VERSO LA FINE DEL MONDO

Alla periferia di Quito, capitale dell’Ecuador, delle lettere cubitali colorate di arcobaleno informano che siamo alla “Mitad del Mundo”, ossia a cavallo dell’Equatore. Dalla parte opposta dell’America Latina, a sud, un’insegna meno pomposa ma altrettanto suggestiva è il tradizionale punto di partenza o arrivo dei ciclisti che percorrono la Ruta 40, la strada che attraversa la Patagonia Argentina. Su quest’ultimo cartello, nella città di Ushuaia, viaggiatori e turisti leggono “Benvenuti alla Fine del Mondo”. Dodicimila km di avventure separano i due punti: un continente, quattro paesi, la Cordigliera delle Ande, il deserto più arido del mondo e decine di meraviglie naturali, storie e persone. C’è chi percorre questa distanza in bici, chi in moto, altri ancora in van o camper. Due anni fa, io ho deciso di coprirla a piedi.

Mi chiamo Nico e il mio sogno è fare il giro del mondo a piedi. Sono partito da casa, in Italia, spingendo un passeggino di nome Ezio che trasporta tutto quello di cui ho bisogno, dal cibo alla tenda. Dopo aver attraversato l’Europa Occidentale camminando e l’Oceano Atlantico in barca, sono arrivato in America Latina e ho deciso di percorrerla da nord a sud in direzione Fine del Mondo. Questo è un breve racconto sul viaggio che ho vissuto.

PRIMI PASSI IN SUDAMERICA

La sosta a Panama fu breve ma significativa. Avevo interrotto il cammino in Spagna, sulle rive dell’Oceano Atlantico, e volevo riprenderlo da dove mi ero fermato per portarlo dall’altro lato dello stretto, sulle sponde dell’Oceano Pacifico. Humberto era la prima persona che mi ospitava in America Latina, ci eravamo conosciuti su Couchsurfing qualche giorno prima che arrivassi e anche se era un discreto camminatore lo vidi esitare quando gli proposi di accompagnarmi. Novanta chilometri con il caldo equatoriale sono un’idea poco appetibile per chiunque. Decisi di lasciare Ezio a casa di Humberto in modo da viaggiare più leggero, avrei coperto la distanza in due giorni pertanto a parte la tenda non avevo bisogno di gran equipaggiamento. Solo un oggetto era fuori luogo: un grosso machete di ferro prestatomi da una guardia forestale. Il motivo? Provate a dormire con 35 gradi e umidità relativa al 90%! La sensazione di freschezza del metallo sul corpo era un toccasana e riuscii ad addormentarmi solo sdraiandomi a petto nudo sopra il machete. A meno di 48 ore di distanza avevo immerso le mani in entrambi gli Oceani. Il giro del mondo a piedi era approdato sull’altro lato dell’America Latina. Scelsi di proseguire da Quito, in modo da cominciare la discesa verso sud e la Fine del Mondo dalla sua iconica Mitad.

Una delle storie che ti capitano se viaggi a piedi è che dall’aeroporto alla città più vicina puoi tardare anche due giorni. Atterrai alle 15.00 ora locale, con 40 km a separarmi da Quito; impensabile farcela prima di notte. Mi diressi verso Tumbaco, uno dei sobborghi della capitale, dove Couchsurfing mi aveva connesso a David. Ci misi qualche ora per arrivare, ma quando arrivai e cominciai a bussare alla porta, nessuno rispose. Le luci erano spente. Non so perché ma decisi di abbassare la maniglia della porta e… Ma dai! Era aperta! La piccola stanza dava sul tavolo della cucina, gli occhi furono subito catturati dal biancore rettangolare di un foglio di carta poggiato sopra al legno. Un messaggio? “Ciao Nico, scusa ma sono dovuto uscire per lavoro e tornerò dopodomani. Ti ho scritto ma penso non abbia ricevuto il messaggio perchè ancora non avrai la sim locale. Fai come fossi a casa tua, spero di vederti, scrivimi quando hai connessione che ci becchiamo a Quito”. Alzai gli occhi dal foglietto, allibito. Benvenuto in Ecuador!

Riuscimmo a incontrarci qualche giorno dopo, in occasione di una serata a base di pizza e vino. David era amico di Alejandra, la mia host di Quito, così avevamo organizzato un rendez-vous nella sua casa di periferia. La prima settimana era volata e i nuovi amici erano stati degli ottimi anfitrioni. Avevamo passato interi pomeriggi a parlare di storia, geografia, leggende e ricorrenze popolari e ora avevo un’infarinatura generale sull’Ecuador che mi avvicinava alle persone e ai loro modi di fare. Partii tra abbracci e auguri di buon cammino e cominciai la discesa delle Ande in stato di euforia. Dai 2800 metri di Quito arrivai in poche settimane alla costa, nei pressi della città di Manta e punto di partenza della Ruta del Spondylus, una conchiglia sacra alle popolazioni native che presta il nome alla strada del litorale sud. La percorsi tutta fino a Guayaquil, seconda città del paese, e nel mentre battezzai lo stomaco con il primo fuorigioco: il ceviche. Piatto tipico dell’Ecuador, il ceviche è un mix di pesce crudo con cipolla, qualche fetta di peperone rosso, coriandolo fresco e abbastanza succo di limone da farne uscire un sughetto. Non mi ero ancora azzardato a provarlo, ma dopo due mesi di cucina locale pensavo di essere a posto. Mi sbagliavo. Passai due giorni a letto con i crampi allo stomaco e ci misi un’altra settimana a recuperare del tutto. 

“BUENA ONDA, PANA!”

Arrivai a Guayaquil qualche tempo dopo, diretto a casa di Juan Pablo. Ci eravamo conosciuti lavorando in Australia e ora Juan Pablo – JP per gli amici – mi stava ospitando a casa sua. Suo padre mi aveva passato una lista di cibi tipici da provare, con la promessa che se ne avessi mangiati almeno la metà avrei potuto dichiararmi Ecuadoriano di adozione! Ero messo bene e senza saperlo mi ero avvicinato al quorum. Il Bicho di Chontacuro invece mi mancava, “Che cos’è?” chiesi a Pablo. Lui scoppiò in una fragorosa risata e quando lo guardai interrogativo rispose tra le lacrime: “Un enorme lombrico tipico dell’Amazzonia! Ricchissimo di proteine, dovresti provarlo!” 

Da Guayaquil feci una piacevole deviazione verso le Galapagos, l’arcipelago dei sogni in cui la natura coesiste con l’uomo da pari a pari. Era maggio 2021, i vaccini per il covid cominciavano a uscire e le Galapagos erano state scelte dal governo per iniziare le vaccinazioni, volevano renderle covid-free in modo da riportare il turismo sulle isole. Correva voce che vaccinassero pure gli stranieri, dunque volevo provare la giocata. Avevo un contatto locale, un’altra Alejandra, che mi avrebbe ospitato. E così presi il volo per San Cristobal e non appena cominciarono a distribuire le dosi mi misi in coda. Il primo giorno andò buca perché la precedenza era per i residenti e non erano rimaste fiale, ma al secondo ebbi fortuna. Ero riuscito a vaccinarmi – e prima ancora dei miei coetanei Italia! 

CAMMINO IN PERU

Tornai sulla terraferma per riprendere il cammino. Da Guayaquil mi diressi verso il confine con il Perù, attraversando le infinite piantagioni di banane nella regione di El Oro. Se non ricordo male, l’Ecuador è il primo esportatore al mondo di banane, persino più della Cina! Immaginate di camminare per giorni e giorni circondati da questi alberi… Ovunque mi girassi, il panorama rimaneva uguale. Ero ormai al confine, pensavo di passare ad Aguas Verdes, ma un messaggio ricevuto pochi giorni prima mi aveva fatto prendere un’altra strada. Gian è Couchsurfing ambassador del Perù e mi aveva contattato per offrirmi di stare da lui, a Piura. La città distava un centinaio di km dal confine e quando gli chiesi cosa pensasse della frontiera ad Aguas Verdes mi consigliò di attraversare più a est, nei pressi di Lalamor – meno traffico, più tranquillo. Seguii il suggerimento e in pochi giorni ci trovammo faccia a faccia nella sua casa di Piura, la Città dell’eterna estate. Ricorderò sempre il commento che feci appena arrivato: “Gian, ma dov’è il tetto??” “Ah, qui non piove mai quindi non c’è”. Così come Alejandra era stata la mia guida per l’Ecuador appena ero arrivato, Gian fu felice di spiegarmi come funzionavano le cose in Perù. Vedemmo assieme il percorso – tutto lungo la costa per facilitare il cammino. Ma anche stavolta Gian mi fece cambiare idea. Tirò fuori qualche foto della Cordigliera Bianca, una sezione delle Ande settentrionali peruviane dai panorami spettacolari, e mi fece vedere a grandi linee i percorsi di trekking che avrei potuto fare una volta raggiunte. Era deciso, Ezio e io saremmo andati sulle Ande! 

L’ascesa dalla costa ai 2400 metri di Caraz, primo villaggio del canyon affacciato sulle Ande Bianche, fu lenta e graduale. Grazie al consiglio di Dani, ragazzo conosciuto con gli hangouts e che aveva percorso il Perù in lungo e in largo in sella alla sua bici, ero riuscito a evitare il passo a 4000 metri che si interponeva tra la Panamericana e la valle di Caraz. La strada che si snodava lungo il Canyon del Pato era più lunga, ma aveva il vantaggio di essere decisamente più sicura e scenografica. Considerando che viaggiavo esclusivamente a piedi, spingendo un passeggino che tra provviste ed equipaggiamento arrivava a pesare 50 kg, la scelta di una strada senza passi di montagna elevati era la strategia migliore per le mie gambe. I trekking della Cordigliera Bianca mi trattennero quasi un mese: fu lì che mi innamorai definitivamente del Perù. Settembre volgeva al termine quando mi saziai di lagune incantate e ghiacciai maestosi e cominciai a tornare alla costa, direzione Lima. 

Lima si trova a metà lunghezza del Perù: i 1500 km a nord erano andati, ora toccava a quelli verso sud, i più desertici e meno abitati. Avrei dovuto portare più acqua e fare ricorso al free camping nelle lunghe distanze tra un centro abitato e l’altro. Mi abituai alla routine di montare il campo a camminata conclusa e smontarlo la mattina presto, prima dell’alba. Percorrevo una media di 40km al giorno e a dire la verità ero sereno, mi piaceva. Il clima del deserto peruviano è caldo e secco, non piove e c’è poco vento: sono le condizioni ideali per chi vuole camminare. Ogni tanto arrivavo in città, facevo rifornimento, visitavo qualcosa e poi ripartivo. 

IL PAESE PIU LUNGO DEL MONDO

Il gps segnava 4000 km in America Latina (7000km da quando il giro del mondo a piedi era iniziato) quando varcai il confine con il Cile e mi addentrai nel deserto più arido del mondo: Atacama. Alcune regioni non registrano pioggia da settant’anni e l’aria è talmente secca che anche in assenza di vento ti si screpolano le labbra. Nonostante ciò, per me era il paradiso: a parte il vento che si levava il pomeriggio, in direzione contraria, le condizioni per camminare erano perfette. Tenevo una media di 40km al giorno, calcolando provviste per una settimana da un centro abitato al successivo: cibo in abbondanza e 25 litri di acqua sufficienti a bere, cucinare e lavare me e i vestiti. Lavare?! Eh si, in qualche modo volevo togliermi la polvere di dosso, quindi passavo una spugna umida sul corpo per tirare via il grosso della giornata. Riuscivo anche a lavare i calzini usando una tanica di acqua da cinque litri come lavatrice: con due litri potevo lavare due paia di calzini, quindi due giorni di marcia.

Lasciai alle spalle il Norte Grande e il cuore del deserto di Atacama in due mesi. Avrei voluto arrivare a Santiago e proseguire per l’Australia, ma non riuscii a ottenere il visto in tempo, pertanto fui costretto a fermarmi. Andare in Australia fuori stagione avrebbe significato attraversare l’Outback con l’estate e cinquanta gradi, era fuori discussione. La seconda opzione era allungare il cammino di 5000 km e otto mesi e andare ancora più a sud… Ushuaia e la fine del mondo! 

Rimasi in Cile e oltrepassai Santiago addentrandomi nel Valle Central, dove vive la maggior parte della popolazione. La zona sud del paese è famosa per essere tremendamente piovosa, però è anche decisamente popolata. Il nuovo equilibrio portò la tenda a riposare dentro Ezio e io a trovare ristoro presso decine di persone incontrate sui social media. Rimasi colpito dalla varietà e dalla creatività dei personaggi con cui facevo amicizia: c’era chi, per vivere, faceva dell’artigianato di cemento, da sottobicchieri a portasaponi a sostegni per lampade; chi, per hobby, costruiva enormi maschere di cartapesta a forma di animali fantastici chiamati Alebrijes; un ragazzo, Ivan, era appena rientrato a casa dopo aver lasciato la barca ormeggiata ai Caraibi, in attesa che la stagione degli uragani finisse per poter tornare a veleggiare tra le isole dalla sabbia bianca. 

Proseguii lungo la Carretera Austral, la strada delle meraviglie in cui ghiacciai e lagune spettacolari si affacciano da ogni dove. Giunto al termine, a Villa O’Higgins, trovai il confine per l’Argentina chiuso. Se volevo rimanere fedele all’impegno di farla tutta a piedi, avrei dovuto prendere una deviazione da 500 km per arrivare dall’altra parte. Così feci.

LA FINE DEL MONDO

Dovetti tornare indietro per cinquanta chilometri (vi assicuro che a piedi è una distanza considerevole) e poi uscire dall’infernale Passo Mayer, un groviglio di guadi di fiume, paludi, sentieri che si perdevano e una passerella sospesa sopra un corso d’acqua impetuoso. Al termine, centinaia di chilometri di Pampa desolata, un vento incessante che urlava nelle orecchie giorno e notte impedendo di dormire e la desolazione assoluta. Potevo contare soltanto su di me e il mio fedele compagno, nessuna possibilità di rifornimento, tutto il cibo era stato stivato dentro al passeggino. Ci misi due settimane per raggiungere la meta, Chaltèn, capitale nazionale del trekking argentino. Proseguii il cammino verso sud dopo essermi debitamente rifocillato e riposato, toccando Calafate e il Perito Moreno, uno tra i ghiacciai più famosi e scenografici al mondo. Volevo tornare in Cile perché ormai lo avevo percorso tutto, dall’estremo nord di Arica fino a Bahia Bahamonde, dove la strada si interrompeva. Potevo essere il primo a percorrere tutto il Cile in lunghezza, camminando.

La notte di Natale accampai al confine, lato argentino, i gendarmi lasciarono che mettessi la tenda dietro la guardiola… E mi diedero pure qualcosa da mangiare! Il giorno dopo ero in Cile e venivo accolto da una bufera con venti a 80km/h, folate tanto potenti da riuscire a spostare Ezio nonostante i suoi 50 kg.

Arrivai a Punta Arenas pronto per l’ultimo atto: la Terra del Fuoco. Si tratta di un’isola ancora più a sud della Patagonia e ospita la città più australe del mondo, la mia meta e la fine del capitolo sudamericano del Giro del mondo a piedi: Ushuaia, la Fine del Mondo. Percorsi l’ultimo tratto di Cile, da Porvenir al Passo San Sebastian, concludendo l’epopea nel paese più lungo del mondo. Solo per attraversarlo mi ci era voluto un anno, tempo in cui avevo camminato per quasi 6000 chilometri da Arica a San Sebastian. Non so di altre persone che l’abbiano mai fatto: ero il primo a riuscirci. 

Ero nuovamente in Argentina e a 450km dal confine mi stava aspettando la Fine del Mondo. Vi giunsi il 24 gennaio 2023, dopo aver percorso 12.000km in quattro paesi: Ecuador, Perù, Cile e Argentina. Avevo attraversato tre deserti, ero salito sulle Ande e avevo consumato nove paia di scarpe da quando ero partito da Quito e la Mitad del Mundo, due anni prima. Potrei scrivere un libro su quello che è successo nel frattempo – e probabilmente lo farò – ma cosa lasciarvi in un racconto di poche righe? “Se credete nei vostri sogni li potete realizzare”, per quanto vero suona banale, troppo facile. Allora vi dico questo: rallentate. Andate con calma, non abbiate fretta di fare le cose per poi dire di averle fatte. Prendetevi del tempo, metteteci del vostro e date un significato alla fatica, in modo che quando arriverete al cartello che segna l’arrivo non abbraccerete solamente un pezzo di legno, ma voi stessi e il tempo che avete dedicato a realizzare il vostro sogno. Abbiate la curiosità di vedere la bellezza nella diversità e la pazienza di cogliere la diversità nella lentezza. Rallentate, perché andare piano è il modo migliore per diventare ciò che siete.

Nicolò, laureato in Economia aziendale – Università di Verona
Instagram: @pieroad____

LE TAPPE PRECEDENTI

Nei mesi scorsi sono stati pubblicati su People of Univr altri racconti del viaggio di Nico: