Giovanna Residori è laureata in Lettere all’Università di Verona. Oggi ricopre l’importante figura di direttrice della Fondazione Museo Miniscalchi-Erizzo di Verona, dove hanno sede opere dal grande valore artistico e culturale. Si sente una privilegiata perché è riuscita a trasformare una grande passione nella sua professione. “Il museo non è soltanto una porta che si apre e si chiude al visitatore – afferma – dietro si nasconde un mondo”
Buongiorno Giovanna, raccontaci un po’ di te.
Mi sono laureata in Lettere all’Università di Verona durante l’anno accademico 1998/1999. Dopo aver conseguito il titolo e un master in Museologia ho collaborato con vari musei. Sono stata ad Amsterdam, a Parigi e, prima di tornare a Verona, a Bologna per molti anni.
Come ha inciso sul tuo percorso l’esperienza all’Università di Verona?
Ricordo gli anni dello studio con grandissimo piacere. È stato un periodo intenso, eravamo un gruppo di studenti legati all’ambito archeologico, tutti molto affiatati e uniti. Basti pensare che molti dei miei colleghi di corso sono ancora tra i miei migliori amici. C’era uno stretto rapporto tra le discipline studiate e la realtà lavorativa esterna, come il mondo dei musei e degli scavi archeologici. Posso affermare che è stata davvero un’esperienza molto importante.
Cosa significa lavorare in un museo?
Lavorare in un museo significa crederci, volerlo e desiderarlo, non arrendersi alle prime difficoltà o ai primi rifiuti. Mi sento una privilegiata perché sono riuscita a trasformare la mia grande passione nella mia professione. Il museo non è soltanto una porta che si apre e si chiude al visitatore, dietro si nasconde un mondo che non riguarda solamente l’ambito della storia o dell’arte. Le attività sono variegate, finalizzate a rendere sempre più comprensibili le collezioni che ci si trova a dover tutelare e valorizzare, ma non mancano i continui aggiornamenti sui metodi di fruizione delle opere che sono in continua evoluzione. Il pubblico ha esigenze sempre diverse.
I musei oggi non sono più il luogo dove vengono semplicemente esposte delle opere: oggi possiamo paragonarli alle agorà, ovvero delle piazze dove ci si può incontrare, scambiare delle esperienze, si possono presentare dei libri, si organizzano attività per adulti e bambini.
La direttrice di un museo: chi è e cosa fa.
Il direttore è l’immagine del museo. Si tratta di una carriera difficoltosa ma non impossibile, serve sacrificio, come in tutti i lavori, d’altronde. Questo ruolo ti pone davanti a tante responsabilità che spaziano tra questioni amministrative, di sicurezza, di funzionamento e di valorizzazione.
Oggi si parla molto di digitale, credi che l’esperienza diretta in un museo possa essere sostituita da un’esperienza da remoto?
Credo che l’esperienza diretta sia insuperabile. L’emozione che può suscitare osservare una tela, un dipinto, un oggetto o comunque qualcosa creato dall’uomo non penso possa essere superata da un’esperienza esclusivamente digitale. Parlo proprio pensando al nostro museo che racconta la storia di una famiglia che ha deciso di donare il patrimonio mobiliare storico-artistico alla città di Verona rendendolo pubblico. Le sale che ospitano le collezioni, per oltre cinque secoli sono state le stanze della famiglia Miniscalchi-Erizzo, loro hanno calcato questi pavimenti e vissuto questo palazzo. L’emozione di accedere allo scalone o di entrare nella sala delle armi non può essere imitata da nessuna tecnologia moderna. Noi non trascuriamo il virtuale, ma in questo momento ritengo che sia uno strumento utile per veicolare le persone ad un’esperienza diretta, più profonda.
Com’è la tua routine quotidiana?
La mia giornata tipo inizia molto presto con la lettura dei quotidiani. Arrivata al museo, cerco di concentrare in mattinata gli incontri con i collaboratori, verificare lo stato di avanzamento delle attività e programmare quelle future. Il pomeriggio lo trascorro studiando le collezioni e i documenti di archivio.
Hai un consiglio da dare agli studenti?
Essere curiosi e aperti verso nuove esperienze. Cogliere qualsiasi opportunità, sia lavorativa che formativa perché tutto serve ad arricchire e a determinare professionalmente e personalmente un soggetto.