Walter Riviera, un Alumno Univr nel mondo dell’IA

Walter Riviera si laurea nel 2014 in Visual computing and pattern recognition (Ingegneria e Scienze informatiche) all’Università di Verona. È qui che inizia ad appassionarsi e approfondire un tema che oggi è più che mai attuale: l’intelligenza artificiale. Dopo una serie di esperienze approda al colosso informatico Intel, del quale è responsabile per l’area Europa, Medio Oriente e Africa. Nel frattempo, ha scelto nuovamente l’ateneo scaligero per il percorso di dottorato. 

Walter Riviera, parlaci un po’ di te.

Sono Walter Riviera e mi occupo di intelligenza artificiale. Sono il referente tecnico per l’area Emea, cioè Europa, Medio Oriente e Africa di Intel per quanto riguarda il mondo dei server e quindi dei data center. Sono laureato in Ingegneria e Scienze informatiche all’Università degli Studi di Verona.

La scelta universitaria è stata dettata dalla tua passione per linformatica oppure da una scelta consapevole?  

La scelta del mio percorso universitario è stata caratterizzata da entrambi gli elementi: sia dalla consapevolezza che dalla curiosità, accompagnata anche dalla passione. L’interesse verso l’aspetto dell’elaborazione del segnale – fosse esso audio, video, un’immagine o altro – è stato il motivo che mi ha fatto propendere per l’informatica multimediale anziché per quella classica. 

Questa scelta si è poi evoluta nella magistrale che allora veniva chiamata Visual computing and pattern recognitionPattern recognition oggi si traduce come intelligenza artificiale, tematica che mi ha sempre affascinato. La tecnologia è un mondo brutale dal punto di vista delle competenze perché è un ambito in continua evoluzione che richiede un costante aggiornamento, per cui, per stare al passo con i continui cambiamenti, oltre alla consapevolezza e alla competenza, una buona dose di passione aiuta. A distanza di otto anni dalla laurea mi sono rimesso in gioco, sempre con l’Università di Verona, iniziando un dottorato nell’Apprendimento Federato, una tecnica nella quale credo tantissimo e che sarà parte del futuro ma che, in realtà, caratterizza già il nostro presente. 

Qual è stato il tuo percorso professionale? 

Ho finito la magistrale nel 2014, subito dopo ho vinto un assegno di ricerca con l’Università di Verona e ho lavorato sui classificatori. Successivamente ho vinto un altro assegno, questa volta a Glasgow, in Scozia. Sono poi tornato in Italia e, dopo vari curricula inviati e qualche colloquio, sono arrivato a Intel. 

Quando si fa esperienza, che sia positiva o negativa, bisogna prendersi del tempo per metabolizzare, perché è in questo modo che si riesce a imparare e migliorare. Se giochi sempre le stesse carte, qualche partita la perdi: devi adattare le carte che giochi alla partita che hai davanti. Bisogna “farsi i complimenti” non solo quando si vince, ma soprattutto quando si sbaglia e si impara dagli errori.  

Parlando dellintelligenza artificiale, come pensi che potrà essere assimilata da noi “profani”? Quali sfide dovrà superare questa tecnologia per entrare nelle nostre vite e quindi aiutarci? 

Per entrare nelle nostre vite, direi che l’IA ha già superato le sfide necessarie, ha bisogno solo di tempo prima che venga sfruttata al massimo del suo potenziale. Il mondo sta per essere letteralmente “shakerato” e la realtà che conosciamo oggi resterà solo nostra perché il domani sarà totalmente diverso. 

Pensiamo ad esempio come l’IA un anno fa si è presentata al mondo con ChatGPT, alla quale è poi seguito il generatore di immagini. Per poter comprendere la portata di questi strumenti, non ci si deve soffermare sulla semplice possibilità di chiedere e ottenere una ricetta pronta da cucinare o creare un’immagine frutto della nostra fantasia. 

Pensiamo invece all’IA come uno strumento in grado di leggere e scrivere, al servizio di una macchina per dare comandi. Il mouse e la tastiera sono stati costruiti perché il computer è una macchina, ma se non si interagisce con questa, allora non si ottiene un risultato. L’interfaccia grafica del computer è stata creata proprio per permettere di “sbloccare” un bacino di utenti notevolmente maggiore rispetto a quello degli addetti ai lavori, cioè coloro che sanno scrivere il codice. 

Ora, disporre di un sistema che mi “traduce” tastiera e mouse in un dispositivo al quale posso parlare e ottenere risposta, potenzialmente permette anche a un analfabeta di riuscire ad inviare una e-mail, semplicemente perché impartisce i comandi parlando. Se mettiamo questo, ad esempio, nella casa di un anziano che non può arrivare al telefono e che ha bisogno di aiuto, oppure nelle automobili e nei computer di ognuno, pensiamo ai benefici che può generare. Le innovazioni introdotte da questo strumento impatteranno praticamente su tutti i settori.

Descrivici la tua giornata tipo.  

La mia giornata lavorativa tipo si divide in quattro aree di attività principali: educare e informare i clienti, che in genere sono grandi imprese o istituti di ricerca, in merito a quanto Intel fa nell’ambito dell’intelligenza artificiale dal punto di vista software e hardware; ottimizzare i loro processi; costruire demo e fornire consulenze tecniche per il design di queste infrastrutture; infine studiare, tenermi aggiornato e imparare. 

Che consiglio daresti ai ragazzi che si affacciano sul mondo del lavoro? 

Ai ragazzi consiglio di fare tanta esperienza lavorativa, ma soprattutto umana, durante il percorso di studi. Personalmente sono stato rappresentante degli studenti, sono stato animatore e il mio essere uscito “fuori strada” mi ha permesso di acquisire delle competenze che sono riuscito poi a sfruttare durante il mio percorso professionale, investendo così quel tempo e quelle risorse in altre sfide. Altro consiglio che mi sento di dare ai ragazzi è quello di imparare a interagire e dialogare in modo efficace: con educazione si può chiedere qualsiasi cosa.


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Dopo le mie ricerche sul campo in Nuova Caledonia ho vinto una borsa post-doc al Musée du Quai Branly di Parigi

“Sono un dottore di ricerca in Antropologia. Ho seguito i miei studi universitari presso la Sapienza di Roma, poi grazie a una borsa di studio offerta dall’Università di Verona, dipartimento Culture e Civiltà, ho potuto frequentare il Corso di Dottorato inter-ateneo in Studi Storici, Geografici e Antropologici che lega le università di Verona, Padova e Venezia. Questa esperienza è stata per me molto formativa poiché mi ha permesso non solo di interagire con colleghi di altre discipline, ma anche di intraprendere proficui scambi con studiose e studiosi esperti dell’Oceania, grazie all’interesse ormai consolidato dell’Università di Verona verso il Pacifico (ESfO 2008, Convenzione con l’Université de la Nouvelle-Calédonie e con il Musée de la Nouvelle-Calédonie, e vari progetti di ricerca).

Dal 2015 lavoro infatti in Nuova Caledonia, un arcipelago nell’Oceano Pacifico. Si tratta di un territorio francese sui generis iscritto da più di trent’anni in un complicato ma irreversibile processo di decolonizzazione. Ho svolto la maggior parte della mia etnografia a Wëté, un villaggio sulla catena montuosa centrale della Grande Terre (l’isola principale dell’arcipelago). I miei studi si sono interrogati sulla condizione della gioventù kanak (il popolo autoctono), al centro delle attuali politiche pubbliche e del dibattito sul futuro del paese. La jeunesse kanak è spesso stata il bersaglio di discorsi stereotipati che descrivono la gioventù indigena come delinquente, deviante e in preda a una completa perdita di punti riferimento identitari (e dunque incapace di gestire autonomamente il futuro del Paese). La mia ricerca di dottorato, incentrata sulle pratiche locali di trasmissione e valorizzazione del passato e sulle politiche culturali nazionali, ha messo in evidenza invece la creatività e la ricchezza delle pratiche giovanili e del loro intimo rapporto con il patrimonio e con la “tradizione”, mostrando come tali retoriche siano di parte.

Al mio ritorno in Italia, con il sostegno e la collaborazione della mia tutor, la professoressa Anna Paini (antropologa, oceanista), ho potuto organizzare diverse conferenze scientifiche: non solo siamo riusciti a invitare diversi ospiti internazionali, ma abbiamo anche sperimentato nuove forme di condivisione come la giornata seminariale interdisciplinare tenutasi nell’aprile del 2019, che ha coinvolto più dipartimenti dell’ateneo e ha permesso di ospitare dieci giovani ricercatori e ricercatrici kanak che hanno dato vita a un originale scambio. Uno dei momenti più significativi della mia esperienza di dottorato!

Grazie all’accordo già esistente tra Univr e Université Aix-Marseille, ho potuto poi essere accolto per due mesi presso il Centro di Ricerca e Documentazione sull’Oceania (CREDO) e partecipare, insieme alla prof. Anna Paini all’organizzazione del prossimo convegno ESfO (European Society for Oceanists) che si terrà nel 2022 in Corsica.

Questa ricca esperienza si è felicemente conclusa nel settembre 2020, quando ho ufficialmente ricevuto il titolo di dottore in Antropologia (con lode!)… ma ne è subito iniziata un’altra.

Durante il periodo del lockdown, mentre cercavo di concludere la stesura della tesi e pensavo con terrore al mio futuro prossimo, ho provato a partecipare al bando per la prestigiosa borsa di ricerca offerta dal Musée du Quai Branly di Parigi con un progetto intitolato “Le Kaneka de Nouvelle-Calédonie: circulation de connaissances et réveil de consciences”. A giugno ho scoperto di essere stato ammesso tra i finalisti. Ho sostenuto il colloquio orale con il cuore in gola, davanti a una commissione composta da 20 esperti. Per me quello era già un traguardo.

La bella notizia è quindi giunta inaspettatamente: ero stato selezionato tra i cinque vincitori, e ho subito iniziato a pensare al trasloco in Francia. Malgrado il Covid-19, che forse non mi permetterà di ritornare sul campo, sono molto felice di avere avuto la rara opportunità di continuare a fare ricerca in una istituzione museale specializzata nell’antropologia.

Lo auguro a tutti e a tutte!”

Matteo, Dottore di Ricerca in Antropologia

Dottorarsi in pantofole, quale eufemismo!

“Probabilmente l’avvicinarsi della discussione della tesi di Dottorato non è paragonabile al terrore che don Abbondio ebbe all’appropinquarsi dei Bravi, miei venticinque (e spero anche qualcuno di più) lettori; tuttavia, almeno da parte mia, non mi appariva certo come una passeggiata della salute. Il dover cercare di rendere quanto meno comprensibile (“interessante” è un termine da Iperuranio) la mia ricerca, e doverlo fare in lingua inglese, mi atterriva già prima di scoprire che avrei affrontato la questione attraverso la cosiddetta, famigerata, “modalità Covid”; ossia online, dietro lo schermo di colui (sì, la personificazione non è casuale) che tutti noi abbiamo imparato a conoscere a fondo nei due mesi circa di lockdown: il PC.

La preoccupazione maggiore non poteva che essere una: l’assenza di connessione (o l’instabilità, che è, se possibile, ancora più terrificante perché foriera di fermi immagini il più delle volte parodistici). Invece tutto è filato fortunatamente liscio come l’olio (perdonate il colloquialismo di tale immagine, ma ritengo sia iconica come poche). Anzi, ad essere sinceri, forse anche di più. Paradossalmente, il non avere una platea fisicamente di fronte, ha abbassato il livello di tensione (se qualcuno fra voi studia Psicologia potrà sicuramente fornire una spiegazione adeguata) con il risultato di esporre la mia presentazione in maniera quanto meno soddisfacente. Non mi soffermerei nella descrizione dell’evento in sé, e neppure sul cerimoniale di vestizione precedente alla discussione.

Ora, alcuni doverosi ringraziamenti. Il primo va al Corso di Dottorato in Economia dell’Università ed in particolar modo al coordinatore del Corso ed al mio supervisor, per avermi permesso di migliorare costantemente, non solo dal punto di vista delle skills acquisite, ma anche a livello di esperienze di vita. Il secondo ringraziamento va ai miei colleghi, i quali hanno sempre allungato una mano in mio soccorso. Il terzo ringraziamento è alla mia famiglia. Il quarto ed ultimo è rivolto alla mia fidanzata, la quale è stata àncora di sostegno in questi anni, anche quando la barra del timone sembrava non poter reggere.

Concludo con un invito a tutti voi (o, almeno, a coloro che sono arrivati a leggere fin qui). Non mollate mai, anche quando la montagna sembra troppo impervia. I professori non sono qui per “fregarvi”, ma svolgono esattamente il ruolo di docenti, nel senso latino del termine. E ricordate: chiedere aiuto non è segno di debolezza ma di coraggio, perché solo ammettendo i propri limiti si può migliorare.”

Davide, Dottore di Ricerca in Economics

La logica ti porta da A a Z, l’immaginazione ti porta ovunque

Sin da piccola i computer mi hanno sempre affascinata. Ho ricevuto il primo computer a 7 anni. Non solo ci giocavo, ma cercavo di capire come funzionasse, tanto che ho dovuto mandarlo in riparazione nel tentativo di smontarlo e riassemblarlo senza successo.

I film di fantascienza sono la mia passione, robots che si comportano come persone e si mescolano tra di noi. Crescendo, qualsiasi materia includesse scrivere codici era la mia preferita. Mi sono quindi iscritta all’università di Verona, l’unica nel Veneto che offriva il corso in Informatica multimediale. Dopo aver frequentato il corso di Psicologia della percezione, volevo studiare come far interagire le persone con i computer e come questi potessero capire, analizzare le persone, le loro reazioni, emozioni, comportamenti e sintetizzarli in modo naturale per poter avere interazioni naturali come avvengono tra persone e come potessimo usarli come collaboratori non umani nei nostri progetti. Ho iniziato a esplorare come le persone interagiscono tra loro con comportamenti non verbali durante la magistrale e il dottorato. Ho esplorato machine learning e computer vision con sociologia, psicologia, neuroscienze, arte, affective computing per affrontare il problema in modo interdisciplinare.

Finito il dottorato volevo avere un’esperienza all’estero. Ho fatto un internship a Disney Research e poi mi sono trasferita a Los Angeles al Caltech a lavorare più approfonditamente su machine learning, computer vision e neuroscienze. Lì ho conosciuto persone fantastiche e lavorato a fianco ad alcune delle menti più brillanti del mondo. Nel postdoc volevo continuare a fare ricerca, scrivere codici, risolvere problemi reali e vedere il mio lavoro realizzato e trasferito in qualche prodotto che le persone potessero usare e gradire; mi piaceva vivere a Los Angeles e non volevo trasferirmi nella Silicon Valley, dove si trovano tutti i colossi che lavorano nel mio campo.

Ho deciso di unirmi a Disney Research LA e contribuire nella realizzazione del posto più felice al mondo. DR è un posto speciale per il tipo di sfide che ci poniamo e ci vengono poste. Come disse Walt Disney, “It’s kind of fun to do the impossible”. Ogni giorno nasce un progetto e si lavora con persone con background totalmente diversi. Lavoro su diversi progetti, come creare nuove tecnologie per artisti usando machine learning, dare la luce a personaggi Disney in forma di robot o virtuali che interagiscono con i gli ospiti nei parchi.

Il mio percorso sembra sia stato in discesa, ma non è così. Come studentessa ho imparato a cadere e rialzarmi. Essere lontana da casa non è facile, essere donna e lavorare in un campo dove il 90% delle persone sono uomini richiede continua affermazione delle tue abilità e tenacia. Scegliere di essere una ricercatrice nella nostra generazione significa scoprire, combinare discipline e andare oltre i confini della tecnologia, fare brainstorming con tipi di persone diverse per risolvere problemi.

Essere ricercatori non è fare quello che devi ma quello che ami, dove la passione per quello che fai è più forte dei pregiudizi o stereotipi. La logica ti porta da A a Z, l’immaginazione ti porta ovunque. Come disse Walt Disney, “Prima pensa, secondo sogna, terzo credi e infine osa”.

Cristina, dottoressa di ricerca del dipartimento di Informatica

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