Davide Apolloni si iscrive alla triennale di Lingue e culture per l’editoria all’Università di Verona per poi trasferirsi a Bologna per seguire un corso magistrale sulle Digital Humanities. Ma l’alumno Univr ha sempre mantenuto viva la speranza di lavorare a contatto con la sua grande passione fin dalla tenerissima età: gli insetti. Quando si è presentata l’occasione, non ha esitato a dire di sì al museo Esapolis (Padova), il più grande insettario d’Italia dove oggi lavora come curatore e guida museale coniugando il suo sogno con gli studi universitari.

Ciao Davide, parlaci un po’ del tuo percorso di studi.

Il mio percorso di studi lo definirei vario: ho cominciato facendo due anni al classico, poi ho cambiato e mi sono iscritto a un indirizzo socio-sanitario economico-sociale. Lì ho fatto due lingue, inglese e spagnolo, ed è stato quello che mi ha aperto un le porte per scegliere Lingue e culture per l’editoria alla triennale all’Università di Verona. Al terzo anno ho frequentato un corso sulle Digital Humanities e, proprio sulla base dell’esperienza positiva vissuta affrontando questa disciplina, mi sono poi spostato a Bologna per la magistrale in Digital Humanities and Digital Knowledge, dove ho dovuto recuperare anche alcuni esami.

Su che base hai fatto la scelta del tuo percorso di studi universitari?

Io fin da piccolo ho sempre avuto la passione per gli insetti, i miei genitori mi hanno detto che avevo un anno e mezzo quando ho cominciato a interessarmi a questo mondo. Ma quando ne parlavo con qualcuno, mi veniva detto sarebbe stato un percorso difficile e che non lasciava intravedere molte prospettive, quindi ho pensato di tenere questa mia passione come un’attività per il tempo libero facendo escursioni e partecipando a fiere in tutta Italia. È un qualcosa che ho sempre portato avanti per conto mio. Quando finivo di studiare avevo sempre i miei insetti da allevare o cose da leggere perché questo settore non ha un corso di laurea dedicato e le informazioni utili devi imparartele da solo. Anche quando ho cominciato a lavorare e finivo alle 17.30, una volta tornato a casa, mi dedicavo agli insetti.

Un’altra cosa che non mi dispiaceva era studiare e imparare le lingue. Ero molto insicuro sulla scelta del corso da intraprendere perché venivo da delle scuole superiori non a indirizzo linguistico, dove facevo relativamente poche ore dedicate a inglese e spagnolo. Poi, invece, i miei professori delle superiori mi hanno tranquillizzato sul fatto che sarei stato in grado di fare Lingue e infatti non ho avuto grandi problemi, anche aggiungendo una terza lingua – il tedesco – che ho dovuto cominciare da zero. Devo dire che ho avuto ottimi insegnanti. Non sapevo cosa fossero le Digital Humanities, le ho scoperte in triennale e ho pensato che, effettivamente, anche l’informatica mi piaceva: infatti, nel tempo libero ho sempre fatto un po’ di video editing, sviluppo web e altro ancora… non a caso, per la tesi triennale ho anche creato un piccolo sito. Il corso sulle Digital Humanities è stato un po’ come unire lingue e informatica e così mi si sono aperte le porte per la magistrale che era, peraltro, tutta in inglese.

Quindi non avevi scelto un’università più affine alla tua passione per un discorso pratico? Di sbocchi lavorativi?

Sì, era quello il motivo principale. Poi comunque, nel sentore comune, si pensa che anche con lingue non si troveranno tantissime opportunità lavorative. In realtà, non è sempre così, io per esempio mi sono laureato in marzo e in maggio ho trovato subito, dopo un solo mese di ricerca e dopo aver fatto anche una serie di tirocini che mi hanno aiutato ad avere più prospettive. Un esempio è il tirocinio svolto durante la triennale: ho fatto le 150 ore previste e dopo un mese e mezzo mi hanno richiamato per collaborare come collaboratore occasionale dalla stessa azienda.

Non avrei mai pensato di finire a fare qualcosa in relazione all’entomologia. Quando ho cominciato a lavorare ho fatto due anni e mezzo in azienda dove mi sono trovato benissimo e poi ho scoperto di questa possibilità al Museo Esapolis di Padova, dove cercavano guide naturalistiche. Ho trascorso quasi un anno e mezzo in cui dal lunedì al venerdì lavoravo in ufficio a San Martino Buon Albergo, mentre al sabato e alla domenica ero a Padova a fare le guide… un anno e mezzo bello pieno! Non è stato facile lavorare così tanto ma ne è valsa la pena.

Tu hai un background linguistico ma sei guida museale in un museo di insetti… viene spontaneo chiederti: quanto stai utilizzando le lingue?

Tantissimo. Innanzitutto, perché con questo lavoro si viaggia tanto dato che spesso capita di andare in diversi luoghi per fare delle riprese su animali locali. A gennaio e febbraio scorsi, sono stato in Indonesia ed è stato bellissimo. Precisamente mi trovavo nelle Isole Molucche, delle piccole isole nel nord del Paese. Lì l’inglese non è molto parlato dalle popolazioni del posto, si usava perlopiù un traduttore, a volte anche offline, perché internet non prendeva benissimo.

Proprio per il fatto di spostarsi in continuazione, sapere le lingue è fondamentale. Da quando lavoro per Esapolis, siamo stati due volte in Spagna per delle spedizioni naturalistiche. Lì ho usato tantissimo lo spagnolo imparato in triennale, quindi posso dire che in realtà il fatto di aver scelto Lingue è collegato anche al fascino che ho sempre provato per l’idea del viaggio e del vedere cose nuove… mai avrei pensato di poter unire il viaggio con la passione per l’entomologia e la scoperta naturalistica. Ci sono riuscito, non so ancora benissimo come, però è andata bene.

Nel lavoro attuale uso tantissimo l’inglese perché lavorando in un museo abbiamo moltissimi turisti, soprattutto dall’estero e quando vengono richieste visite turistiche in inglese allora ce ne occupiamo io e altri colleghi. Dovesse capitare di farle in spagnolo – non è ancora successo – potrei provare a farle anche se lo spagnolo lo pratico decisamente meno rispetto all’inglese. Poi il lavoro in un museo è dentro un contesto internazionale e abbiamo spesso dei volontari che ci aiutano e che vengono per un periodo a lavorare con noi provenienti da diverse parti d’Europa per cui, anche in questo caso l’inglese si parla. Diciamo che lo parlo tutti i giorni.

Ma non solo. L’inglese mi è servito anche per tante altre cose. Per esempio, mentre studiavo ho collaborato per avere una piccola entrata con Melascrivi.com, un content marketplace dove ho fatto tantissime traduzioni dall’inglese all’italiano. Così anche come durante il mio lavoro in azienda: ero nel team di traduzione, usavamo un software che si chiama Across Language Server in cui traducevamo dall’inglese i contenuti che l’azienda ci inviava e che sarebbero stati poi pubblicati sulla loro app presente in tutti i Paesi.

Dal tuo vissuto personale penso si possa trarre anche un insegnamento e un consiglio…

Diciamo che il mio caso è un po’ particolare perché io nasco con questa passione. Addirittura, ricordo di avere una foto di quando avevo tre anni, non sapevo ancora scrivere, qualcuno ci ha scritto sopra “Da grande voglio fare l’entomologo” e ci sono io che disegno mentre sono lì con gli insetti.  

L’insegnamento che si può trarre è che se si ha una passione, anche forte, per qualcosa in qualche modo viene fuori. Se magari, i primi anni pensi che non si possano ricavare grandi cose dalla tua passione, perché magari è molto di nicchia, conviene comunque portarla avanti che, in un modo o nell’altro, se ti impegni, viene fuori anche da sola.

Quali altre sfide e obiettivi ti sei posto per il tuo futuro?

A livello lavorativo va benissimo come sta andando e abbiamo anche tanti altri viaggi da fare, cercando sempre di portare avanti il museo e farlo conoscere. Io a Esapolis mi occupo di fare le visite guidate e della manutenzione di terrari, acquari e animali, ma anche del sito del museo e dei profili social. I video che stiamo postando su Instagram, per esempio, stanno andando molto bene. Di recente siamo stati in Slovenia per fare delle riprese a un particolare coleottero che vive lì e abbiamo visto che il relativo video dedicato ha funzionato molto, ottenendo dei buoni numeri, forse perché è riuscito ad attrarre la curiosità di tante persone che non sapevano di cosa si trattasse. Ora stiamo investendo molto sulla comunicazione del museo, uno degli obiettivi è proprio quello di crescere anche a livello divulgativo cercando di espandere la conoscenza sul mondo degli insetti che, a primo impatto, possono spaventare tanti ma se si conoscono bene possono essere anche molto interessanti nelle loro particolarità, nelle sfumature dei colori o nei loro comportamenti mai scontati.

Lo scorso anno ho fatto un intervento nella trasmissione televisiva Uno Mattina Estate su come affrontare la paura degli insetti. Uno dei momenti per abbattere questa diffidenza nei loro confronti è il laboratorio. Qui si vedono, per esempio, da una parte i bambini che non hanno per niente paura nel prendere l’insetto in mano, dall’altra il genitore che magari è spaventatissimo. Questo fa capire come spesso la paura viene trasmessa dal genitore o dagli adulti in generale e anche una semplice passeggiata nella natura, anche per un breve tratto, può diventare un incubo per alcuni. Il nostro obiettivo è proprio quello: far capire che non c’è nulla di pericoloso, bisogna solo conoscere ciò che ci circonda per poterlo apprezzare.

C’è una categoria d’insetti sulla quale sei particolarmente ferrato?

Al museo c’è un po’ di tutto: insetti, aracnidi, rettili e acquari, non a caso si chiama per intero Esapolis Micromegamondo. Io ho cominciato ad allevare seriamente con i Fasmoidei, che sarebbero gli insetti stecco, del quale esistono tantissime specie che mangiano foglie diverse. Di conseguenza, vanno imparate le determinate piante adatte a determinati insetti. Ho iniziato con il classico insetto stecco e ho proseguito allevando diverse specie sia al museo, sia a casa per conto mio. Grazie a loro ho imparato tantissimo.

Dopo un po’ mi sono spostato un po’ di più sui coleotteri, un altro mondo incredibile perché hanno una vita interessantissima: in origine c’è la larva che passa anche un anno sotto terra, durante il quale controlli se hanno mangiato il materiale inorganico che gli viene dato (legno decomposto, funghi, foglie). Una volta al mese, di solito, si sostituisce tutto il substrato e se ne mette di nuovo. Tutto questo ti insegna l’attesa. Infatti, dopo un anno, la larva fa la metamorfosi e diventa un coleottero. Ma la triste fine è che poi il coleottero adulto vive poco, 3-4 mesi, quindi anche te allevatore devi aspettare tantissimo per avere qualcosa che poi durerà poco.

In Giappone, per esempio, sono appassionatissimi di coleotteri. Hanno proprio negozi dove vendono tutto l’occorrente per allevarli e alcuni genitori non prendono ai figli un animale domestico ma optano per un coleottero. È una questione culturale e questo li porta ad allevare anche specie che sono molto difficili. Se si pensa all’immaginario culturale giapponese, ci sono tantissimi coleotteri protagonisti di fumetti o manga che sono un riflesso della cultura giapponese.

Quindi il prossimo viaggio sappiamo già dove sarà…

Sì, direi che si potrebbe fare. Così come vorrei andare in America, dove ci sono altri musei degli insetti interessantissimi da vedere per confrontarsi anche con altre realtà, al di fuori di quella italiana. Il panorama italiano ha, oltre a Esapolis – che è il più grande insettario d’Europa – diverse case delle farfalle e qualche rettilario ma, a livello di insetti, è presente ben poco.

I musei hanno un’importante funzione di centro studi di una determinata disciplina oltre che una funzione espositiva e didattica.

Sì, questo è vero, e poi aggiungerei anche che si tratta di un museo vivo, non statico, perché quasi tutto quello che abbiamo sono insetti vivi che vengono allevati lì nei terrari per cui, fatta eccezione per alcune collezioni, il museo è in movimento. A volte non è detto che il visitatore riesca a vedere subito l’insetto, magari deve cercarlo con lo sguardo nel suo terrario o habitat per cui è anche divertente.

E poi c’è la parte dedicata ai laboratori, in cui le persone possono prendere in mano questi animali per vederli da vicino.

Cosa ti porti dagli anni dell’università?

L’università mi ha introdotto ad avere un metodo diverso. È diverso dalle superiori perché non devi affrontare anche quelle materie che ti piacciono meno ma fai quello che ti piace.

Penso che anche studiare lingue, nello specifico, ti dia un metodo. Faccio un esempio: mi ricordo che per studiare tedesco dalle basi, che è una lingua molto schematica, mi facevo tante tabelle e questa metodologia me la sono portata anche in seguito quando ho creato una tabella in Excel con tutte le aziende che avevo contattato con i loro riferimenti, le risposte e il responso che mi avevano dato. Si è dimostrato un metodo efficace e non l’avrei appreso senza l’università, che quindi mi ha anche aiutato a cercare lavoro!


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