“Qua fa freddissimo, la notte soprattutto, si gela”
“Cavolo… Ma… Freddo, freddo quanto? Che temperatura?”
“Eh, freddo forte amico, la notte arriva a 15 gradi!”
“…”
L’Ecuador è una strana terra. È uno stato ricco con gente povera che si diverte ballando musica triste. Il paese siede a cavalcioni sulla linea dell’equatore ma anche qui c’è diritto al freddo, quindi per i suoi abitanti è lecito battere le brocche con dieci gradi. Ah, un’altra cosa: a nessuno piace camminare. Quando chiedo quanto ci voglia per arrivare al mercato, mi dicono che è lontano, lontanissimo, devi prendere un mototaxi. Ma lontano, quanto lontano? Uuuh a piedi fino a la saranno cinque, anche dieci minuti!
Sorrido, che altro dovrei fare? Confermo che andrò a piedi e mi diverto a vedere le loro facce stupite quando spiego perché non prendo mezzi: sto facendo il giro del mondo a piedi.
Mi chiamo Nico ed un anno fa sono partito per realizzare il mio sogno. Perchè proprio a piedi? Quando si viaggia si cerca qualcosa che normalmente non riusciamo ad afferrare, un elemento che sfugge alla quotidianità e che per questo diventa tanto prezioso quando lo troviamo. Lentezza, se penso a qualcosa che manca nella vita di tutti i giorni è: lentezza. É la chiave per accedere ad un contatto speciale con luoghi e persone, è la qualità che permette di costruire storie ed esperienze che un giorno si chiameranno ricordi. Camminare è il modo più naturale per spostarsi da un luogo all’altro, si avanza ascoltando il ritmo del corpo, seguendo quello del giorno: perchè non avviarsi così, alla scoperta del nostro pianeta?
Il 9 Agosto del 2020 ho chiuso la porta di casa dietro di me e cominciato a camminare: nei primi caldi ed assolati giorni in Italia ho attraversato Pianura Padana ed Appennino Tosco-Emiliano, all’altezza del passo del Lagastrello. Mi sono poi diretto lungo la costa ligure fino a giungere al confine francese, passando Ventimiglia e proseguendo lungo la riserva della Camargue ed il Canal du Midi, un magnifico canale fluviale che taglia la Francia collegando Mediterraneo ed Oceano Atlantico. A seguire, i Pirenei, i 30km più duri di tutta l’Europa. Arrivato in Spagna, ho percorso il Cammino di Santiago e la Via de la Plata fino a Palos de la Frontera, città dalla quale mi sono imbarcato per le Canarie alla ricerca di un passaggio in barca per le Americhe
Dopo un mese di ricerche, sono riuscito a trovare un catamarano di 12 metri ed ho attraversato l’Atlantico in un lunghissimo mese di alienante distacco dal mondo umano. L’equipaggio si è sciolto all’arrivo, proseguo da solo alla volta di Panama, dove collego gli Oceani Atlantico e Pacifico camminando lungo l’istmo. In questo modo, è come se il cammino interrotto in Spagna fosse ripartito, senza interruzioni, dall’altro lato del mondo
Giungo a Quito verso la fine di marzo 2021, sono più di sei mesi che ho lasciato casa, a Vicenza. L’arrivo alla capitale ecuatoriana è il migliore che potessi sperare perché sono ospite da una famiglia che mi spiega storia, geografia, politica ed usi e costumi del loro paese – regalandomi anche qualche informazione sul resto del continente. Ho incontrato Alejandra, Melissa e Caro su Couchsurfing, una piattaforma che permette a chi ha un divano libero di ospitare i viaggiatori come me, in cerca di un contatto immediato ed autentico con la realtà locale. È grazie a loro che comincio a familiarizzare con le dinamiche latinoamericane e quando, dieci giorni dopo, lascio la loro casa per incamminarmi verso sud, sono molto più tranquillo e pronto ad affrontare i 7000km che mi separano da Santiago del Cile, la meta di questo continente.
Prima di scendere, però, mi concedo 250km di passeggiata a nord, alla volta di Otavalo, Ibarra e Cayambe, nel pieno delle Ande Ecuatoriane. Le ragazze me ne avevano parlato con occhi sognanti, quindi decido di esplorare la regione. Ad un paio di giorni di cammino da Quito, il paesaggio cambia, lasciando emergere colossi di quattro e cinquemila metri di fianco alla strada: sono il ghiacciaio Cayambe ed il picco Imbabura. Le Ande cominciano a stregarmi e mentre giro lentamente attorno all’Imbabura – mi ci vogliono quasi due settimane – faccio conoscenza dell’ospitalità e della cucina andina, un mix di patate, yuca e stranezze come il porcellino d’india! Scavallo un paio di volte il parallelo zero, poi torno verso Quito e proseguo il cammino verso il vulcano Pululahua, dove mi fermo a campeggiare. Lo sapevate che è uno degli unici due vulcani al mondo con un villaggio al suo interno? Nel gigantesco cratere regna una pace immensa, i contatti con l’esterno sono ridotti al minimo: l’unica strada che scende al pueblo non è asfaltata e le reti cellulari non prendono. È un posto perfetto per stare con se stessi.
Lascio il vulcano una settimana dopo, con una vena di malinconia, ma sento che il cammino mi chiama. Comincio la vera e propria discesa, passando da 2800 metri al livello del mare in pochi giorni, fino a toccare l’oceano stesso, all’altezza di Manta, il porto sul Pacifico più grande del paese. Qui un violento mal di stomaco frutto di un ceviche non proprio fresco mi blocca per qualche giorno; è la prima volta che sto veramente male da quando sono partito e tutto sommato fino ad allora mi era andata di lusso. Fortunatamente ho un posto dove stare, così in un paio di giorni riesco a recuperare le forze e ripartire.
Piano piano, cammino lungo la costa, scendendo la Ruta del Spondylus. La strada prende il nome dall’omonima conchiglia, lo Spondylus, che nell’America precolombiana aveva una valenza sacra. Quando cambiava il clima e si avvicinava la stagione delle piogge, questa conchiglia arrivava alla costa, segnando l’inizio della stagione della fertilità – dunque, nuova vita. Ancora una volta, sono stupito dall’ospitalità ecuatoriana: quando chiedo se posso mettere la tenda nei pressi di una casa, la risposta affermativa arriva già al primo, massimo secondo tentativo. Il Manabi – così si chiama questa regione – è famoso anche per la cucina. A parte il ceviche, che ora evito con gran attenzione, qui si prepara l’encebollado, una sorta di zuppa di cipolle, pesce e… Arachidi! Il frutto viene messo un po’ in tutti i piatti e dopo l’iniziale perplessità, l’abbinamento mi conquista.
Arrivato a Santa Elena, giro verso est alla volta di Guayaquil, seconda città del paese. Per qualche giorno mi accoglie Marcelo, conosciuto durante l’Erasmus in Spagna. Mentre chiacchieriamo di fronte all’ennesima, squisita zuppa di pesce, mi dice che alle Galapagos stanno vaccinando in massa. Potrei avere un’opportunità, magari qualcuno rinuncia e rimangono dosi disponibili. L’idea mi alletta e ovviamente un giro alle Galapagos dev’essere tutto fuorché brutto. Marcelo mi informa che parte della sua famiglia è lì e che potrebbe ospitarmi per tutta la permanenza. Non ci penso più di tanto: il pomeriggio stesso prenoto il volo per le isole. Prima di andarci, però, passo da un’altra vecchia conoscenza, Juan Pablo, incontrato in Australia mentre lavoravo a Melbourne. La sua famiglia, neanche a dirlo, mi accoglie come un figlio e sento di essermi definitivamente e perdutamente innamorato di questa terra e delle sue genti. Il padre, Pablo, mi passa una lista di piatti nazionali che devo assolutamente provare. Scorro l’elenco assieme a lui, spuntando i cibi già provati. Con una nota di orgoglio, concludo di essere oltre la metà e Pablo si propone di aiutarmi facendomi provare altre specialità finché sono a casa loro.
Debitamente rifocillato, prendo il volo per San Cristobal, Galapagos. Dopo essermi installato a casa di Vilma, Alejandra e Rosalia, vado a fare la coda per il vaccino, ma ricevo un due di picche. Fortunatamente, il giorno successivo ha un lieto fine e riesco a vaccinarmi. Per ricevere la seconda dose la permanenza sull’isola si allunga a quattro settimane, cambiando ancora una volta i piani che avevo in mente. Poco male, ho tempo di recuperare le forze e quando torno sulla terraferma sono pronto per ripartire verso il Perù. Attraverso la provincia di El Oro, una gigantesca piantagione di banane a perdita d’occhio, e giungo a Zaruma. Da qui, scendo verso il confine di Lalamor, dove giungo a metà luglio. Nel frattempo, il visto ecuatoriano è scaduto ed il suo rinnovo mi ha fatto riflettere sul leitmotif di questo viaggio: la lentezza.
Pensavo di fermarmi in Ecuador un mese, il tempo di attraversarlo lungo 1000km di cammino. Ora che ne esco, mi guardo indietro e vedo quattro mesi e decine di storie che hanno arricchito un percorso molto più intenso di quanto potessi immaginare. Ci sarebbero decine di storie da raccontare: il piacere di scambiare quattro chiacchiere nella nostra lingua con i ragazzi di Operazione MatoGrosso incontrati lungo la costa manabita; la disponibilità di Christian prima e Luca poi, che mi danno un tetto durante i weekend di lockdown totale; i consigli di Jilmar, che portano un cambiamento radicale nella distribuzione delle energie durante le giornate di cammino; le creme al mentolo di Ianela e Pato, che ancora oggi, in Perù, alleviano la tensione dei tendini stressati.
La lentezza è stata la chiave per scoprire le persone che hanno arricchito questo viaggio, rendendolo un’esperienza ricca di insegnamenti e ricordi piuttosto che una guida turistica dei posti più belli dell’Ecuador. Mi avvicino al Perù grato per le settimane passate qui, un tempo meraviglioso che mi ha portato ad innamorarmi sinceramente di queste terre.
Il giro del mondo a piedi prosegue alla volta del Perù, il cui confine terrestre è ancora chiuso… Come farò ad attraversarlo?
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Nicolò, laureato in Economia aziendale
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