“Allora, cosa ti porti a casa da questa esperienza?”. Era questa la domanda che, durante l’ultima settimana del mio Erasmus, circolava incessantemente negli appartamenti, nei corridoi dei palazzi e negli spazi aperti di Kortepohja, il famoso quartiere che ospitava la maggior parte dei ragazzi che avevano scelto la città finlandese di Jyväskylä come meta del loro viaggio-studio. La questione non trovava facile risposta: le consapevolezze e le emozioni che sollevava erano parecchie e quasi inesprimibili a parole. Eppure, io non avevo dubbi circa l’insegnamento più prezioso che quei cinque mesi in Finlandia mi avevano trasmesso e che sarebbe rimasto con me per sempre: se si ha la forza di guardare in maniera diversa alle cadute che inevitabilmente si presentano nel corso della vita, non solo esse possono essere superate, ma possono anche diventare occasioni di luminose risalite.

La mia avventura non iniziò nel migliore dei modi: dopo tre settimane dall’arrivo nell’affascinante Paese nordico e dieci giorni di quarantena, in una fase oscillante tra ambientamento e solitudine, contrassi il Coronavirus. L’evento rappresentò un problema non da poco: la quasi totalità degli studenti accettati si era ammalata e nessuno sapeva, a fronte di un inatteso focolaio di contagi scoppiato in città, quali sarebbero state le conseguenze di tale imprevisto; inoltre, l’infinito buio invernale, la mancanza di dimestichezza con i luoghi e con lo stile di vita, il non avere ancora attorno persone fidate su cui contare e da cui poter ricevere aiuto, fomentavano il senso di disorientamento e preoccupazione. Sentivo dentro di me il peso di una profonda sconfitta: evidentemente, come molti giudicavano prima della mia partenza, avevo sbagliato a lasciare casa in un momento storico così delicato come quello dell’emergenza sanitaria da Covid-19.

A fronte dell’angoscia che pervadeva le mie giornate in isolamento, pensai di rientrare in Italia non appena fossi guarita: sembrava questa la soluzione migliore, perché l’incerta atmosfera non consentiva di dare per scontata l’esistenza di un seguito positivo. Interrompere la faccenda sul nascere, sfuggendo in questo modo anche alle eventuali ulteriori sfide che si sarebbero prospettate

dopo la prima, rappresentava la via più comoda da imboccare; ma valeva davvero la pena lasciarsi atterrare dal primo ostacolo, per quanto arduo, e buttar via lo scenario di un periodo di vita e studio all’estero che tanto avevo desiderato? Conveniva rinunciare alla grande opportunità che l’Università di Verona mi aveva regalato, permettendomi di assaporare un pizzico di normalità e libertà negateci dalla pandemia? Capii che questa non sarebbe stata la mia scelta: volevo restare e affrontare la difficoltà, per ripartire poi con maggiore convinzione e sfruttare al massimo quell’esperienza. Ecco che la cupa e critica situazione sopraggiunta si rivelò essere una possibilità di autentica rinascita, una fertile occasione per il fiorire di potenzialità sopite in tempi di ordinarietà: solo grazie alle turbolenze in cui ero incappata, infatti, realizzai quanto fossi fortunata a poter svolgere il programma Erasmus nonostante tutto, e fui veramente pronta ad aprirmi e ad accogliere con entusiasmo ciò che mi attendeva. In effetti, una moltitudine di successi iniziarono successivamente a balenare per me: uscendo dalla mia zona di comfort e immergendomi completamente in un ambiente e in una cultura così diversi dai miei, potetti osservare fenomeni incredibili, come l’aurora boreale o il sole di mezzanotte, scoprire luoghi incantati, come gli innevati e silenziosi paesaggi della Lapponia, e provare attività elettrizzanti, come le immersioni post-sauna nel lago ghiacciato; strinsi intense amicizie e, misurandomi con diverse ed interessanti mentalità, imparai molto nel dialogo costante con l’altro; ebbi modo, per quanto riguarda l’aspetto universitario, di confrontarmi con materie e metodologie didattiche diverse, ricevendo freschi ed importanti stimoli che hanno contribuito ad ampliare la mia formazione.

Partire per l’Erasmus e rimanerci è stata quindi la decisione vincente. Devo ammettere, però, che questa non fu frutto soltanto dei miei pensieri: ad infondermi coraggio furono i miei cari, il Referente del Corso di Studi, la Referente alla Mobilità Internazionale di area filosofica e diversi docenti, i quali, insieme al personale dell’Ufficio per la Mobilità Internazionale, si prodigarono per supportarmi e tutelarmi, riflettendo assieme a me e rassicurando la mia famiglia. Desidero ringraziare sinceramente i miei professori, non solo per non avermi mai fatta sentire sola in questa sfortunata circostanza, ma anche per avermi motivava ad intraprendere un percorso di mobilità: anche con tutti gli inconvenienti del caso (anzi, soprattutto con questi), rifarei innumerevoli volte questa esperienza, perché, facendomi oltrepassare pregiudizi e paure, mi ha permesso di incontrare nuove e ricche realtà, di conoscere più a fondo me stessa e di crescere sotto parecchi punti di vista. Dirò qualcosa di scontato, ma in cui credo fermamente: l’Erasmus ti cambia la vita!”

Lucia, studentessa di Scienze Filosofiche
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