Valerio Fidenzi nasce e cresce in Umbria, dove consegue – a Perugia – la laurea triennale in Mediazione linguistica. Con le prime esperienze lavorative aumenta però in lui la necessità di allargare i propri orizzonti. Si iscrive quindi alla magistrale in Editoria e giornalismo all’Università di Verona: un corso che, oltre ad arricchire le sue competenze nel settore editoriale, gli permette di trascorrere un periodo di studio Erasmus a Cambridge. Oggi Valerio Fidenzi è Editor per Mondadori a Milano, dove cura la produzione di libri di testo per le scuole.

Ciao Valerio, parlaci un po’ di te e del tuo percorso.

Io sono umbro, sono nato a Terni e cresciuto fra Terni e un paesino al confine tra Lazio e Abruzzo, quindi in pieno centro Italia. Ho frequentato il liceo scientifico con risultati tra il sufficiente, il buono e il discreto, parabola ascendente diciamo. I primi anni ho faticato molto per mancanza di motivazione, motivazione che ho poi trovato coltivando le mie passioni e cominciando a fare ricerca – a modo mio e con gli strumenti che avevo ai tempi – su di esse. In qualche modo, mi ha dato una sorta di ancoraggio e rigore nel fare le cose, che poi si è riversato anche nello studio. Materie come italiano, inglese, letteratura e arte hanno cominciato ad accendere un lume e i risultati scolastici a crescere di conseguenza. Dopo i primi anni di fatica ho concluso il liceo con buoni voti.

Mi sono iscritto alla triennale in Mediazione linguistica a Perugia e, mentre ero impegnato nella stesura della tesi, ho a iniziato lavorare, a Terni, come commesso per grandi catene – come Blockbuster. Sia attraverso lo studio, sia attraverso i primi impieghi, in quegli anni ho cominciato a seguire e ad assecondare le mie passioni. Dopo qualche anno, però, ho cominciato a sentirmi in un vicolo cieco. Sì, avevo un lavoro e cominciavo a vedere anche le prime entrate, però si trattava di impieghi che mi allontanavano da ciò che volevo veramente per me.

Lavorare mi vincolava a Terni e quindi mi impediva di proseguire gli studi, perché l’offerta formativa locale non prevedeva corsi di laurea magistrale nel settore. Di contro, io potevo dire di avere un lavoro, mentre molti miei amici no e la vocina nella mia testa mi suggeriva di tenermelo stretto. Ho sperimentato, forse per la prima volta, le frizioni del work-life balance, la difficoltà a tenere in equilibrio vita personale e vita lavorativa.

Sono stati mesi difficili. Quando sei dentro a simili vicende sembra sempre che riguardino esclusivamente te, soprattutto a quell’età. Solo recentemente ho realizzato che la mia condizione era parte di una crisi decisamente più ampia: cittadina (a parer mio, Terni in quegli anni si stava spegnendo), regionale (sono nato e cresciuto nelle cosiddette aree interne), ma anche nazionale (erano gli anni del Governo Monti, del whatever it takes di Draghi, della Riforma pensioni Fornero).

Nonostante questo, alla fine ho fatto il “salto nel buio” verso Verona, dove ho deciso di iscrivermi alla magistrale di Editoria e giornalismo, anche in questo caso per andare incontro alla passione per la letteratura e per i libri. Lo descrivo come un salto nel buio sia perché stavo lasciando un lavoro concreto per andare incontro a un sogno, sia perché a Verona non conoscevo nessuno. È stato un salto adrenalinico, che non ho fatto a cuor leggero ma per il quale ho potuto contare sul supporto incondizionato della mia famiglia. Alla fine, si è rivelato piuttosto un salto verso la luce. Per me Verona è stato un passaggio verso la libertà e la possibilità di riscrivere tutto, mi ricordo benissimo quella sensazione di aver fatto tabula rasa: ero arrivato in una città nuova, non conoscevo nessuno, nessuno aveva aspettative su di me e quindi potevo cominciare a scrivere il futuro che avevo immaginato.

Che esperienza è stata l’Università a Verona?

Per quanto mi riguarda sono stati anni incredibili: per tutta la durata della magistrale sono stato al settimo cielo. Ero proprio dove volevo essere e avevo idealizzato talmente tanto quell’esperienza che durante una cena con i coinquilini, uno di loro ha chiesto: “Dove vorreste essere in questo momento?”. E io ho risposto: “Vorrei essere esattamente qui”. Forse poteva sembrare un po’ una risposta di circostanza ripensandoci, ma il mio percorso mi aveva portato a maturare quel preciso desiderio.

Sono stati anni molto belli e ho cominciato a investire su quello che per me contava. Ho trovato tante persone con cui condividere il viaggio: una rete di amicizie imprescindibili, gli amici più importanti della mia vita. Ho avuto professori eccezionali (mi considero un privilegiato per aver assistito alle lezioni di Adriana Cavarero), ricevuto moltissimi stimoli e ispirazioni e fatto tante esperienze. In altre parole, ho vissuto appieno l’università esattamente per ciò che dovrebbe essere.

E poi sei stato anche in Erasmus…

Sì, grazie all’Università di Verona – e al supporto economico dei miei genitori – ho avuto la possibilità di vivere un sogno nel sogno: non solo l’Erasmus, ma un Erasmus a Cambridge, che rappresentava per me un’opportunità incredibile. Lì mi sono ulteriormente invaghito della ricerca e dell’accademia. Quando sono partito avevo appena concluso un tirocinio all’ufficio stampa dell’Univr, quindi avevo già avuto modo di vedere l’università in maniera un po’ diversa rispetto a quello che sperimenti da studente. Stavo cominciando ad appassionarmi un po’ a tutto l’universo accademico. Cambridge mi ha dato una spinta ulteriore perché per molti versi è l’Università per eccellenza.

Al termine dell’esperienza inglese, sono tornato a Verona, dove ho trovato la mia dimensione tra l’attività di ricerca in ambito accademico e il lavoro in un’azienda del territorio. Sono state due esperienze preziose, che mi hanno fatto crescere e maturare tanto. A Verona ho anche comprato casa, ma ci ho vissuto solo per tre mesi!

E poi?

Poi è arrivata la chiamata di Mondadori. Sono stato assunto, ho mollato tutto e sono partito per Milano. Mi ricordo benissimo quando ho mandato il curriculum. La notte non ho dormito: da un lato c’era la speranza di essere preso, dall’altro c’erano tanti dubbi e incertezze. Quella notte ho realizzato di aver costruito qualcosa di importante a Verona e, per così dire, messo radici. Lavoravo tanto ai tempi e correvo tutto il giorno, ma ero comunque in una sorta di comfort zone. “Tanto non mi prenderanno mai…”, pensavo. “E se invece accadesse?”

Avevo mandato il mio curriculum all’azienda anche un anno prima della chiamata ma, in quel caso, non avevo ricevuto risposta. Poi è successo che Mondadori ha lanciato un progetto per investire sui giovani al di sotto dei trent’anni, si chiamava “Millennial Editor”. Un giorno, mentre ero su Facebook, ho visto l’annuncio e ho mandato il mio curriculum. Quell’offerta di lavoro l’avevo vista per puro caso. È giusto impegnarsi, fare il proprio ma anche essere un po’ ricettivi e curiosi verso stimoli e opportunità che possono arrivare da qualsiasi direzione.

Il percorso di selezione è durato svariati mesi tra selezione dei cv, colloqui da remoto e in presenza e una giornata di Edithon (una rivisitazione editoriale dell’hackathon) a Palazzo Mondadori. Io solitamente mi faccio prendere dall’ansia e non brillo negli assessment di gruppo. In quei momenti, però, sono riuscito a mantenere la lucidità e a dare il massimo. Tutto ha girato per il verso giusto, tutti i tasselli si sono incastrati e, alla fine, le risorse umane mi hanno riferito di essere stato scelto. Siamo stati presi in otto su poco più di quattromila persone, non ti dico i pianti di gioia che ho fatto per una settimana!

Mi sembra ancora strano: là fuori è pieno di persone con anni e anni di gavetta sulle spalle. Io non avevo esperienza professionale nel settore, eppure qualcuno deve aver visto il sacro fuoco della passione e apprezzato il percorso che mi aveva portato fin lì e le competenze sviluppate lungo il tragitto.

Parlaci nello specifico del tuo ruolo e delle tue mansioni.

Io sono assunto come Editor da Mondadori e lavoro per Mondadori Education, la società del Gruppo dedicata all’istruzione, soprattutto scolastica, e alla formazione. In questo ambito, la cosa che mi piace e che continua a motivarmi molto è che, in base alla fase dell’anno in cui ti trovi, il lavoro cambia molto e vengono richieste competenze diverse.

Una prima fase riguarda la progettazione editoriale: la scolastica è un’editoria di progetto, vale a dire che prima si studia, poi ci si siede a tavolino e si costruisce il libro tassello dopo tassello, realizzando prototipi, testandoli, smontandoli se necessario, e così via. Contestualmente si ascolta il mercato, cioè le scuole e, sulla scorta di ciò, si costruisce un progetto didattico ed editoriale. L’autore è ovviamente imprescindibile, ma la complessità dei progetti richiede necessariamente un lavoro di squadra dall’inizio alla fine.
Questa fase iniziale di progettazione è, forse, quella che più mi piace perché è creativa ma ben regimentata nei parametri dettati da normative e richieste degli insegnanti.

Al termine di questa prima fase, abbiamo un prototipo del libro sulla base del quale avviare la produzione. A questo punto, il nostro lavoro si avvicina a quello di un project manager: se si pensa che a un manuale possono lavorare anche 35 persone, serve una figura che coordini il tutto assicurando la tenuta del progetto, nel rispetto dei tempi e dei costi, e mediando tra istanze diverse. È una fase che richiede ritmi sostenuti e capacità di lavorare sotto pressione, non solo per il team ma anche per la quantità di contenuti di testo da gestire, che vengono lavorati e rilavorati più e più volte. Si passa dalla stesura dell’autore alla lettura con i consulenti, dalla redazione all’impaginazione e ai giri di bozze, fino alla finalizzazione per la stampa.

Infine, c’è una parte un po’ più residuale del mio lavoro che consiste nella comunicazione e nel marketing dei libri di testo: sulla base dell’ascolto del mercato, dei docenti e delle loro esigenze, diamo agli uffici preposti indicazioni su come comunicare un volume, su quali elementi fare leva e quale deve essere il feeling.

Da fuori non ci si rende conto di cosa c’è dietro all’editoria scolastica. Inizialmente, io stesso non ne avevo un’idea precisa, per questo quando Mondadori mi ha assegnato a questo settore, forse basandosi sulla compatibilità con il mio curriculum, mi sono ritrovato un po’ spiazzato. Con il tempo, però, mi ci sono appassionato tantissimo perché è un lavoro stratificato che mi permette di occuparmi della creazione di un libro a vari livelli: progettuale, testuale, grafico, eccetera.

Cosa ti porti dietro dagli anni dell’università?

Ci sono stati dei corsi, quelli più focalizzati sull’editoria, che mi hanno dato una solida impostazione di base.
Nello specifico, un corso di Editoria applicata mi ha insegnato molto sulla carta, le modalità di stampa e di rilegatura dei libri, ma anche la parte di impaginazione e grafica con i programmi professionali. Stessa cosa per quanto riguarda il corso di Management per l’editoria, che ci ha permesso di visitare alcune importanti realtà aziendali dell’editoria come la Mondadori e il Corriere della Sera. Così come il corso di Storytelling transmediale, molto attuale perché ormai non si può più prescindere dalla multicanalità, anche nell’editoria scolastica, basti pensare alle espansioni digitali dei volumi, ai corsi online per docenti e studenti o anche ai webinar.

E poi, non posso dimenticare l’esperienza di tirocinio all’ufficio stampa e comunicazione: quando sono entrato cercavano qualcuno che si occupasse di comunicazione visiva e foto durante gli eventi. Io ero un po’ più orientato proprio verso questa componente foto e video, essendo la fotografia un’altra delle mie grandi passioni. Lì sono andato oltre e sono riuscito a vedere la fotografia da un punto di vista professionale e non solo come un hobby.

Ritrovo gli insegnamenti ricevuti durante quello stage anche nel mio lavoro quotidiano: la comunicazione si sviluppa su più livelli, da quello testuale a quello visivo, anche nei libri di testo.

Quale consiglio daresti a chi sta studiando?

Consiglio sempre di cogliere tutte le occasioni possibili durante gli anni di università perché sono gli ultimi anni in cui si può investire totalmente su sé stessi e sulla propria formazione personale non solo studiando, ma anche facendo esperienze come l’Erasmus.

Nel momento in cui si inizia a lavorare a tempo pieno, la sensazione non è più quella di investire su sé stessi ma primariamente su altro. Nonostante ci venga detto che il lavoro è un modo per elevarsi – concezione che scricchiola, ma alla quale credo – per portare avanti la propria formazione, crescere ed evolvere bisogna lottare contro il tempo e contro la stanchezza fisica e mentale.  

Sulla base della mia esperienza, la chiave di lettura che posso dare è che l’impegno, lo studio e la dedizione sono importanti, così come lo è seguire le proprie passioni e i propri interessi ma, sarò un po’ naif, per me è stato molto importante anche coltivare l’immaginazione.
È una capacità che ho acquisito grazie alle passioni, ma poi è cresciuta come cosa a sé stante e così, senza rendermene conto, mi sono ritrovato ad applicarla a tutto, anche alla mia vita personale. Mi ha aiutato a cercarmi, a liberarmi dal peso di un’immagine e di un’aspettativa e a progettare una storia diversa. Se si coltiva l’immaginazione come abitudine mentale, allora questa si riverserà anche laddove non arriviamo razionalmente. Penso che sia alla base del pensiero creativo, del problem solving e di tante altre competenze richieste oggi nel mondo del lavoro.


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