Niccolò Vallenari (Unaforesta), dalla tesi sui social all’impresa

Niccolò Vallenari, laureato in Economia aziendale all’Università di Verona, è oggi a capo di Unaforesta, importante società di consulenza che collabora con alcuni dei più prestigiosi brand dei settori sport, moda e design. La sua storia è affascinante perché il lavoro che svolge nasce dall’intuizione, avuta oltre dieci anni fa, nella scelta dell’argomento di tesi: i social network in ambito aziendale. Un tema che al tempo era ancora poco esplorato.

Ciao Niccolò, presentati in poche parole.

Sono Niccolò Vallenari, Alumno Univr in Economia aziendale e imprenditore co-fondatore di Unaforesta, società di consulenza in ambito sport, moda e design.

Come è nata l’idea di Unaforesta?

L’idea nasce grazie alla collaborazione e al supporto di diverse persone. Il mio percorso professionale parte ben prima della laurea, con esperienze in piccole aziende nel settore della moda durante gli studi. In effetti, Unaforesta nasce come estensione della mia esperienza universitaria. Ho frequentato il corso di laurea triennale in Economia aziendale, un percorso che mi ha sempre affascinato e ho sempre voluto fare, considerando che la mia idea originale era quella di diventare commercialista.

La tesi di laurea può rappresentare uno strumento di grande importanza. Raccontaci della tua esperienza.

Penso che la tesi di laurea possa essere uno strumento pazzesco perché quando una persona sceglie un argomento, allora lo svilupperà mettendoci il cuore. In questo modo la tesi può diventare un biglietto da visita importante. Il mio lavoro è nato proprio così: scegliendo un argomento – i social network in ambito aziendale – piuttosto sperimentale ai tempi (più di una decina di anni fa). Poi un’azienda ha chiesto di visionare la tesi, l’argomento è piaciuto e così l’ha trasformata in un corso. Per un periodo ho quindi insegnato l’utilizzo dei social a imprenditori in giro per l’Italia. Sono diventato consulente e, quando le collaborazioni sono aumentate, io e i miei soci abbiamo creato una società partendo dall’area digital. Con il tempo le nostre competenze sono aumentate e oggi siamo una società di consulenza.

In che modo le tue caratteristiche personali si riflettono su questa azienda?

Qui dentro c’è tanto della mia personalità in chiave positiva, ma mi rendo conto che in realtà vi si riflettono anche elementi meno positivi. Ad esempio, io sono innamorato del mio lavoro e questo aspetto a volte rischia di influire un po’ troppo sul team: se parlo sempre e solo di lavoro, gli altri potrebbero sentirsi obbligati a fare lo stesso. Però sono convinto che l’equilibrio tra lavoro e vita privata sia fondamentale, e negli ultimi anni per quanto mi riguarda questa componente è diventata una delle mie priorità.

Direi però che in generale la cultura aziendale è espressione della cultura e del mindset dei soci che prendono le decisioni chiave. Non a caso qui dentro ci rivedo una serie di mie caratteristiche: l’attenzione al dettaglio, il fatto di provare costantemente una sana insoddisfazione per fare sempre meglio. Qui dentro c’è anche la mia intraprendenza: da un punto di vista progettuale e operativo non bisogna mai accontentarsi e guardare sempre oltre. Serve la voglia di fare, la fame per mantenere viva la voglia di crescere, imparare e misurarsi con professionisti.

Cosa ti porti dietro dai tempi dell’università?

Il fatto di porsi dei propri obiettivi, darsi delle scadenze nei confronti di qualcosa che non ti viene imposto categoricamente. Come si decide di distribuire gli esami e prepararli è a discrezione dello studente. Il calendario, ad esempio, ho iniziato a usarlo proprio durante gli studi per far combaciare il tutto e oggi è uno degli elementi imprescindibili del mio lavoro. Per lavoro sono anche tornato ad approfondire tematiche meramente economiche che negli anni di studi non reputavo così importanti ma che oggi hanno invece una rilevanza per me, come la capacità di analizzare i numeri, fondamentale per prendere decisioni a livello aziendale.

Gli anni trascorsi all’università per me hanno significato molto anche dal punto di vista dei rapporti personali: il mio socio, per esempio, era un mio compagno di corso. Ricordo con piacere anche la web radio dell’università FuoriAulaNetwork, dove ho avuto la possibilità di entrare in contatto con diverse persone provenienti dal mondo delle imprese.

Penso di avere “assorbito” molto anche dagli imprenditori che venivano invitatati a lezione all’interno del mio corso di studio. L’università fornisce agli studenti una chiave per poter aprire tantissime porte: ad esempio, chi decide di dedicare la sua tesi allo studio di un’azienda avrà certamente la possibilità di frequentarla e conoscere l’imprenditore in quella realtà.

Come si svolge dentro e fuori da qui la tua giornata tipo?

Mi dedico come prima cosa a mia figlia. Arrivo in ufficio verso le 9 o 9.30, facciamo una riunione d’allineamento per tutti, un momento di confronto che permette di distribuire i carichi di lavoro. Di lì in poi si procede con il lavoro autonomo. Io mi occupo di tutti gli aspetti relativi all’azienda: dalla programmazione finanziaria all’aspetto economico, dalla strategia alla comunicazione e alle problematiche più importanti. La parte più complessa di un lavoro nel settore della comunicazione e del marketing è comprendere – grazie al proprio senso critico – i trend in atto e se questi possano funzionare o meno.

Un’attività importante che porto avanti è il colloquio faccia a faccia con tutti i collaboratori per parlare delle difficoltà personali e interpersonali. Bisogna lavorare sulle persone e questo è lo strumento che abbiamo individuato per ottenere un posto di lavoro desiderabile.
Ogni giorno mi impegno a dedicarmi equamente al lavoro e alla famiglia, perché il tempo che non passo qui dentro deve essere di una qualità molto alta.

Un consiglio da dare agli studenti?

Se fossi ancora studente vorrei ricevere un messaggio positivo di ottimismo verso il futuro prossimo. Penso che a chi oggi si affaccia sul mondo del lavoro, tra i tanti eventi che minano le nostre certezze, serva soprattutto entusiasmo. A quell’eta, nel pieno delle proprie facoltà mentali e fisiche, si dovrebbero poter vedere soprattutto le cose belle, quelle che funzionano bene, per dire “non ho scuse”.
C’è poi da considerare che noi italiani abbiamo un credito incredibile da poter spendere nel mondo, in qualsiasi settore. Il problema è che nel nostro Paese facciamo fatica a sviluppare un’idea e a darle una dimensione globale. Oggi siamo cittadini del mondo e questo rappresenta allo stesso tempo una complessità ulteriore ma anche un’opportunità rispetto anche solo a qualche decennio fa.


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Giovanna Residori, direttrice del Museo Miniscalchi-Erizzo


Giovanna Residori è laureata in Lettere all’Università di Verona. Oggi ricopre l’importante figura di direttrice della Fondazione Museo Miniscalchi-Erizzo di Verona, dove hanno sede opere dal grande valore artistico e culturale. Si sente una privilegiata perché è riuscita a trasformare una grande passione nella sua professione. “Il museo non è soltanto una porta che si apre e si chiude al visitatore – afferma – dietro si nasconde un mondo”  

Buongiorno Giovanna, raccontaci un po’ di te.

Mi sono laureata in Lettere all’Università di Verona durante l’anno accademico 1998/1999. Dopo aver conseguito il titolo e un master in Museologia ho collaborato con vari musei. Sono stata ad Amsterdam, a Parigi e, prima di tornare a Verona, a Bologna per molti anni.

Come ha inciso sul tuo percorso l’esperienza all’Università di Verona?

Ricordo gli anni dello studio con grandissimo piacere. È stato un periodo intenso, eravamo un gruppo di studenti legati all’ambito archeologico, tutti molto affiatati e uniti. Basti pensare che molti dei miei colleghi di corso sono ancora tra i miei migliori amici. C’era uno stretto rapporto tra le discipline studiate e la realtà lavorativa esterna, come il mondo dei musei e degli scavi archeologici. Posso affermare che è stata davvero un’esperienza molto importante.  

Cosa significa lavorare in un museo?

Lavorare in un museo significa crederci, volerlo e desiderarlo, non arrendersi alle prime difficoltà o ai primi rifiuti. Mi sento una privilegiata perché sono riuscita a trasformare la mia grande passione nella mia professione. Il museo non è soltanto una porta che si apre e si chiude al visitatore, dietro si nasconde un mondo che non riguarda solamente l’ambito della storia o dell’arte. Le attività sono variegate, finalizzate a rendere sempre più comprensibili le collezioni che ci si trova a dover tutelare e valorizzare, ma non mancano i continui aggiornamenti sui metodi di fruizione delle opere che sono in continua evoluzione. Il pubblico ha esigenze sempre diverse.  
I musei oggi non sono più il luogo dove vengono semplicemente esposte delle opere: oggi possiamo paragonarli alle agorà, ovvero delle piazze dove ci si può incontrare, scambiare delle esperienze, si possono presentare dei libri, si organizzano attività per adulti e bambini.  

La direttrice di un museo: chi è e cosa fa.

Il direttore è l’immagine del museo. Si tratta di una carriera difficoltosa ma non impossibile, serve sacrificio, come in tutti i lavori, d’altronde. Questo ruolo ti pone davanti a tante responsabilità che spaziano tra questioni amministrative, di sicurezza, di funzionamento e di valorizzazione.  

Oggi si parla molto di digitale, credi che l’esperienza diretta in un museo possa essere sostituita da un’esperienza da remoto?  

Credo che l’esperienza diretta sia insuperabile. L’emozione che può suscitare osservare una tela, un dipinto, un oggetto o comunque qualcosa creato dall’uomo non penso possa essere superata da un’esperienza esclusivamente digitale. Parlo proprio pensando al nostro museo che racconta la storia di una famiglia che ha deciso di donare il patrimonio mobiliare storico-artistico alla città di Verona rendendolo pubblico. Le sale che ospitano le collezioni, per oltre cinque secoli sono state le stanze della famiglia Miniscalchi-Erizzo, loro hanno calcato questi pavimenti e vissuto questo palazzo. L’emozione di accedere allo scalone o di entrare nella sala delle armi non può essere imitata da nessuna tecnologia moderna. Noi non trascuriamo il virtuale, ma in questo momento ritengo che sia uno strumento utile per veicolare le persone ad un’esperienza diretta, più profonda. 

Com’è la tua routine quotidiana?

La mia giornata tipo inizia molto presto con la lettura dei quotidiani. Arrivata al museo, cerco di concentrare in mattinata gli incontri con i collaboratori, verificare lo stato di avanzamento delle attività e programmare quelle future. Il pomeriggio lo trascorro studiando le collezioni e i documenti di archivio.  

Hai un consiglio da dare agli studenti? 

Essere curiosi e aperti verso nuove esperienze. Cogliere qualsiasi opportunità, sia lavorativa che formativa perché tutto serve ad arricchire e a determinare professionalmente e personalmente un soggetto. 

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