Ricordi del mio semestre a San Pietroburgo

Questi giorni così drammatici della nostra contingenza mi portano a pensare che, solo tre anni fa, mi trovavo davanti alla stessa fermata della metro dove oggi migliaia di russi stanno manifestando contro la guerra in Ucraina. Nel 2019, infatti, sono partita per San Pietroburgo, tramite il progetto Worldwide Study dell’Università di Verona. 

Ai telegiornali e sui social, continuo a intravedere scorci della città in cui moltissime persone si trovano in coda agli sportelli bancari e ai negozi che si stanno via via dissolvendo. Sono gli stessi negozi in cui io, le mie amiche e amici andavamo spensierati alla ricerca di sconti durante i lunghi pomeriggi di inverno. Soltanto tre anni fa, a San Pietroburgo, la Nevskij era popolata da stranieri, turisti, ma anche studenti internazionali come noi. Noi che abbiamo scelto questa meta nonostante i timori e i pregiudizi dei nostri conoscenti, che già allora non erano troppo entusiasti che andassimo a vivere per cinque mesi in un paese così “particolare”. “Davvero andrai in Russia? Stai attenta…” per citarne una. Nonostante questo, noi abbiamo scelto proprio questa destinazione così inusuale, per vari motivi: c’era chi voleva migliorare la lingua russa, chi voleva studiare in una delle più prestigiose università della Russia, chi era semplicemente attratto da questo paese dalla cultura così affascinante. Ricordo ancora il momento in cui sono arrivata all’aeroporto, dove mi aspettava la mia amica russa Anna, e il tragitto in taxi che mi avrebbe portata nella mia prima casa, un appartamento in una delle vie più note della metropoli. La neve sulle strade e le luci delle insegne “Ресторан” (ristorante) mi avevano già incantata dal finestrino oscurato del taxi. Ricordo molto bene anche l’ultima notte a San 

Pietroburgo, in cui mi aggiravo senza meta sotto quel cielo blu chiaro ammirando la Neva, l’Ermitage e la statua fiera di Pietro il Grande, con il vento tra i capelli e gli occhi lucidi, perché i miei piedi volevano rimanere sui marciapiedi su cui Rakol’nikov, Nureyev e Čajkovskij avevano passeggiato anni e anni prima. 

I ricordi di questa esperienza indimenticabile sono tanti, non solo dei luoghi che ho visitato e dell’immensità culturale che questa città mi ha trasmesso, ma anche delle persone che ho incontrato. Oltre alle amicizie nate in quel periodo con giovani russi e non solo, ci sono tanti uomini e tante donne che sono rimasti impressi nella mia mente e nelle note del mio iPhone, in modo che con il passare degli anni io non mi dimentichi mai di loro. Era gente comune, musicisti (bravissimi) di strada, clochards che sedevano immobili sui marciapiedi nel gelido inverno, con accanto a sé un piccolo bicchiere con dentro qualche rublo, donne e uomini che osservavo durante i tragitti in metropolitana. Erano personaggi che, appena sentivano me e il mio amico Adriano parlare in italiano, ci guardavano con ammirazione e che, più di una volta, si sono offerti di aiutarci a ordinare o semplicemente si sono fermati a conversare con noi. Ancora, ricordo quella volta in cui la nostra professoressa di russo, Svetlana, chiese a noi studenti internazionali di aiutarla durante le sue lezioni di conversazione inglese rivolte a dei ragazzini russi. Ad un certo punto della lezione, Svetlana chiese loro di cantare per noi la celebre canzone sovietica Katjuša: rimasi ancora una volta con gli occhi lucidi di fronte a quei giovani così educati, composti e intonati che cantavano per noi una canzone così potente. 

Sulla mia scrivania su cui sto scrivendo in questo momento, ci sono due matrëške, un libretto illustrato con delle poesie di Puškin, una versione in russo del libro “La valigia” dello scrittore Sergej Dovlatov e tanto altro. Questo mio breve racconto, oggi, riflette senza dubbio un sentimento di nostalgia per queste memorie russe, ma allo stesso tempo vuole trasmettere un messaggio positivo nei confronti della Russia, in quanto popolo russo e cultura russa, di fronte agli episodi di russofobia che stanno dilagando sempre di più. Spero che la parola pace, (мир in russo, che ha come altro significato quello di “mondo”) subentri il prima possibile al suo contrario e che inizi una nuova pagina della storia.

Irene, laureata in Lingue per la comunicazione turistica e commerciale, attualmente studentessa “Percorso formativo 24 cfr”

Instagram: @irinaannaloro96

Comunicare sostenibile, Univr for SDGs

Come definirei il XXI secolo? Insostenibile, senz’ombra di dubbio. Ma anche il momento giusto per agire nella direzione di un cambiamento concreto. 

Ho sempre visto la comunicazione come un elemento cruciale nelle nostre vite: ogni giorno, più o meno volontariamente, comunichiamo, riceviamo messaggi, interpretiamo ciò che ci circonda. Forse è un po’ questo il motivo che mi ha spinta a scegliere il mio corso di laurea: credo fermamente nelle potenzialità della comunicazione, strumento che, se utilizzato nel modo giusto, può determinare risposte significativamente positive da parte di chi riceve i nostri contenuti. Spesso, tuttavia, quando si pensa al tema comunicativo lo si connette implicitamente a tutta quella retorica legata al marketing “di facciata”, al greenwashing, alle tecniche finalizzate a persuadere il consumatore a comperare cose di cui non ha bisogno, sostenendo, in questo senso, un lifestyle all’insegna del consumismo. 

Mi sono sempre piaciute le sfide, e credo che la mia sfida sia proprio quella di dimostrare che la comunicazione può essere molto più di questo. Un paio di mesi fa ho avuto la fortuna di conoscere Francesco Molfese, studente di Filosofia e presidente dell’Associazione Univr for SDGs. Tale realtà mi ha, chiaramente, fortemente incuriosita, anche se doveva, di fatto, ancora nascere. Fu così che, nel giro di pochissimo tempo, sono diventata il braccio destro di Francesco: siamo sulla stessa linea d’onda, ed è facile per noi collaborare. Abbiamo lavorato intensamente per l’associazione, che sta, giorno dopo giorno, crescendo sempre di più, anche e soprattutto grazie al supporto che la RUS (Rete delle Università sostenibili) dell’Università di Verona ci sta offrendo. Attualmente siamo una decina di associati e abbiamo dei ruoli, necessari dal punto di vista prettamente organizzativo, perché questo ci consente di gestire meglio i compiti da ripartire tra noi: io, nello specifico, sono vicepresidente e PM Coordinator; dunque, mi occupo di supportare Francesco nelle varie attività nelle quali l’associazione è implicata e sovrintendo a diversi progetti, coordinando le nostre risorse. Sì, tra le varie cose – e le mie colleghe e colleghi di corso potranno confermarlo – sono a dir poco una maniaca dell’organizzazione. Questo per dire che, in Univr for SDGs, ognuno riveste una posizione legata alle proprie passioni, un talento o un’attività nella quale si vuole cimentare. Per noi è importante metterci in gioco per sensibilizzare sui temi dell’Agenda 2030 gli studenti e le studentesse, e lo facciamo divertendoci: al di là dei ruoli, collaboriamo tutti assieme sotto ogni punto di vista ed è dal nostro piccolo, dal luogo dove passiamo le nostre giornate, ovverosia l’Università, che pensiamo di dover partire. A parer mio la forza del nostro gruppo sta proprio nel rapporto di amicizia che si sta creando tra noi nonché nella fermezza con cui crediamo nella sostenibilità. Penso che la comunicazione sia essenziale per scatenare un cambiamento: un cambiamento per il pianeta, per la società, per noi stessi.

Elena, studentessa di Scienze della Comunicazione
Instagram: @elenapettenon | Instagram “Univr for SDGs”: @univrforsdgs

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