Nicole Zuanazzi, ex studentessa di Filosofia del nostro ateneo, oggi è Performance marketing specialist per il colosso italiano nella vendita di occhiali EssilorLuxottica. L’Alumna Univr racconta come avviene quotidianamente questo intreccio insolito (ma non troppo) tra gli studi effettuati e la sua posizione lavorativa.
Ciao Nicole, parlaci un po’ di te…
Sono Nicole e ho 31 anni e vivo a Milano. Sono un’ex studentessa dell’Università di Verona, dove ho frequentato le facoltà di Filosofia prima e di Scienze filosofiche poi. È stato un percorso arrivato dopo un liceo classico, per cui si può parlare di un percorso umanistico fino in fondo. In seguito, una conseguenza abbastanza naturale ed inevitabile, c’è stato un periodo in cui ho fatto lavori che io definisco “normali”, cioè lavori che non richiedevano una specializzazione particolare. Ho lavorato un po’ per la Fondazione Arena, a teatro come maschera, ho lavorato in reception…
Nel mio caso, credo che la formazione filosofica mi abbia, tra le molte cose, insegnato anche la disillusione. Fare quel percorso è stato un privilegio. Inizialmente, prima ancora di iscrivermi, avevo vagliato diverse opportunità, anche studi più “concreti”, economia per esempio. Il fatto di avere, invece, scelto la mia passione mi aveva portato a pensare che poi mi sarei dovuta accontentare. In realtà, dopo questi lavori, anche grazie a un amico che mi ha spronato in questo senso, ho deciso di riprendere un po’ in mano la situazione e provare a capire come la mia formazione – in cui io credo – potesse avere dei risvolti più concreti, pratici e applicabili al mondo del lavoro. Allora ho scelto di perfezionarmi con un master in Digital marketing and Social communication a Milano.
La congiuntura astrale non è stata delle migliori perché, subito dopo l’università, mi sono ritrovata a frequentare il master in pieno Covid e lì ho pensato che fosse il destino. Non ero più giovanissima ma mi sono comunque ritrovata a fare stage gratis, alcuni pagati quasi niente; quindi, diciamo che tutta quella gavetta me la sono sorbita. La svolta però poi è arrivata: durante il secondo stage, infatti, ho sentito che stavo imparando tanto e l’ho vissuto veramente come un investimento.
Da lì è stata una congiuntura felice: si trattava di una grossa agenzia media, con un’ottima reputazione, alla quale le aziende guardavano molto spesso alla ricerca di persone da assumere. Il modo di lavorare, le conoscenze e la trasversalità che venivano insegnate lì erano ritenute molto preziose.
Questo percorso, articolato e anche tortuoso, dove la partenza era stata senz’altro molto complessa, mi fa dire con certezza che sono soddisfatta di dove sono arrivata ad oggi, con un lavoro che mi piace in un ambito competitivo ma con molta possibilità di crescita professionale, formazione e cambiamento.
Raccontaci nello specifico cosa fai sul lavoro.
Io sono Performance marketing specialist. Nello specifico, performance definisce quella che è la parte bassa del funnel del marketing, ossia le attività estremamente volte alla vendita, con utenti già molto vicini al punto di conversione.
La mia attività comprende la parte di advertising sui motori di ricerca, come Google o Bing, sui social, dove sponsorizziamo i cataloghi dei nostri prodotti, sulla rete display e video, ossia le pubblicità prima dei video di YouTube, o i banner che incontriamo durante la navigazione.
Oltre a questo, c’è una parte anche maggiormente volta a generare notorietà sui nostri brand – questa è la parte “alta del funnel” – un’attività fondamentale per donare nuova linfa al business, che però non può essere misurata con gli stessi criteri delle altre perché non porta immediatamente conversioni o revenue. È senz’altro un’attività per la quale ci vuole più lungimiranza, poiché è necessario intuire se sta funzionando o meno senza dati inequivocabili a supporto. Questo secondo tipo di attività può essere fatto in molti modi, con l’appoggio a influencer ad esempio, ma anche attraverso i già menzionati YouTube e social network, che vanno però direzionati in maniera differente a seconda dell’obiettivo che si persegue.
La mia giornata tipo si svolge in ufficio, non è così dinamica in realtà, ma abbiamo una grande flessibilità in termini di lavoro e questo rende tutto molto più semplice.
Riassumendo: mi occupo di gestione e ottimizzazione dei canali digitali per uno dei brand del gruppo EssilorLuxottica. Io curo reportistica, presentazioni dei risultati, strategia, gestione dei budget, ma soprattutto continui tentativi e test per migliorare le prestazioni delle campagne.
Chi sceglie filosofia, solitamente, non parte con l’idea di finire nel campo del marketing. Come avviene questo intreccio tra gli studi che hai fatto e il lavoro che svolgi?
Si stupiscono sempre tutti quando sentono che ho studiato filosofia – specialmente i selezionatori ai colloqui – ti guardano sempre straniti.
Il modo in cui ho studiato Filosofia però – ed è il punto forte di frequentare questo corso all’Università di Verona- non la rendeva un mero insieme di nozioni ma una pratica di ragionamento applicabile applicare a qualsiasi lavoro. Una cosa che mi hanno insegnato l’università e il liceo classico è di avere un approccio alle cose, un modo di ragionare e di confrontarmi con la complessità. Quando ti impegnavi a capire cosa volesse dire un filosofo, cercavi di seguire un suo ragionamento, cercavi di creare collegamenti e nessi, tutto questo poi lo puoi applicare a qualsiasi cosa: è come se tu avessi un linguaggio, un approccio da applicare sempre, al quale basta solo cambiare le lettere.
Per me, prima, questi erano concetti filosofici: adesso, spesso, sono numeri…
quindi si può dire che non c’è una connessione tematica tra il mio corso di laurea e il mio lavoro ma c’è una connessione dal punto di vista di quello che ti insegna il percorso, che è un po’ quello che ogni persona dovrebbe cercare quando sceglie l’università. Questo perché a meno che non si scelgano determinate lauree con nozioni altamente specifiche, sarà difficile che ci si porti nel lavoro esattamente i concetti imparati. Quindi devi capire quello che sta succedendo a te nella pratica di determinati studi.
Quali sensazioni provi e come vivi questa tua posizione in un’azienda così importante?
Vivo bene il rapporto con il mio lavoro. Il fatto di essere in una grande azienda e molto ben strutturata a volte non va a braccetto, ovviamente, con l’amare il proprio lavoro perché questo dipende da tantissime variabili che purtroppo non possono essere controllate pienamente. Quindi, posso definirmi doppiamente soddisfatta di quello che sto facendo e vado orgogliosa dell’azienda per cui lavoro perché la trovo un’azienda di successo, che ha fatto dell’attenzione al dipendente uno dei punti della sua strategia. Così è più facile attrarre e tenere i talenti.
Amo il mio lavoro e questa è una fortuna, che non ritengo per nulla scontata, mi sento fortunata anche in relazione a quello che mi aspettavo: avevo aspettative abbastanza basse… Una cosa che direi a una persona che sta facendo Filosofia adesso è di essere sempre super auto-critici ma soprattutto di capire che la nostra preparazione ci dà punti di forza e qualità preziose.
A un certo punto, anche grazie a un amico, ho capito che forse non mi meritavo di rimanere a fare un lavoro che non mi piaceva per tutta la vita, anche se magari ne sarei stata in grado. Allo stesso tempo vedevo anche la difficoltà a entrare nel mondo del lavoro…ma quando sei dentro e hai sfondato la barriera del primo contratto, poi ci si muove in maniera molto più tranquilla.
Tornando agli anni dei tuoi studi, c’è una tua abitudine che hai sviluppato durante gli studi e che ti sta ancora aiutando oggi nel mondo del lavoro?
Non mi viene in mente nulla di veramente specifico. Io ho vissuto l’università in maniera super intensa, ero una che frequentava assiduamente. Anche se abitavo in provincia, venivo all’università anche se non c’era lezione, avevo un sacco di amici e compagni di corso. Ero anche assidua frequentatrice di tutte le biblioteche e le zone studio del Polo Zanotto.
A pensarci bene posso dire questo: la metodologia che mi sono portata dietro è non avere una metodologia (ride nda). A volte comunque impuntarsi su qualcosa e cercare di sviscerare un argomento, l’andare a fondo rappresenta l’approccio che mi porto dietro e che ho imparato a sviluppare nei miei anni di studio.
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