Marco Melegaro, un Alumno Univr nel mondo del giornalismo

Marco Melegaro, laureato Univr in Lettere moderne con una tesi sul linguaggio televisivo, dal 2003 lavora nella redazione di Sky Tg24. I suoi interessi spaziano dalla storia della televisione al mondo dello spettacolo. Oggi ci racconta il suo lavoro e il suo percorso professionale

Marco Melegaro, descriviti in poche parole.

Mi chiamo Marco Melegaro, sono nato a Verona il 15 febbraio 1963. Segno zodiacale, acquario. Nel mio CV c’è una laurea in Lettere moderne all’Università di Verona e una tesi sul linguaggio televisivo. Sono un giornalista e lavoro nella redazione di SkyTg24, dove ho seguito per anni il mondo dello spettacolo e ora lavoro nel coordinamento. Una professione che negli anni mi ha dato la possibilità di intervistare attori, registi e personaggi dello spettacolo, come l’attore Diego Abatantuono, il regista Mario Martone e il cantante Sting.

Ci racconti la tua esperienza all’Università di Verona?

La mia esperienza con Univr è cominciata alla facoltà di Lettere, alla quale mi sono iscritto dopo aver conseguito il diploma in Ragioneria. È stata una scelta per certi versi controcorrente: a dispetto di quanti mi dicevano che con una laurea in lettere non avrei trovato facilmente un lavoro, io ho trovato la mia strada proprio assecondando le mie passioni. L’Università per me è stata un’esperienza fondamentale dal punto di vista formativo. Ho avuto docenti che si sono rivelati determinanti per il mio percorso, così come alcuni insegnamenti, come filosofia delle religioni e antropologia culturale, che mi hanno davvero “aperto la mente”. Penso che il percorso formativo sia fondamentale poiché ti consente di sviluppare un pensiero critico con il quotidiano, con la TV e i social.

C’è poi il passaggio al mondo del lavoro…

Già ai tempi dell’università mi sono attivato per fare della mia passione, il giornalismo, una professione, inizialmente scrivendo discorsi per alcuni parlamentari veronesi, per quanto di politica non me ne sia mai occupato direttamente. Poi arrivò un contratto part-time da impiegato per una nota impresa: un impiego di ufficio che, seppur non nel settore del giornalismo, mi ha però permesso di dedicarmi anche alla mia passione, ricoprendo il ruolo di direttore per Trenta, un giornale universitario. Dopo diverse collaborazioni giornalistiche, sono approdato a Stream TV e infine a Sky. È a SkyTg24, il telegiornale di Sky, che dal 2003 ho potuto vivere in prima persona il passaggio dall’analogico al digitale, e l’arrivo rivoluzionario in Italia dell’All-news, un modello di informazione americano che mette al primo posto velocità della notizia e approfondimento.

Ci racconti la tua giornata tipo?

Le mie giornate sono caratterizzate da molto studio e molte relazioni. “Veloce” è un termine efficace per descrivere la mia giornata. Nel mio lavoro è fondamentale avere il quadro completo delle notizie del momento, e di cosa mandare in onda. Questa è di per se la grande sfida del giornalista: non perdere mai di vista la notizia. La mia giornata comincia con la lettura dei quotidiani (cartacei e online), perché è necessario essere sempre preparati sull’attualità. Il mio è un lavoro nel quale non si stacca mai completamente, non si riesce. È una professione che richiede un approfondimento continuo. Quando arrivo in redazione, una cosa è certa: non si occupa mai la stessa scrivania, perché bisogna sempre seguire la notizia in base ai colleghi disponibili in redazione. E poi c’è il lavoro su turni, anche di notte, ad esempio da mezzanotte alle sette del mattino, quando rimanere lucidi è più difficile ma fondamentale.

Come è nata la tua passione per il giornalismo?

Per essere un buon giornalista occorre essere curiosi: una caratteristica che non mi è mai mancata, assieme a una buona dose di timidezza. Eppure è proprio quando ti metti in gioco che hai la possibilità di far emergere la tua originalità. E così mi sono accostato per la prima volta, da giovanissimo, al giornalismo e al mondo della televisione. Quando da ragazzino vedevo delle telecamere in azione, non potevo trattenermi dall’essere curioso e dal chiedermi quale fosse il tema del servizio.

Che consigli ti senti di dare a chi vuole avvicinarsi al mondo del giornalismo?

Chi vuole fare del giornalismo la propria passione oggi può frequentare corsi di laurea, scuole di giornalismo o master specifici, ma penso che sia fondamentale fare anche le proprie esperienze sul campo. Ad esempio, attraverso i social – che oggi sono un grande aiuto nel nostro mondo – i giovani possono diventare “portatori di notizie”. I giovani che arrivano in redazione diventano protagonisti: iniziano con uno stage o una sostituzione estiva, spesso sono assunti per un anno e possono poi entrare a far parte della Redazione. Infine, non dimentichiamo che diventare giornalisti significa anche essere disposti a muoversi dal proprio luogo di origine e trasferirsi in altre città o Paesi. Personalmente, il mio percorso mi ha portato da Verona a Roma, per cui direi che è fondamentale avere una disponibilità a lasciare il proprio contesto di origine.


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Beatrice Manca, giornalista di moda e tendenze

Beatrice Manca, trentenne laureata in Editoria e Giornalismo, è giornalista professionista e docente. Scrive di moda, tendenze e questioni di genere.

Beatrice, descriviti in poche parole.

Sono Beatrice Manca, ho trent’anni, nel 2016 mi sono laureata in Editoria e Giornalismo all’Università di Verona, dopo una triennale conseguita a Pisa. Sono giornalista professionista e scrivo di moda, tendenze e questioni di genere. Ho un corso all’Accademia Costume e Moda in cui parlo di narrazioni social e questioni ambientali agli studenti.

Ci racconti com’è nata la tua passione per il giornalismo?

Scrivere è sempre stato il mio sogno. A casa mia i giornali ci sono sempre stati, ricordo fin da piccola, con piacere, mio nonno che ogni giorno leggeva il quotidiano. Ma è leggendo assiduamente i supplementi di cultura e i femminili che è nato il mio amore per il giornalismo e per le riviste.

Ci racconti com’è stato scegliere il percorso universitario?

Con un papà avvocato e una mamma medico, sembrava che il mio percorso universitario fosse in un qualche modo segnato. Io però volevo fare un lavoro creativo: per questo, devo dire, la scelta dell’università è stata piuttosto sofferta. Dovevo scegliere tra un percorso che mi avrebbe garantito un lavoro con delle sicurezze, e il lavoro che avrei davvero voluto fare. Allora ho scelto di iscrivermi a Lettere. Oggi sono giornalista professionista e scrivo per varie testate in tema di costume e società, un ambito dove si intrecciano arte, cultura e cinema. Ma non solo: scrivo anche di diritti, questioni di genere, ambiente. 

E l’ingresso nel mondo del lavoro?

Sono stata molto fortunata, perché dopo la laurea ho iniziato a lavorare fin da subito. Ora sono freelance, ma prima ho fatto diverse esperienze da dipendente. Per quasi tre anni ho lavorato per Fanpage.it, poi ho deciso di fare il salto verso la libera professione per conciliare insegnamento e giornalismo. Grazie alla vincita di una borsa di studio, infatti, ho potuto frequentare per un semestre l’Accademia Costume & Moda di Roma, che qualche anno dopo mi ha chiamata per dei laboratori con gli studenti. Ora collaboro, tra gli altri, con MANINTOWN, ilfattoquotidiano.it e il Foglio della Moda.

Qual è il sacrificio maggiore che si deve mettere in conto se si vuole intraprendere una carriera nel giornalismo?

Direi che nella fase iniziale è inevitabile affrontare il precariato diffuso, che ti fa sembrare che non inizierai mai a lavorare sul serio. Poi però non appena prendi il via, il lavoro rischia di fagocitarti: il mondo gira velocemente e tu devi girare con lui. Un periodo iniziale di precariato e di basse retribuzioni purtroppo spesso va messo in conto. Si fa giornalismo perché si ha la vocazione, ma non deve diventare volontariato puro, per la causa. A un certo punto è necessario mettere dei paletti. Il lavoro si paga, altrimenti è un hobby. Fondamentale poi è investire molto in se stessi fin dall’inizio e, porsi degli obiettivi o dei limiti: quanto siamo disposti a lavorare anche a poco ma per fare esperienza?


Ci racconti la tua giornata tipo?

La mia agenda è davvero imprevedibile e spesso sono fuori casa, computer in spalla, per seguire eventi, conferenze, festival, o per le interviste. Va detto che la vita sociale è una grande fetta della vita del giornalista: specialmente nel mio ambito, andare a feste, cene ed eventi è fondamentale per crearsi una rete di rapporti professionali. Quando posso, lavoro nello spazio co-working della redazione, oppure lavoro da casa. In generale, dalle 7 alle 8 di mattina mi prendo sempre un’ora per capire cosa succede nel mondo e per informarmi – la cosiddetta rassegna stampa – mentre la sera invece mi concedo un’ora per leggere, anche (e soprattutto) per piacere. 

Come pensi sia cambiato il tuo lavoro negli ultimi anni?

Fino a quindici anni fare il giornalista significava trovare le notizie e scriverle bene. Ora le competenze da avere si sono moltiplicate: devi sapere fare foto e video, saper impaginare un testo per l’online, capire come usare i siti e i social sia come fonti, sia come mezzo di comunicazione per raccontare l’attualità. Oggi i social network sono ciò che erano una volta le piazze: se una volta ci si chiedeva “Cosa si dice al bar?”, oggi ci chiediamo “Di cosa si parla sui social?”

In che modo l’Università ti ha aiutato a costruire le skills necessarie a lavorare nel giornalismo?

Una delle esperienze più significative è quella che ho fatto a Fuori Aula Network, la radio dell’Università di Verona. È lì che ho lavorato al programma PopCorn, un format dedicato al cinema che conducevo insieme a Caterina Moser. Ed è lì che mi sono messa alla prova con l’ideazione di programmi, l’editing di audio, la registrazione… ho imparato un sacco di cose! E poi per me la radio universitaria era un piccolo mondo in cui chiunque avesse una buona idea poteva proporla e svilupparla.

Ti occupi soprattutto di spettacoli, costume e società. C’è un tema che ti sta particolarmente a cuore?


Forse la questione che mi sta più a cuore oggi è quella ambientale, che io seguo dal lato della moda sostenibile e che è anche uno dei focus dei miei corsi in Accademia. Sul lato ‘pop’, invece,
posso dire di essermi specializzata nella storia della famiglia reale inglese. Su Elisabetta II ho letto praticamente tutto, e ho seguito nel giro di pochi mesi sia il Giubileo del suo regno che i suoi funerali: situazioni nelle quali senti di avere avuto un posto in prima fila mentre la storia accadeva. Una mia collega mi ha perfino regalato come portafortuna la sua statuetta Funko Pop! 

Consigli da dare ai laureati?

Buttatevi: se volete davvero fare qualcosa, provateci. Per chi vuole fare il giornalista penso sia fondamentale avere flessibilità, capacità di essere autonomi e di avere sempre uno sguardo curioso sulle cose. Ricordatevi sempre che, in qualità di giornalisti, dobbiamo osservare da vicino la realtà di cui scriviamo, mantenendo però il giusto distacco.


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Marco Fasoli, Alumno Univr nel mondo del vino (e dell’olio)

Marco Fasoli è un Alumno Univr laureato in Economia e Commercio che ha fatto della sua passione per il mondo dell’enologia e dell’olio d’oliva la sua professione. Senior Manager nella Direzione Vendite e Marketing presso rinomate aziende del settore Food & Beverage e Hospitality, sia in Italia che all’estero, Fasoli si descrive come un consulente che ha contribuito ad avviare, sviluppare e consolidare diversi business, oltre che a lanciare nuovi brand e prodotti, promuovendo l’innovazione e l’internazionalizzazione delle imprese.

Le attività di Fasoli spaziano dalla docenza alla consulenza nel mondo del vino – è Sommelier certificato scelto da importanti realtà del settore – a quello dell’olio, ambito per il quale ricopre la qualifica di Maestro di Frantoio e nel 2020 ha ricevuto la nomina di Ambasciatore dell’Olio EVO italiano nel mondo. La conoscenza approfondita del settore enogastronomico lungo tutta la filiera produttiva e distributiva rappresenta uno dei punti chiave del suo curriculum vitae.

Marco Fasoli, descriviti in poche parole.

Il mio nome è Marco Fasoli, sono di Verona e lavoro da tanti anni nel mondo del vino e dell’enogastronomia. Sono consulente commerciale per diverse aziende del settore, ho la docenza alla scuola internazionale di cucina ICIF per quanto riguarda l’olio extra-vergine di oliva e l’abbinamento cibo-vino. Ho lavorato in aziende in Trentino-Alto Adige, Toscana e Piemonte. Ho avuto la fortuna di seguire l’evoluzione del vino italiano nel mondo. 

Cosa ti affascina maggiormente di questi ambiti?

Di questi settori ho sempre ammirato molto l’innovazione anche in termini di sviluppo internazionale, perché ritengo che la capacità di innovarsi sia il nostro grande plus. Specialmente all’estero, dove la ristorazione italiana rappresenta uno dei fattori chiave per far conoscere il nostro Bel Paese. Credo poi che fare squadra sia fondamentale: sono le sinergie a portarci a essere vincenti sui mercati, assieme allo studio approfondito del contesto enogastronomico di ogni Paese.

Nel tuo CV c’è una laurea in Economia e Commercio presso Univr. Cosa ti ha portato dagli studi universitari in economia al mondo del lavoro e, in particolare, al settore enogastronomico?

Fin da subito – ancora da studente di economia – ho avuto la grande fortuna di confrontarmi con la realtà produttiva. Ho iniziato nel mondo del tessile e delle calzature, con le prime esperienze all’estero e, in particolare, in Germania. Un percorso che mi ha fatto capire quanto l’università sia importante per essere formati, anche dal punto di vista umano, ma poi è l’esperienza sul campo nel mondo delle imprese a farti crescere professionalmente. Un conto è la didattica e lo studio sui libri, un altro è invece trovarsi ad avere un confronto con gente molto più grande di me che “mangiava” marketing e piani commerciali dalla mattina alla sera. Tutto questo mi ha affascinato molto e mi ha permesso di crescere. Poi, con un corso da sommelier, è nata la passione per il vino e i contatti con le prime cantine in Trentino.

Qual è il primo consiglio che ti senti di dare a chi per la prima volta si affaccia sul mondo del lavoro?

Prima di tutto, direi che è fondamentale creare relazioni. Se questo è vero in tutti gli ambiti della vita, lo è in special modo, a mio parere, nel mondo del lavoro. 

Il secondo consiglio, invece?

Il secondo consiglio che mi sento di dare ai ragazzi è quello di innamorarsi dei progetti, di appassionarsi e portare avanti un progetto fino in fondo. E poi c’è la curiosità. Consiglio ai giovani di essere curiosi, di studiare, leggere, fare molte analisi nel loro settore di interesse. E poi cercare costantemente di migliorarsi e chiedere consigli a chi ne sa di più. Ecco, a questo aggiungo anche l’umiltà: una caratteristica per me fondamentale.

Ci racconti la tua giornata tipo?

La mia agenda è molto fitta, cerco di tenere tutto organizzato in base alle diverse aree in cui devo intervenire. La mia giornata è focalizzata sulla curiosità di cosa sta succedendo in ogni progetto che seguo in veste di consulente. Viaggio molto e le giornate sono varie, ma una cosa nella mia giornata non deve mancare mai, ed è un momento di studio e aggiornamento sulle ultime novità del settore. Poi penso sia sempre importante dedicarsi del tempo per sé. 

Cosa ti piace maggiormente del tuo lavoro?

Lavorare con un team giovane mi piace molto. Credo che oggi i giovani avvertano il bisogno di sentirsi valorizzati, in un mondo dove oramai la velocità è tutto e rischia di portare all’omologazione. Poi adoro fare team-building: se alla base del nostro concetto di management c’è la convinzione che ognuno di noi sia diverso e vada quindi valorizzato per quello che è e per i suoi talenti, riuscire ad integrare persone diverse in un team di lavoro efficace è una grande sfida e una enorme soddisfazione. Infine, del mio lavoro mi piace il fatto di avere la possibilità di parlare con chi oggi magari ha ottanta o novant’anni e ha lavorato nella vigna fino a ieri. Sedersi a bere un bicchiere di vino con queste persone e ascoltarli è come leggere un grande libro.


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