Maria Vittoria Voi, alumna Univr di Giurisprudenza, ha vissuto esperienze di studio e lavoro in diversi contesti internazionali, dalla Finlandia al Belgio, anche nell’associazionismo studentesco, grazie alla sua autentica vocazione per i diritti umani. L’ex studentessa di Giurisprudenza si racconta tra esperienze, sogni e speranze per il futuro. 

Ciao Maria Vittoria, parlaci un po’ di te e del tuo percorso di studi.

Io sono Maria Vittoria, gli amici di solito mi chiamano Mavi per fare più veloce dato che il nome è troppo lungo. Ho cominciato il mio percorso all’Univr nel lontano 2014 iscrivendomi a Giurisprudenza. Ho sempre avuto questa passione per il diritto e per i diritti umani nello specifico. All’inizio ero indecisa tra Psicologia e Giurisprudenza, poi ho scelto quest’ultima: non so se ho fatto bene o male, ma alla fine mi reputo contenta della scelta. Sono nata e cresciuta a Verona, quindi studiare all’ateneo scaligero per me non ha rappresentato una realtà molto distante; se aggiungiamo anche che ho fatto il liceo Montanari, vicino alla sede di Giurisprudenza, non mi sono neanche spostata dal quartiere, diciamo (ride, nda). 

Ho iniziato con molte aspettative e speranze, l’ambiente universitario mi ha fin da subito dato la possibilità di provare esperienze nuove. Ho sempre avuto l’idea di lavorare all’estero, in particolare nei Paesi nordici, forse essendo che sono nata a luglio detesto il caldo e amo il freddo, la neve, quindi Verona era piccola, troppo stretta per me e troppo calda. La passione per le istituzioni europee, l’ambito internazionale in generale e per i diritti umani hanno fatto sì che mi orientassi verso la costruzione del mio bagaglio già dall’università. Così ho deciso di candidarmi per l’Erasmus al terzo anno: all’epoca c’erano una ventina di borse di studio per Giurisprudenza e mi sono candidata per la sede di Turku, in Finlandia, a nord, molto lontano e molto freddo. Era al tempo una di quelle sedi non tante richieste. Sono stata presa e ho trascorso un anno là, uno dei più belli della mia vita, un’esperienza fantastica. Tutt’ora mi manca tantissimo la Finlandia, ci ho lasciato un pezzo di cuore. All’inizio è stato un po’ difficile perché sapevo l’inglese ma non così bene, è stata anche una sfida dal punto di vista linguistico ma mi sono sentita come a casa, è stata una sensazione strana. In un contesto in cui dovevo parlare un’altra lingua e fare esami in un’altra lingua, sono riuscita a trovare la mia strada. 

Mi sono iscritta anche a un corso di Protezione dei diritti umani che è durato quasi tutto l’anno: lì ho capito cosa volevo fare in realtà, ho compreso che quella fosse la mia strada, che non è semplice.

Un’esperienza importante sostenere esami all’estero…

Di certo è stata un’esperienza che mi ha lasciato tanto, ho avuto la possibilità di mettermi in gioco anche perché gli esami all’estero sono diversi, ho dato perlopiù esami orali consistenti in presentazioni e gruppi di lavoro: una bella sfida per me stessa. Quando sono tornata a casa sentivo un po’ la malinconia per l’Erasmus finito: avevo ancora due anni davanti e l’università mi stava stretta, non mi bastava fare solo quella. In quel periodo a Verona era appena stata fondata una sezione di ELSA – The European Law Student Association, che è un’organizzazione di giovani studenti di Giurisprudenza presente sia a livello locale che internazionale. All’inizio eravamo pochi ragazzi e ragazze e facevamo fatica a gestire la parte direttiva ma in poco tempo siamo riusciti a organizzare i primi eventi: io, anche per la mia esperienza all’estero, venni messa a dirigere tutta la parte di tirocini internazionali. In ELSA ho trascorso ben 3 anni del mio percorso universitario, poi questo mi ha portato in ELSA Italia e, l’anno scorso, anche in ELSA International. 

Il ponte per me tra mondo universitario e mondo lavorativo è stato questo concatenarsi di eventi: l’Erasmus prima, ELSA che sbarca a Verona al mio ritorno, poi il Covid con un momento di difficoltà e spaesamento. La chiusura ha provocato in me uno scossone, non ero più motivata, però alla fine ne siamo usciti e nel febbraio 2023 mi sono laureata con una tesi di cui vado molto fiera: la questione palestinese e la Corte Penale Internazionale, scritta e discussa in inglese. È stato un lavoro difficile da mettere insieme ma è uno sforzo fatto anche in virtù del mio obiettivo di lavorare per la stessa Corte Penale Internazionale, sarebbe il coronamento del mio percorso.

C’è un aspetto dei diritti umani che ti affascina in particolar modo?

Quando si tratta dei diritti umani, si tratta di persone alle quali è stato tolto tutto, in alcuni casi anche la dignità. Persone che non hanno una protezione da parte dello stato, delle istituzioni. Ciò che mi affascina è la possibilità di tutelare i diritti umani e dare dignità alle persone nel momento in cui viene tolta loro. Tutelare i nostri diritti e, in generale, i diritti umani, è importantissimo, anche in virtù di tante situazioni nel mondo e in Italia. Uno dei diritti fondamentali è quello alla vita e nessuno ha il diritto di privarcene o di obbligarci a vivere un’esistenza che non vogliamo. Tante cose non sono giuste e anche per questo mi sono iscritta a Giurisprudenza: per combattere contro le ingiustizie, se vogliamo metterla su un piano un po’ filosofico… 

Hai notato una percezione diversa dei diritti umani nei vari Paesi in cui sei stata? L’Italia dove vivi, la Finlandia dove hai fatto l’Erasmus e il Belgio dove hai lavorato?

Partiamo dal Belgio: è un mondo a sé, è una mini-Europa, la città mi ha lasciata veramente affascinata. Mi dicevano che uno dei motivi per i quali Bruxelles è stata scelta come sede del Parlamento Europeo è che il Belgio è formato da tre grandi partiti: quello di stampo francese, quello di stampo olandese e quello di stampo tedesco, con tantissime minoranze. È dal momento della costituzione del Belgio come lo Stato che conosciamo oggi, dopo la Seconda Guerra Mondiale, che il Paese vive costantemente la necessità di dover cooperare al suo interno, per cui non c’era miglior Stato in Europa per questa scelta, proprio perché c’è l’abitudine a convivere con tre lingue diverse, sfaccettature culturali diverse, necessità diverse. Per quanto possa sembrare strano, tutto però funziona.

In Finlandia, e mi rendo conto sia un po’ forte da dire, ho visto il rispetto per lo straniero, cosa che in Italia si percepisce meno. Qui ho seguito anche un corso sul diritto dell’immigrazione dove abbiamo avuto anche la testimonianza di un rappresentante della Polizia che si occupava di inclusione e asilo politico. Per quanto sia un Paese nordico, solo in apparenza rigido, non si fanno guidare dagli stereotipi e c’è un’importante apertura nei confronti di chi arriva da fuori.  

Degli anni di università, cosa ti porti ancora dietro?

Se c’è una cosa dell’università che mi porto dietro è la pianificazione. Vuoi o non vuoi, la mole di lavoro e di esami a Giurisprudenza richiede un’organizzazione importante. 

C’è una cosa che mi manca dell’università, cioè il fatto di essere in una sorta di ambiente protetto. Nella mia idea, l’università rimane un microcosmo ma ti concede numerose possibilità: anche, banalmente, la biblioteca Frinzi aperta fino a mezzanotte, rappresentava un porto sicuro. 

All’epoca non vedevo l’ora di laurearmi ma, quando cominci a lavorare, ti rendi conto di quanto ti possano mancare quegli anni. Giurisprudenza e Verona mi hanno dato tante possibilità, come l’Erasmus che era gestito molto bene grazie a un sistema che ti incentiva a partecipare, anche concedendo borse di studio più alte rispetto ad altri atenei. Ho partecipato, inoltre, a numerosi convegni e credo che questi siano un modo per far diventare l’ateneo un vero centro di incontro e confronto anche con i docenti: professori che ci hanno sempre dato qualcosa in più rispetto alla semplice lezione e allo studio sui libri.

Cosa consigli a chi fa Giurisprudenza e a chi sta studiando in generale? 

Prima di tutto, consiglio di evitare di pensare che studiare all’università sarà sempre “rose e fiori”. È un percorso lungo, a volte molto faticoso, talvolta anche opprimente, per cui bisogna valutare bene quale università si sceglie e quale corso. 

Consiglio anche, e questo è anche il mio mantra, di affrontarla un passo alla volta, perché se uno entra all’università dicendo tra tot anni mi devo laureare allora non si parte proprio bene. Facendo una cosa alla volta, vivendo anche quell’ansia positiva. Se si vede che si sta perdendo il contatto con la realtà chiedete aiuto perché l’università non è una gara, l’ho imparato anch’io tardi, è un percorso e ognuno ha il suo, nessuno verrà mai a farti poi i conti in tasca una volta finita, a nessuno importa il tuo voto di laurea, concorsi a parte. Guarda sempre e solo le tue cose senza dare troppo peso a quello che ti circonda, ma senza chiuderti a riccio perché l’università può essere molto intensa e non esistono solo i libri da studiare ma anche relazioni che vanno costruite in quel momento della vita. Alcune persone conosciute all’università sono ancora oggi miei amici, ed è quello che resta a distanza di anni. Rimane il percorso, devi essere fiero di quello che hai fatto. 

A chi sceglie Giurisprudenza dico di pensarci bene perché è molto faticoso, mi sono interrogata più volte io stessa. È una scelta che rifarei, ma va valutata molto bene. 

So che stai cercando lavoro e sei in attesa di una chiamata, cosa ti auguri a livello lavorativo? 

Bella domanda, ma anche difficile. Per me, adesso che sto cercando lavoro, è ricominciato tutto quel loop fatto di candidature, per cui l’augurio che mi faccio è di trovare presto un lavoro all’estero. Secondo me chi viaggia ha più possibilità di capire meglio il mondo; stare su un territorio a stretto contatto con altre culture per me è importante. Vorrei rimanere nell’ambito dei diritti umani, dell’advocacy, battermi per una causa, dare un contributo e sentirmi utile alla società, senza per forza avere la pretesa di cambiare il mondo. Non penso seguirò il percorso classico di giurisprudenza facendo l’avvocato, il notaio o il magistrato: voglio qualcosa di più e continuerò a ricercarlo. 


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