Valentina Garonzi, Alumna Univr e CEO di Diamante

Valentina Garonzi, alumna Univr, è stata recentemente inserita in due classifiche dalle riviste Forbes Italia e Fortune Italia che riuniscono i giovani innovatori del nostro Paese leader futuri nei rispettivi ambiti. Il suo percorso iniziato all’Università di Verona con la laurea in Economia aziendale l’ha portata al proficuo incontro con Diamante, la start-up nata come spin-off del Dipartimento di Biotecnologie del nostro ateneo, della quale oggi è CEO.

Come è stato il tuo percorso universitario e perché questa scelta?

Sono laureata in Economia aziendale con magistrale in Economia e legislazione d’impresa. Ho scelto questa facoltà perché mi ha sempre appassionato il mondo delle aziende. Alle superiori ho frequentato ragioneria, mi interessava quindi rimanere nell’ambito economico e ho scelto l’Università di Verona sia per le ottime referenze, che per la vicinanza territoriale. Il master in Management, invece, l’ho conseguito a Milano.

Come è stata l’esperienza universitaria? Cosa ti porti da quegli anni?

È stata un’esperienza ottima, ho scelto di fare l’università da frequentante perché ne avevo la possibilità e ritengo che questo abbia rappresentato un grande valore aggiunto: essere in aula con il docente, poter fare domande, interagire con i compagni e i professori ti dà qualcosa in più rispetto alla lezione online. Si era creato un ottimo gruppo di studio fatto di persone con le quali continuo ad avere relazioni e rapporti anche adesso che abbiamo terminato l’università. Possono essere d’aiuto anche nel mondo del lavoro. 

Parlaci un po’ di Diamante, spin-off dell’Università di Verona e azienda della quale sei oggi CEO.

Diamante – azienda nata nel 2016 come spin-off del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona – ha l’obiettivo di sviluppare e immettere nel mercato nuovi strumenti per la diagnosi delle malattie autoimmuni attraverso l’utilizzo delle piante, in un’ottica di ecosostenibilità. 

Il mio avvicinamento a questo ambito del quale, ovviamente, non sapevo molto studiando in tutt’altro settore, è stato durante il lavoro svolto per la tesi triennale. 
Scelsi di farla sulle start-up che, al tempo, era un argomento di cui si parlava ancora poco a Verona e in Italia. Per l’elaborato ho avuto l’opportunità di intervistare rappresentanti di tutti gli spin-off dell’Università di Verona e di altre start-up interessanti del territorio veronese, ma non solo.

Tra le diverse interviste, ho incontrato Linda Avesani, che poi è diventata mia collega: lei aveva avuto un’esperienza pregressa in uno spin-off che però non era riuscita a portare avanti. 

Mi era rimasta impressa questa sua storia così, due anni più tardi, compilando la tesi magistrale, Linda mi ha ricontattata perché avevo ottenuto ottimi risultati su un progetto di ricerca che stava seguendo. Non avendo le competenze economiche, ha chiesto a me se fossi interessata a sviluppare con lei un primo business plan e abbiamo iniziato a lavorarci. Nel frattempo, io ho continuato a fare colloqui, mi sono laureata e con questo business plan siamo arrivati terzi a Start Cup Veneto, una competition universitaria. Questo non è stato l’unico riconoscimento, abbiamo vinto anche altri premi in diverse altre competizioni e questo ci ha dato la forza di costituire l’azienda.

La tesi ha giocato quindi un ruolo cardine nella tua “scalata” nel mondo del lavoro.

La tesi è stato uno strumento importante per me per conoscere meglio il mondo delle start-up. In quella fase seguivo anche un’associazione di giovani imprenditori, quindi ero molto interessata a conoscere meglio quell’ambito. È stato un ponte per unire l’ambiente economico con quello biotecnologico, un connubio che ha dato il là a un’azienda. 

Come è stato far incontrare due mondi così diversi? 

È stato sfidante. Sono due mondi che non si parlano e con un background e un approccio completamente diversi. Io non avevo conoscenze nell’ambito biotecnologico ma nemmeno esperienza all’interno dell’ambito lavorativo a livello universitario, e una situazione analoga riguardava le mie colleghe. Abbiamo dovuto formarci a vicenda: io sull’ambito della ricerca e loro sulle dinamiche aziendali, è stato un percorso portato avanti insieme. 

È un consiglio che ti senti di dare quello di essere sempre flessibili nell’acquisizione di nuove competenze?

Lo vedo molto nella realtà delle start-up e aziende con le quale ho interagito. Il fatto di non avere una competenza determinata all’interno di una realtà professionale è complicato. Per esempio, quando manca la competenza economica interna e devi avvalerti di consulenti esterni non sempre ti puoi fidare. Riuscire a creare un team completo dal punto di vista delle competenze fin dall’inizio è di grande aiuto.

C’è qualcosa del tuo percorso universitario che ti ha condotto verso il fare impresa? 

Penso che ci siano molte possibilità offerte agli studenti: viene fornito un approccio su come funziona un’azienda durante le lezioni, non mancano le opportunità di stage e anche eventi come i Recruiting Day costituiscono un metodo di avvicinamento al mondo delle aziende.
L’idea di fare impresa è molto più presente tra le aule di Economia; pertanto, auspico che avvenga una contaminazione della parte scientifica da questo punto di vista, essendo tradizionalmente meno incline all’imprenditorialità. Inoltre, un’interazione maggiore tra i vari dipartimenti e tra gli studenti potrebbe portare molti frutti.

Come si svolge la tua giornata tipo e quali aspetti di appassionano di più della tua professione?

La giornata tipo per una persona che gestisce un’azienda non esiste. Ogni giorno è diverso con la sua pianificazione che può essere più standardizzata. Io mi occupo sia dei rapporti esterni, quindi per esempio la partecipazione agli eventi, le relazioni con i vari stakeholder, che della gestione delle emergenze e della pianificazione delle strategie interne, come la gestione delle risorse umane.

Quale consiglio daresti a chi studia?

Innanzitutto, di non darsi dei limiti e cercare di sfruttare il più possibile tutte le opportunità che l’università mette a disposizione, cercando di “contaminarsi”: se studi economia non pensare di rimanere solo in quell’ambito ma cerca di spaziare anche verso altre opportunità. Per chi vuole fare azienda, dico di puntare molto sulle persone del team e capire effettivamente con chi si può instaurare una collaborazione perché poi, nei momenti di difficoltà, le persone contano e fanno sicuramente la differenza. E poi, bisogna sempre provare a espandersi oltre i confini dell’Italia e parlare con persone che hanno prospettive e culture diverse. 

Recentemente hai ricevuto due importanti riconoscimenti. All’inserimento nella classifica stilata da Forbes Italia “Under 30 2024 – Science & Healthcare” sui talenti che stanno cambiando volto alla sanità e alla scienza, è seguita poi la nomina tra i “40under40” da Fortune Italia, che riunisce i giovani che stanno imprimendo un cambiamento significativo nei rispettivi settori al nostro Paese. Quali sensazioni hai provato?

Devo dire che hanno aiutato molto il morale. Sono riconoscimenti per l’attività sin qui svolta e per l’impegno profuso dal mio team. Questi riconoscimenti ci spingono a continuare a innovare e a lavorare verso nuovi traguardi.


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Stefano Trespidi, un alumno Univr ai vertici di Fondazione Arena

Una laurea in Giurisprudenza a Trento e una in Scienze della comunicazione a Verona non hanno placato la sete di formazione di Stefano Trespidi, regista e vice direttore artistico per Fondazione Arena, ora verso la laurea in Economia presso il nostro ateneo. Trespidi racconta il suo amore per il teatro, dalle prime esperienze di comparsa in Arena al management. “Agli studenti – spiega – consiglio di non aspettarsi che l’università li formi già per svolgere un mestiere. L’università ti fornisce una grammatica: sei tu che devi costruirti una base culturale e di esperienza che ti porti a una professione. Serve un comportamento proattivo”.  

Parlaci un po’ di te.  

Sono Stefano Trespidi, vice direttore artistico di Fondazione Arena di Verona. Ho compiuto i miei studi a Verona, al liceo scientifico, per poi iscrivermi a Giurisprudenza – e conseguire il titolo – all’Università di Trento. Parallelamente, già dall’età di 18 anni, avevo cominciato a lavorare come comparsa all’Arena di Verona, ed è stato proprio lì che mi sono appassionato al teatro e all’opera. Dopo la laurea, l’opportunità di frequentare un master in ambito giuridico negli Stati Uniti che mi ha portato per la prima volta lontano dall’estate areniana, ma il distacco è stato troppo forte. Per questo motivo, nel 1997, decisi di rientrare in Italia e abbandonare la carriera forense per dedicarmi completamente al teatro. 

Come hai affinato le tue competenze nell’ambito teatrale e registico?

L’ho fatto affrontando un corso di regia e produzione teatrale alla Scala di Milano, che ha di fatto avviato il mio percorso da regista, come volontario prima e come professionista poi. Nel 2002 venni assunto come aiuto regista all’Arena di Verona; poi, nel 2004, la nomina a responsabile dell’ufficio regia dell’Arena. Ho fatto per tanti anni, circa quindici, il regista o l’assistente alla regia in giro per l’Italia, da girovago… un teatrante con le valigie in mano, in pratica. Una svolta nella mia carriera lavorativa però arrivò nel 2018, quando Cecilia Gasdia divenne sovrintendente della Fondazione e mi chiese di collaborare con lei in maniera strutturata. Da allora in poi la mia vita divenne molto più stanziale, qui a Verona. Detto ciò, cerco sempre di seguire una o due produzioni all’anno fuori città per mantenere la mia passione originale e tenermi aggiornato a livello professionale. 

Tornando al tema universitario, fu durante i miei anni da girovago che decisi di iscrivermi a Scienze della comunicazione a Verona. Una volta laureato decisi di formarmi anche in ambito economico, per cui decisi di iscrivermi a Economia aziendale. Ora mi manca solo l’ultimo esame per completare il corso!

Come sei passato da tre corsi di studio così diversi tra loro?

Innanzitutto perché il teatro e lo spettacolo vivono di comunicazione, basti vedere cosa succede durante Sanremo, l’attenzione mediatica per giorni e giorni si focalizza su interventi, ospiti, testi delle canzoni che incollano la popolazione e i media solo su determinati temi: questo dà un’idea di come i mezzi di comunicazione siano fondamentali nell’ambito dello spettacolo. Un contenitore artistico per giorni e giorni diventa l’evento principale della vita sociale, culturale e sociologica del

Paese. Oggi è veramente importante quanto fai e come lo fai, ma lo sono altrettanto il prodotto artistico e come esso viene comunicato. Studiare Scienze della comunicazione è stato un corollario nel mio percorso. Il fatto di essermi trasformato, poi, da manager del palcoscenico come regista a manager di un teatro, mi ha fatto capire che ero lacunoso nel management teatrale tout court. Considerando la mia carriera artistica e la mia formazione comunicativa e giuridica, ho sentito la necessità di colmare il gap anche dal punto di vista economico e dell’organizzazione aziendale.

Ti sono serviti tutti questi studi?

Sì, totalmente. Il sistema italiano non produce manager culturali di alto livello che siano spendibili nelle istituzioni italiane, per non parlare di quelle europee. L’aspetto che ho compreso è che, diversamente da altri Paesi, qui manca la prospettiva secondo la quale un manager non possa avere solamente una competenza artistica o giuridica o economica, ma debba invece averle tutte, con almeno un livello medio di competenza su tutti gli aspetti. Poiché in Italia non avviene, ho pensato di formarmi adeguatamente in tutti questi ambiti.

Cosa consigli a chi studia e lavora?

Ho la convinzione profonda e personale che il mondo dell’istruzione sia cambiato tantissimo. Ho avuto la possibilità di vivere il mondo accademico in tempi diversi e di vederlo cambiare nel corso di oltre vent’anni. Un tempo le professioni avevano delle “corsie” predeterminate che, se le seguivi, ti portavano all’obiettivo, in un modo o nell’altro.
Oggi il mondo del lavoro si è molto destrutturato, si affermano delle professioni che nascono non da un’esigenza ma che vengono modellate dal mercato, vedasi gli influencer.
Il consiglio che darei a uno studente universitario è di non aspettarsi che l’università ti formi per svolgere un mestiere. L’università ti fornisce una grammatica: sei tu che devi costruirti una base culturale e di esperienza che ti porti a una professione. Serve un comportamento proattivo, bisogna guardare a se stessi, guardare il mercato, capire dove si vuole arrivare e comprendere da soli quali sono gli strumenti di cui dotarsi per arrivare a quella posizione. Non puoi delegare queste azioni all’università come, invece, accadeva un tempo. Oggi la formazione accademica arriva a un punto, poi sei tu a doverci mettere del tuo.

C’è qualcosa che ti porti dagli anni dell’università?

L’università un tempo era più formale, severa nelle ritualità, nelle modalità di approccio, nella relazione con i professori. Posso dire che quello che mi hanno lasciato gli anni di università è stato un approccio meticoloso alle cose: preciso, sistematico, di analisi, di ragionamento profondo. Un approccio che non mi ha mai abbandonato. Queste qualità ti portano a scandagliare e approfondire la realtà che hai di fronte. Trovo che questo sia un aspetto affascinante della vita.


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Ho realizzato un progetto sulla mia Verona, non solo turistica ma anche romantica

“A febbraio ho deciso di partecipare ad un bando sul turismo, tema a me molto caro e ora mi trovo felicemente a scrivere qualche parola sul positivo risultato raggiunto, essendo arrivata seconda classificata a livello nazionale.

Il bando è “Big You Up”, laboratorio di idee nato dal progetto BIG (Business Intergenerational Game) , interamente dedicato ai giovani che consiste nel realizzare un progetto innovativo di Start up, per migliorare e reinventare la consueta Customer Experience nel mondo del turismo per i giovani,

Sono stati diversi i giovani che, come me, da tutta Italia hanno sottoposto la propria candidatura per partecipare al contest, 11 che hanno partecipato alla finale svoltasi a Roma il 7 ottobre 2020 presso l’Associazione Civitas, 3 vincitori.

Il mio progetto mostra una Verona non solo turistica, ma romantica, che vivo quotidianamente, ispiratrice del film Letters to Juliet, che prevede di far rivivere all’ospite l’experience di rispondere alle lettere ricevute da Giulietta, interagendo con la struttura ufficiale del Club.
Il progetto, inoltre, prevede di accompagnare l’ospite ad una visita guidata alla casa di Giulietta con una degustazione enogastronomica sul territorio veronese.

Sono molto legata al territorio in cui vivo e alle tematiche della sostenibilità, infatti il progetto è in linea sia con la sostenibilità economica, sia con quella ambientale: agisce infatti nel rispetto dei Sustainable Development Goals, in riferimento all’agenda ONU 2030.

Nell’ottica del Covid-19 vi è sostenibilità anche da un punto di vista sanitario, in quanto c’è la volontà monitorate e distribuite le presenze grazie alle prenotazioni online.

Sono contenta di aver avuto la possibilità di far conoscere questo mio progetto, che ha un impatto economico e di immagine territoriale notevole: coinvolge più categorie economiche territoriali, mettendo al centro la mia città, Verona.

Il progetto è inoltre innovativo, migliorerebbe il settore di riferimento in quanto è unico e non esiste nulla di simile che consenta di vivere un’esperienza “dietro le quinte”, rispondendo alle lettere in modo personalizzato. Si sostiene finanziariamente e ed è quel buon esempio di come si dovrebbero valorizzare i siti culturali italiani, grazie al potere dello storytelling e dello storydoing, i nuovi trend della comunicazione d’impresa.”

Carlotta, studentessa di Marketing e Comunicazione d’Impresa
Instagram: @Carli_ghinato

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