Francesca Palladini, dirigente medica all’Aoui di Verona

Francesca Palladini è dirigente medica e fa parte dell’equipe della Direzione medica ospedaliera per le Funzioni igienico-sanitarie e prevenzione del rischio dell’Aoui, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona. Al percorso formativo avviato con la laurea in Medicina e chirurgia all’Università di Padova la dott.ssa Palladini ha aggiunto la specializzazione in Igiene e medicina preventiva presso il nostro ateneo. La dirigente si racconta dentro e fuori il posto di lavoro, con alcuni consigli su come affrontare un percorso tanto affascinante quanto difficoltoso.

Parlaci di te, Francesca.

Sono Francesca Palladini, trentuno anni, e faccio parte dell’equipe della Direzione medica ospedaliera per le Funzioni igienico-sanitarie e prevenzione del rischio dell’Aoui Verona, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata. All’Università di Verona ho completato i miei studi con la specializzazione in Igiene e medicina preventiva. Mi considero una persona entusiasta, nel senso che mi metto in gioco tutte le volte che è possibile.

Come si svolge la tua giornata tipo?

La mia giornata tipo può variare molto a seconda dei periodi. In genere qui iniziamo verso 8.30/9.00 del mattino, ma nei periodi più intensi finiamo anche molto tardi. Alla mattina abbiamo una routine: ci dividiamo i compiti e ci si organizza rispetto alle attività da svolgere. Nelle giornate di lavoro più intenso, alla sera facciamo un debriefing con i colleghi. Fuori dal lavoro non ho un hobby principale: mi piace andare al cinema e uscire a cena con gli amici, nel weekend amo fare delle belle passeggiate e possibilmente stare all’aperto. 

Quanto conta instaurare relazioni “umane” nel lavoro?

Personalmente credo molto nei rapporti umani che si creano all’interno del luogo di lavoro e che poi si continuano a coltivare anche fuori. Si tratta di un aspetto che ho iniziato a considerare con più attenzione quando mi sono approcciata per la prima volta agli ambienti di lavoro: da allora, per me è sempre stato un elemento che alleggerisce le difficoltà quotidiane che si possono incontrare. Apprezzo tanto il fatto di portare avanti delle relazioni umane sul lavoro: permette di prendersi una piccola pausa durante la giornata per darsi un piccolo incoraggiamento a vicenda nei momenti di difficoltà.

Descrivici il tuo percorso di formazione. Come sei arrivata a un ruolo così importante?

Il mio percorso è iniziato al liceo classico. Dopo essermi diplomata, mi sono iscritta a Medicina e chirurgia all’Università di Padova. Mi sono laureata nei tempi giusti ma, nei miei anni, il corso non era professionalizzante, per cui ho avuto un periodo di latenza prima dell’abilitazione, nel quale ho anche viaggiato. Dopo l’abilitazione ho iniziato a lavorare, ed è lì che sono cambiati i miei orizzonti: la laurea in Medicina è una delle più lunghe, e per la prima volta ho iniziato ad avere una prospettiva di quello che sarebbe stato il lavoro vero. Mi sono messa subito in gioco: dapprima facendo il medico di guardia in una struttura privata, poi conducendo corsi di primo soccorso aziendale. Un’esperienza che ho apprezzato molto perché così si diffonde un minimo di cultura sanitaria anche nella popolazione non addetta ai lavori. 

Poi è arrivata la specializzazione nel nostro ateneo…

Esattamente. È proprio al culmine di tutte queste esperienze che ho conseguito la mia specialità in Igiene e medicina preventiva all’Università degli Studi di Verona. Durante gli studi precedenti non avevo un’idea precisa di questo settore che però mi aveva sempre attirato: l’ho sempre considerata come una specialità in grado di valorizzare degli aspetti del mio carattere e della mia personalità. Ho deciso così di cambiare ateneo e città: da qui deriva la scelta di Verona che offriva il percorso che mi interessava di più. 

Cosa consigli a studentesse e studenti che si approcciano al mondo del lavoro?

A chi affronta i miei stessi studi, vorrei dire che non è vero che “dopo anatomia è tutto in discesa”: si dice così ma è un falso mito. La parte più dura di questi anni è che la prospettiva è sempre a medio-lungo termine, cioè quando gran parte dei tuoi compagni delle superiori si laureano, tu sei a malapena alla metà del tuo percorso. La laurea in Medicina è una prova di resistenza e resilienza, però poi arriva la fine. C’è un periodo più difficile di tutti, quando ti chiedi “chi te l’ha fatto fare”, però il consiglio per chi inizia è di fare un passo alla volta, esame per esame, senza rinunciare mai alla vita fuori dall’università, mi ha aiutato a vivere più serena quegli anni. Lo direi a tutti gli studenti, ma a quelli di Medicina in particolare, per i quali il carico di studio si protrae più a lungo nel tempo. Non focalizzarsi solo sulla durata aiuta molto ad andare avanti. A chi si sta laureando e si sta affacciando alla vita professionale il mio consiglio e la mia speranza è di avere sempre vigile la percezione che si può imparare da tutti: da chi fa la nostra professione e ha più esperienza di noi, ma anche da figure professionali molto diverse. Qualcuno ti insegna cosa vorrai diventare, qualcun altro, invece, quello che non vorrai mai essere… sta poi alla persona imparare per analogia o per contrasto.

Definiresti la carriera medica come una vocazione?


Per quello che è la mia personalissima esperienza, non definirei questo lavoro una vocazione, una forza esterna che ti chiama e ti attira, una tensione. Io invece la mia professione l’ho sempre percepita come un percorso. È certo che la tua crescita va verso l’obiettivo, ma la mia sensazione è questa: si deve avvertire una spinta che viene e deve per forza venire dal basso, da se stessi, perché se così non fosse poi ti ritrovi a dire “ma chi me lo fa fare”, con difficoltà e sconforto pronte a prendere il sopravvento. La motivazione è tua e ti conduce a una crescita per il raggiungimento del tuo obiettivo.

Elisabeth Graf, dalle Scienze della formazione all’imprenditoria digitale

La laurea in Scienze della formazione a Verona le ha dato le basi teoriche, mentre la voglia di libertà lavorativa e la padronanza di tre lingue hanno fatto il resto nel percorso professionale di Elisabeth Graf verso l’imprenditorialità digitale. Oggi l’Alumna Univr fornisce, con la sua società, consulenza sui rischi ambientali ad aziende di tutto il mondo.

Elisabeth, parlaci di te.

Sono Lilli e sono un’imprenditrice. Sto costruendo IMMA Collective, una comunità di liberi professionisti nell’ambito della sostenibilità e dell’innovazione sociale. Inoltre, mi occupo di fornire consulenza sulla resilienza climatica, ovvero su come ci stiamo preparando all’impatto del cambiamento climatico sulla nostra vita, per essere adattabili e resilienti.

Come è stato il tuo percorso di formazione e come hai scelto la via dell’imprenditoria?

Credo che Scienze della formazione, il corso che ho frequentato all’Università di Verona, possa fornire le basi per crearsi una propria professione. Subito dopo la laurea ho fatto esperienza lavorando nelle risorse umane, nel campo della formazione e della gestione dei progetti. Dopo alcuni anni, però, ho deciso di tornare a studiare, questa volta frequentando un master in Service Design a Milano. Questa la considero come la prima volta in cui mi sono reinventata, anche come imprenditrice. A volte l’università ti costringe a inventarti un lavoro. Il mondo evolve e con esso anche le necessità e le figure richieste in ambito professionale. In realtà quando studiamo non abbiamo nemmeno idea dei lavori che potranno esistere in un futuro prossimo.

L’università ci prepara a diventare lavoratori indipendenti, poi ci sono realtà – come gli incubatori e gli acceleratori – pensate per far crescere la tua start-up per farla diventare una cosiddetta start-up “unicorno”. Il fatto è che ancora oggi non ci sono tanti posti che ti permettono di capire come costruire un business abbastanza agile, adattabile e resiliente in un mondo sempre più incerto.

Lavorare per conto proprio è quindi una delle scelte più resilienti che si possono fare, perché devi capire come navigare su e giù nella libera professione. Ora sto strutturando la mia attività a livello globale e in questo mi ha aiutato molto aver lavorato, dopo la laurea, alcuni anni a Londra e in altri contesti internazionali. Credo sia bella questa contaminazione tra realtà, culture e prospettive diverse tra loro.

Come hai scelto il tuo percorso?

Un fattore importante in questo senso sono stati i miei genitori, che hanno trasmesso a me e ai miei fratelli il criterio del “vai a fare ciò che ti piace veramente”. Per farlo si deve sperimentare, non sai cosa può piacerti o meno a priori. L’altro elemento è stato l’aver ascoltato, durante gli anni dell’università, diversi podcast sul tema dell’imprenditoria. È lì che ho capito che anch’io volevo costruire qualcosa.

Cosa ti porti dai tuoi anni di università?

Io sono altoatesina e ho fatto tutte le scuole in tedesco. Ho così deciso di essere l’unica della mia famiglia a dire “vado a studiare all’università in italiano”. All’inizio è stato uno shock cambiare totalmente lingua e per il primo anno, un po’ per caso, sono finita in una casa piena di studenti Erasmus. Ho vissuto con ragazzi inglesi, spagnoli, brasiliani e altri ancora, quindi probabilmente in quel primo anno di totale confusione linguistica nella mia testa ho sviluppato la curiosità e la voglia di stare con persone provenienti da altri contesti.

Facendo Scienze della formazione impari ad imparare, impari a metterti in gioco; l’avevo scelta proprio perché era molto ampio e vario come ambito di studio. Quando fai questo lavoro ti rendi conto che ogni organizzazione è composta da persone delle quali vanno colte le motivazioni, i comportamenti, le esigenze per creare un servizio efficace. Quello che ho studiato si può applicare spesso al contesto lavorativo e così mi sembra in un certo senso di “chiudere un cerchio”.

In che modo parlare tre lingue ti aiuta?

Più che parlare tre lingue, il vantaggio è saper lavorare usando tre lingue: un conto è conoscerle ma un altro conto è saperle usare in un contesto professionale. Mi danno una grande sicurezza, so che se tutto va male troverò sicuramente un lavoro, quindi perché non provare a creare qualcosa anche rischiando? È quello che ho fatto, mi sono creata il lavoro e la vita che volevo. Mi ritengo fortunata ad aver modellato la mia professione sul fatto che posso scegliere dove stare e cosa fare.

Cosa consiglieresti agli studenti che si approcciano per la prima volta al mondo del lavoro?

Un consiglio è di fare esperienza lavorativa già durante l’università: io l’ho sempre fatto, in parte per potermi mantenere, ma devo dire che mi ha dato “una marcia in più”. Se lavori, guardi alle materie che studi con occhi diversi perché pensi già a come mettere in pratica e rendere concreta una nozione teorica.

Lavorando si ha anche il tempo per sperimentare e capire cosa piace, non necessariamente il lavoro in sé, ma almeno gli elementi che lo costituiscono. Più esperienza hai in contesti vari, più diventa facile costruire qualcosa.

Come si svolge la tua giornata lavorativa?

Io sono qua a Verona ma in realtà i miei clienti sono un po’ sparsi per il mondo, ciò vuol dire che lavoro maggiormente da casa e inizio relativamente presto, alle otto del mattino, perché mi piace iniziare presto, il mio cervello funziona a quell’ora. Sostanzialmente mi occupo di gestire un progetto, scrivere una proposta, pensare a come rivedere il mio sito. Aver creato una società da zero significa coprire mille ruoli, dall’amministrazione fino al marketing e alle vendite. Mi piace quest’ultimo aspetto perché vuol dire che devo costantemente imparare.

Solitamente dopo pranzo faccio un riposino o una passeggiata, mi prendo del tempo per ricaricare quando non ho tanta energia. Soprattutto in inverno, essendoci buio presto, mi godo la giornata e poi magari continuo a lavorare fino a sera cercando di assecondare i miei ritmi.

Il tema del clima oggi è fondamentale. Quanto conta essere costantemente aggiornati?

È basilare comprendere come integrare l’attenzione all’ambiente e al clima all’interno del nostro lavoro e della vita quotidiana. Sarà sempre più importante cominciare a fare upskilling non solo sulla tematica del clima ma anche riguardo una serie di eventi “disruptive” che caratterizzano l’attualità. In generale, passiamo da un periodo molto stabile a un periodo molto instabile quindi è necessario rivedere costantemente quello che si fa e quello che si è.

Per maggiori informazioni si rimanda ai siti www.lilligraf.com e www.immacollective.com.


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