Sissi Baratella è enologa Alumna Univr laureata in Scienze e tecnologie viticole ed enologiche con una tesi in biochimica del suolo. Con il tempo e con tenacia ha fatto della sua passione per la comunicazione la sua professione, utilizzando le sue competenze tecniche per comunicare il vino a un pubblico ampio ed eterogeneo. Qui ci racconta come.

Sissi Baratella, in che modo la Sua formazione tecnica da enologa l’ha portata ad approcciarsi al mondo del vino dal punto di vista creativo e della comunicazione?

Quando trovo chi mi chiede “che lavoro fai” mi trovo sempre in difficoltà a rispondere poiché è un mondo ancora in evoluzione. Ho una formazione classica avendo studiato al Liceo classico al Maffei. Poi ho deciso di seguire la parte scientifica poiché mi incuriosiva moltissimo. A chi mi consigliava di fare un corso da sommelier io rispondevo che non mi bastava: volevo avere una base scientifica in questo settore, così mi sono iscritta al corso in Scienze e tecnologie viticole ed enologiche. Trovavo estremamente interessante che ci fosse un corso di laurea che formasse enologi a Verona, con una forte componente pratica. La passione mi ha portato a completarla nei tempi giusti.

Una volta conseguita la laurea, ho iniziato a lavorare come enologo e cantiniere per fare la famosa “gavetta”. E così ho scoperto un mondo nel quale le figure professionali sono molte. L’enologo, infatti, è un tecnico che ha però diverse declinazioni e sfaccettature: può essere un consulente esterno che può offrire servizi a 360 gradi come interpreti della cantina e delle potenzialità del territorio; ci sono poi figure interne all’azienda, enologi che assaggiano le vasche e seguono tutte le attività di cantina. Altri hanno seguito la via dell’agronomia, altri ancora invece si concentrano sulle vendite e diventano agenti di commercio.

E poi c’è lei…

La mia è una figura piuttosto inedita, quella dell’enologo comunicatore. Già prima del 2014, quando facevo l’enologo per una piccola cantina, avevo bisogno di spaziare – persino nell’apicoltura e nell’allevamento di animali da cortile – sentivo l’esigenza di dover comunicare questo mondo. Ho capito che c’era il bisogno di farlo sapere alla gente: ho iniziato a organizzare visite enogastronomiche, a partire dalla campagna. L’azienda piccola può iniziare a starti stretta, ma ti permette anche di sperimentare e di fare un sacco di esperienze. 

Nel 2015 ho poi iniziato il mio lavoro da libera professionista: mi sentivo come un pesciolino nella vasca degli squali, ma poi mi ha permesso di crescere davvero. Inizialmente non dicevo nemmeno di essere enologo, se ne sono accorti gli altri. Ciò che credo oggi mi distingua è il fatto di padroneggiare la parte tecnica e saperlo tradurre in contenuti accessibili per il pubblico. Il nostro lavoro è pieno di termini tecnici, anche dialettali, che però è impossibile conoscere se non si lavora in questo ambiente. 

Una tesi in biochimica del suolo e una grande passione per la comunicazione. Cosa le è risultato più utile dell’esperienza universitaria una volta giunta nel mondo del lavoro?

L’Università ti fornisce elementi importanti come i contatti – in qualche modo tu esci con un biglietto da visita –, la possibilità di avere un background accademico e gli strumenti per padroneggiare gli aspetti tecnici. Dopodiché, sta a te assecondare la tua attitudine. Il mio è certamente un percorso non convenzionale, ma mi è servito tutto ciò che ho fatto. Ho assecondato la mia attitudine, quella di raccontare il vino, ma lo faccio con le competenze tecniche che ho acquisito in ateneo e che continuo ad accrescere e aggiornare.

Qual è stato l’ostacolo principale una volta usciti dall’Università?

Il primo ostacolo, purtroppo, è stato essere donna. In questo ambito non era ancora accettato socialmente che una donna volesse lavorare in cantina. Dicevano che una ragazza in cantina non l’avevano mai avuta e preferivano propormi lavori di amministrazione, ma non era questo che mi interessava. In altri casi mi hanno detto che alcuni lavoratori in vigna non avrebbero accettato ordini da una donna. Oggi è diverso e ogni territorio ha un approccio diverso, ma al tempo del mio ingresso nel mondo del lavoro mi sono sentita chiudere le porte in faccia per un pregiudizio.

Dopo le prime esperienze da dipendente, ho scelto la libera professione. L’esperienza più importante in questo caso è stata collaborare con una persona importante nel mondo del vino in qualità di assistente, collaboratrice e braccio destro. Ero diventata nel tempo molto di più, coordinando una serie di iniziative. Ma non era percepito all’esterno: c’era chi mi vedeva come una segretaria. Questo dover dimostrare sempre il mio valore è stato faticoso. Poi con il tempo ho capito quanto peso dare a certe situazioni, se si sono chiuse delle porte – cosa che al tempo mi ha fatto male – poi si sono aperti dei portoni.

Gli enologi in genere sono parecchio schivi: hanno un sacco di cose da dire ma di solito non parlano, spesso si chiudono nel loro mondo. Oggi gli enologi con cui collaboro hanno capito che non sono una giornalista, bensì un tecnico con il quale si possono confrontare “alla pari”: ragioniamo insieme su un prodotto e capiamo come comunicarlo.

Una formula che funziona. Che cosa si aspetta dall’enologo del futuro?

L’enologo del futuro dovrà essere un professionista a 360 gradi. Non dovrà rimanere legato a certi aspetti legati alla mentalità contadina. Nel campo dell’enoturismo, la differenza la fa una persona che ti coinvolge in una bella iniziativa e in un bel contesto, ma che sa bene di cosa sta parlando, anche a livello tecnico.

Come si svolge una Sua giornata tipo?

In realtà una “giornata tipo” non esiste, perché dipende da dove mi sveglio. In ogni caso, un elemento comune è il fatto di trovarmi spesso a svolgere più attività contemporaneamente, come scrivere un articolo, ideare una degustazione, scrivere un progetto di consulenza per una cantina, montare dei video – la parte multimediale mi piace molto – per cui ogni giornata è molto variegata. Richiede concentrazione e capacità di adattamento per passare da un’attività all’altra. L’importante è darsi delle priorità. Se invece mi trovo in una località per un evento, ovviamente devo gestire il mio tempo di conseguenza.

In ogni caso, non ho un ufficio ma lavoro in casa e ovunque mi trovi, sia esso in hotel o in aeroporto. Questo è un altro aspetto che ti deve piacere e che richiede auto-disciplina. Il vantaggio è che ti gestisci come meglio credi. Un’altra costante delle mie giornate è che quando gli altri si divertono, io lavoro. Quando sono a un evento, cena o aperitivo, è sempre lavoro per me, per cui in quel momento sei un professionista e ti è richiesto un comportamento in linea.

Consigli che darebbe a un neo-laureato?

Consiglio di non avere paura di rivoluzionare. Nel nostro settore si parla sempre molto di tradizione e di tipicità, il che a volte rischia di diventare una bolla che non è più attuale. Non avere paura di cambiare le cose, anche a piccoli passi.

Io ho sempre saputo che mi sarebbe piaciuto lavorare nel mondo del vino, ma dopo la laurea non mi piacevano abbastanza le opportunità che trovavo in questo ambito, per cui l’ho cambiato e devo dire che, con il senno di poi, è andata bene. Non avere paura di essere ambiziosi, a seconda delle proprie esigenze. Chi sceglie di fare l’università deve avere una mentalità di questo tipo. Spesso i giovani si aspettano, in maniera un po’ passiva, di ricevere un’etichetta dall’università, ma l’università non ti dà etichette ma strumenti per scrivere la tua storia. Con coraggio.


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