“C’è da dire che diventare un medico è sempre stato il mio sogno. Mesi fa mi capitò di ascoltare a “Che tempo che fa” Fabio Fazio che intervistava Gino Strada, il fondatore di “Emergency”: da quel giorno capii realmente che avevo intrapreso la strada giusta. Sto terminando, infatti, il mio percorso di studi in Medicina e Chirurgia e mi laureerò a ottobre con una tesi sulla Chirurgia del pancreas. Per due anni sono stata rappresentante degli studenti nel Collegio didattico del mio dipartimento: devo dire che il corso permette  di approcciarsi fin da subito a ogni specialità, aumentando la consapevolezza della scelta futura. Io opterò sicuramente per Chirurgia Generale, sperando di entrare nelle graduatorie nazionali e rimanere qui a Verona. Ma non finisce qui, perché la lista delle cose da fare è ancora molto lunga: fra dieci anni conto di aver terminato gli studi, di avere un lavoro in un ospedale che sia pubblico e che dia la possibilità a chi ci lavora di fare ricerca (come accade qui all’ospedale di Borgo Roma, ad esempio) e di viaggiare verso l’estremo Nord del mondo per avvistare dal vivo i cetacei. Non dimentichiamo che vorrei anche essere mamma di due splendidi bambini e che mi vedo ancora accanto al mio attuale ragazzo. Nel mezzo della mia progettualità alberga, però, sempre un pensiero costante: il legame con una grande amica, venuta a mancare improvvisamente da poco, che porterò sempre nel cuore. Se dovessi ricordare un “tenero” aneddoto di questi anni di studio parlerei dei primi giorni del mio tirocinio nel reparto di Chirurgia del pancreas. A quel tempo seguivo l’ambulatorio con il professor Claudio Bassi, Direttore del reparto. Ricordo di questa coppia di coniugi siciliani; la moglie era appena stata operata di carcinoma e l’operazione era andata a buon fine. La loro riconoscenza fu qualcosa di sensazionale: dopo l’operazione la moglie abbracciò il professore, ringraziandolo per essersi preso cura di lei e, insieme al marito, donò alcuni prodotti tipici siciliani a tutto lo staff medico, complimentandosi con loro per l’accoglienza ricevuta. Dopo due anni di chemioterapia, la donna poteva finalmente tornare a casa.”

 

Chiara, 25 anni, studentessa di Medicina e Chirurgia