuno

“Mi chiamo Sara, ho 36 anni e a dicembre scorso mi sono laureata in Scienze della Formazione Primaria con una tesi intitolata “Philosophy for Children: una pratica per la Comunità di Ricerca nella scuola primaria”. Dire in poche parole cosa sia la Philosophy for Children non è cosa facile. La P4C è stata definita una “forma di vita”, unica e indicibile, un luogo da abitare quindi più che un oggetto da descrivere. Per questo ritengo più facile raccontare cosa sia stata questa esperienza formativa.

Innanzitutto, la Philosophy for Children rappresenta per me un approccio per curare aspetti che considero essenziali nella vita e nel ben-essere di ciascuno: l’empatia, la padronanza delle emozioni, la loro espressione, la capacità di credere in sé, di gestire le relazioni, l’amore e l’affetto. Per chi come me ha potuto incontrare e conoscere il mondo dell’infanzia sa come questi valori influenzino enormemente la crescita e gli apprendimenti. Le strade della mia vita mi hanno condotta in diversi modi alla vicinanza con bambini e adolescenti: durante l’anno di servizio civile, all’interno di associazioni di volontariato e nel mio lavoro come educatrice in una comunità familiare. Da queste esperienze ho imparato ad apprezzare il valore di un contesto di cura come motore di cambiamento individuale; la centralità della condivisione e del dialogo, come gioco a somma positiva; l’importanza di offrire ai bambini competenze autonome, critiche, riflessive. Negli anni, ho maturato la consapevolezza di voler dedicarmi all’insegnamento, riconoscendo l’importanza della figura del maestro nella vita del bambino, la sua vicinanza prolungata nelle giornate e negli anni cruciali per lo sviluppo. Fu proprio nel percorso di studi di Scienze della Formazione Primaria che conobbi il metodo della Philosophy for Children, dell’americano Matthew Lipman. Da subito mi sono scoperta affine al pensiero di questo autore, che spese la sua vita a impostare un innovativo curricolo scolastico. Ripensando con commozione ai momenti di convivialità trascorsi con i giovani, mi chiedevo se non avessi, in piccola parte, praticato anch’io la P4C, sognando come, forse, la passione dell’autore, raccolto nello studio della sua casa di Montclair, fosse stata simile alla mia. Così, iniziai le mie ricerche, partecipando ad alcune sessioni di P4C con adulti, nel contesto universitario padovano, e soprattutto con bambini, in una scuola primaria di Verona. Quello che osservavo era un potente strumento che garantisce pari opportunità all’interno del gruppo nell’esposizione delle proprie idee, una tecnica per sviluppare competenze espressive e relazionali, che favorisce i momenti di riflessione e le situazioni comunicative autentiche. Il dialogo maieutico ispirato a Socrate costituisce l’attività centrale di una sessione di P4C, che può diventare quindi il luogo dove i bambini interiorizzano l’etica del dialogo, imparando a pensare con la propria testa, a ragionare criticamente e creativamente. Il bambino che cresce e si forma in un contesto di democraticità non farà che riproporre lo stesso stile relazionale e comunicativo nella propria vita.

Nello scegliere l’argomento di tesi decisi di seguire il mio cuore, piuttosto che ragionare su quale professore fosse più disponibile, o di fare considerazioni pragmatiche sulle tempistiche di laurea. Ciò che contava era indagare un argomento di interesse, fare qualcosa che mi coinvolgesse e appassionasse. Una scelta che risultò condizionante nel determinare il tipo di insegnante che avrei voluto essere. Fu infatti durante il tirocinio di tesi sulla P4C che incontrai e lavorai assieme alla tutor Cosetta, una maestra motivata e scatenata che è per me modello di riferimento umano oltre che professionale. La sua carriera mi ha fatto capire come la P4C rappresenti un programma di formazione in primis per gli insegnanti coinvolti, un’occasione per ribaltare le modalità di conduzione frontale delle lezioni, la tanto obsoleta “trasmissività”. La scuola del terzo millennio necessita di riforme che infrangano in profondità vecchi e impliciti paradigmi. La P4C rappresenta un modo di apprendere circolare, democratico, collaborativo e co-costruito. Rappresenta uno “stile di vita” improntato alla ricerca e alla riflessività, che si fanno habitus del docente all’interno delle quotidiane azioni didattiche.

Ancora, il ruolo della P4C è stato estremamente valevole all’interno della Didattica a Distanza. Il setting digitale ha portato la P4C dentro alle case, nelle cucine e nelle camerette degli alunni. In un momento così tragico come quello della pandemia, che i bambini spesso hanno vissuto silenziosamente, la P4C ha rappresentato per loro uno spazio efficace di ascolto attivo e di auto-espressione, uno strumento per mantenere connessi gli alunni e le loro maestre, in uno spazio di dialogo e di cura, di rispetto e di comunione.

Frequentare il corso di SFP è stata una sfida immane: 6 anni di studi, tirocini sfiancanti, confronti, riflessioni sulla pratica di questo lavoro e su di me come persona. Il tutto continuando a lavorare nel sociale. La soddisfazione maggiore può ben dirsi quella di essere giunta al termine di un percorso tanto impegnativo. Una strada imboccata con leggerezza e quasi per sfizio, che ha condizionato in modo prepotente il mio futuro, così come, a volte, gli eventi più banali nelle nostre vite sono quelli che le influenzano maggiormente. Grazie a questa tesi di laurea ora ho vinto un concorso nazionale indetto dal CRIF, il Centro di Ricerca sull’indagine filosofica, che mi dà accesso ad una formazione estiva presso una “scuola di pratica filosofica”. Non posso non chiedermi quali strade questa esperienza ancora mi aprirà, come potrò spendere queste competenze. Nella vita facciamo tante esperienze, ciascuna colorata di sfumature calde o fredde, tenui o accese, dai toni cupi o vivaci.

Ognuna di esse ci aiuta a rivelarci ciò che siamo stati o siamo o vorremmo essere. Ogni incontro, ogni scelta, ogni caso può apparire oscuro perché le sue conseguenze ci sono ignote. Ma la vita, così come la P4C, ci insegna ad abitare con coraggio questo spazio, perché è il luogo della consapevolezza e della responsabilità.

Sara, laureata in Scienze della Formazione Primaria

Il vantaggio di avere dei titoli che valgono doppio

“Sono assegnista di ricerca in Filosofia Morale presso il Dipartimento di Scienze Umane, ed ho avuto l’occasione di partecipare ad un importante evento grazie alla mia esperienza universitaria.

L’evento per il quale sono stata coinvolta, organizzato dall’Ambasciata tedesca a Roma, consisteva in un panel virtuale tra Nunzia Catalfo, Ministra del Lavoro per il Governo italiano, e Hubertus Heil, Ministro del Lavoro per il governo tedesco, sulla tema della migrazione del lavoro in Europa dal punto di vista italo-tedesco. 

Sono stata invitata ad intervenire con un breve video, riportando la mia esperienza di studio e ricerca tra Italia e Germania: una laurea magistrale a doppio titolo e un dottorato a titolo congiunto.

L’evento si è tenuto in diretta streaming, credo che la mia video-testimonianza possa riassumere al meglio quella che è stata la mia esperienza italo-tedesca.

Buona visione!”

Giulia, assegnista di ricerca al Dipartimento di Scienze Umane
Instagram: @giulia.battistoni.90

In Erasmus a Leeds ho capito che noi europei abbiamo più cose in comune di quanto crediamo

“Un rientro anticipato di 3 mesi, in un’Italia in piena quarantena, non è riuscito a rovinare il ricordo di una delle esperienze più coinvolgenti ed intense della mia vita. Chiudere in bellezza, ho imparato, non è sempre possibile; tuttavia, la paura di un addio non deve scoraggiarci da intraprendere avventure che possono cambiarci la vita.

Anche se inizialmente timoroso per alcune difficoltà burocratiche, superate grazie al puntuale aiuto di docenti e personale Univr, sono riuscito a coronare il mio sogno di internazionalizzare la mia formazione.

L’iniziale senso di timore, una volta uscito dalla caotica stazione dei treni di Leeds, ha ceduto il passo a un senso di libertà mai provato prima. Un senso di libertà che, non so ancora bene come, sono col tempo riuscito a sublimare nella creazione di una daily-routine tutta mia, capace di coniugare tre, quattro parties a settimana – che si tenevano nelle casette tutte uguali della mia amata 45 Mayville Avenue – con il superamento degli impegni universitari scanditi dal mio Learning Agreement (LA).

Una cosa che mi ha sorpreso è la flessibilità che mi è stata offerta nella scelta dei corsi. Essendo iscritto “sotto condizione” al primo anno di magistrale, e non avendo quindi ancora conseguito la laurea triennale, l’Università di Leeds non mi ha permesso di iscrivermi ad alcuni corsi “Master level” (magistrale). Il referente di sede qui a Verona, tuttavia, mi ha concesso di inserire nel LA sia esami “BA level” (ovvero della triennale) che “MA level”. La flessibilità dimostrata dall’Università di Verona mi ha permesso di completare il primo anno di magistrale all’estero e di farlo, tra l’altro, con una media dei voti più alta rispetto alle mie aspettative – vista la ratio, a mio dire, indulgente delle tabelle di conversione dei voti.

Devo ammetterlo, a livello architettonico e museale Leeds ha di che invidiare a molte città a noi più vicine, ma una cosa è certa: ritrovarmi immerso in una cultura diversa dalla mia, convivendo con persone provenienti da diverse regioni del Regno Unito, qualcosa mi ha insegnato. Se, da un lato, ho scoperto che pure loro non si capiscono se parlano in dialetti diversi, dall’altro lato ho imparato che in fondo, al di là delle difficoltà di comprensione linguistica e culturale, una serena convivenza è certamente possibile, se basata sul rispetto del punto di vista altrui e sul riconoscimento della relatività del proprio.

Un’altra cosa che non avrei conosciuto altrimenti, e che nemmeno credevo esistere, è il sentimento di comunanza che si prova stando insieme a ragazzi europei provenienti da altre nazioni. Oltre alla facilità di comunicazione data da una lingua comune comunemente mal parlata, il sentimento diffuso di familiarità che ci avvolgeva durante le sfide a beer pong e ring of fire è un qualcosa che difficilmente scorderò.

E, alla fine, penso che il progetto Erasmus sia stato pensato proprio per questo: per farci capire che, così in classe come al pub, noi europei abbiamo più cose in comune di quante crediamo.

Non mi resta che ringraziare l’Università di Verona e con essa le persone che mi hanno costantemente seguito nella realizzazione di un sogno. Ora tocca a voi!”

Giulio, studente di Scienze Filosofiche
Instagram: @giulio_geromella

Volevo dare una svolta alla mia carriera da nuotatrice e ho scoperto la filosofia

“Mi sono trasferita a Verona per dare una svolta alla mia carriera da nuotatrice, ma ho scoperto anche una nuova passione, la filosofia. Ho scelto questo corso perché sono affascinata dall’amore per la sapienza , dalla dialettica e dalla continua ricerca della verità, mi interessa lo studio critico, anche sistematico di una gamma illimitata di idee e problemi .Credo ci sia un legame tra la mia attività agonistica e il mio percorso di studi, la filosofia deve diventare la forma mentis che mi aiuti nello sport. Quando una gara va bene non ci sono problemi ma quando le cose non vanno è lì che non bisogna perdersi d’animo, lì che bisogna ricercare le cause , affrontarle e trovare il giusto equilibrio. Nel nuoto come nella vita, avere una mente aperta ti aiuta ad affrontare i problemi in maniera diversa”.

Rachele, studentessa, di Filosofia

 

 

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