Il mio agognato Erasmus in Germania, dalla finestra della mia camera

“In quanto studentessa di Lingue, penso che l’opportunità di partecipare e prendere parte ad un progetto come l’Erasmus+ sia fondamentale per migliorare le proprie capacità e per comprendere realmente se il percorso intrapreso sia quello giusto. E così, all’alba dell’inizio del mio secondo anno di triennale, decisi di candidarmi per il bando.

Non avevo mai studiato il tedesco prima di entrare in università, ma (stranamente) ne ero affascinata e consapevole della sua complessità. In effetti, questa lingua così ostica si è subito palesata come un’enorme sfida da affrontare. E quale poteva essere la soluzione migliore per poter vincere quest’eterna “lotta”? Trascorrere un semestre in Germania, dove avrei potuto abbattere la paura del parlare la lingua tedesca.

Armata di determinazione e pazienza, mi sono immersa nello studio in modo da conseguire ottimi risultati che mi avrebbero aiutata a scalare la graduatoria del bando Erasmus. E dopo aver dovuto comunque affrontare la fase dei ripescaggi, il 17 aprile 2019 risultai vincitrice di una borsa di studio per Monaco.

Ed è così che, tra appelli e lezioni, trascorsero i giorni, sognando costantemente l’arrivo della data di partenza. Nonostante in Italia la situazione stesse diventando sempre più critica a causa del crescente numero di contagi da Coronavirus, un po’ incoscientemente e un po’ egoisticamente, decisi comunque di salire su quel treno che da Verona mi avrebbe scortato a Monaco. Il 5 marzo, dopo un anno di burocrazia, finalmente la mia esperienza poteva cominciare. Peccato che tutto ciò che avevo meticolosamente programmato e immaginato nei mesi precedenti si è potuto realizzare solamente per una settimana.

Non appena l’OMS ha dichiarato lo stato di emergenza globale, ordinando il lockdown, un dubbio amletico ha afflitto la mia mente: rimanere confinata nei miei 10 mq in Germania, o tornare in Italia e trascorrere questo periodo di crisi con la mia famiglia? Ad oggi non saprei ancora dire quali sono le ragioni che mi hanno portato a prendere la decisione di restare qui, ma posso dire con certezza che ne sono comunque contenta. Non è ciò che desideravo, ma sto comunque esercitando le mie capacità linguistiche, sia grazie alle lezioni online che l’università ospitante (LMU München) sta impartendo, sia grazie a banalità come chiedere informazioni mentre si fa la spesa o leggere il quotidiano in tedesco. Inoltre, vivendo in uno studentato in una città così multiculturale come Monaco, ho la possibilità di incontrare gente proveniente da ogni parte del mondo e scoprire le loro tradizioni, le loro lingue.

Tutto sommato, poteva andarmi molto peggio! E non disdegno nemmeno quei giorni di malinconia, in cui mi affaccio alla finestra della mia camera, sorseggiando un’amata birra tedesca e osservando come questa pandemia abbia sconvolto le nostre routine.”

Anna Maria, studentessa di Lingue e culture per l’editoria
Instagram: @anne_cingu

Il mio cuore è costantemente volto all’Italia, che spero di rivedere presto

“Proprio un anno fa, mi comunicarono che ero stata selezionata per partecipare al programma di mobilità Erasmus e il cuore mi scoppiava di gioia. Mi sentivo così fortunata a poter trascorrere un periodo di studio all’estero, conoscere gente proveniente da tutto il mondo, studiare in una nuova università, praticare una nuova lingua, arricchire la mia cultura.

Il 23 febbraio presi quel tanto atteso aereo per la Spagna, le mie emozioni erano un miscuglio di paura per l’ignoto e spirito di avventura. Le prime due settimane furono un po’ strane, non conoscevo quasi nessuno, cercavo di capire come muovermi, tentavo di praticare al meglio la lingua. Mi guardavo attorno, in giro per la città, e il sole della Spagna mi faceva sentire così grata per tutto quello che avevo tra le mani.

Nel frattempo, il mondo si stava preparando ad affrontare questa grande pandemia e, mentre in Italia era già iniziato il periodo di confinamento,  qui la gente sembrava non rendersi conto di quello che stava succedendo e a volte notavo la diffidenza nello sguardo di alcuni. “La colpa è di tutto questi studenti venuti qui dall’Italia”, dicevano.

Fin quando, il 15 marzo, Sanchez dichiara lo stato di emergenza e l’inizio della quarantena. Molti andarono via, presero d’assalto i traghetti e salirono sugli ultimi aerei disponibili. Io mi soffermai molto a pensare a quello che sarebbe stato giusto fare, fin quando arrivai alla conclusione che sarebbe stato meglio rimanere in casa e spostarsi il meno possibile. Capii che quello era il momento meno opportuno per essere egoista e pensare, invece, alla mia famiglia e a tutte le persone a me care.

La Spagna mi sta dando tanto, nonostante tutto.

Anche qui la gente cerca di farsi forza a vicenda con applausi collettivi, saluti dai balconi e musica a tutto volume. Mi sento a casa anche qui, siamo tutti soli ma lo siamo tutti nello stesso momento. Il mio cuore è costantemente volto all’Italia, che spero di poter rivedere presto.”

Valeria, studentessa di Lingue e culture per l’editoria
Instagram: @_valeriacarbone

Potresti scoprire che la cosa che odi tanto è la stessa che ti manca da morire quando non c’è

“Ciao Univr. Lo so, lo so, è tanto che non ci vediamo, di sicuro queste parole non bastano per compensare la distanza che stiamo avendo da ormai più di un mese.

Stavo sistemando un cassetto in camera mia e ho trovato un block notes, quello che viene dato durante le prime settimane di lezione.

Ti scrivo queste parole perché, fondamentalmente, mi manchi.

Lo so, lo so, te ne ho dette tante, te ne ho dette di tutti i colori, Ma, in fondo, lo sappiamo tutti: è quello che amiamo che ci fa incazzare più di tutto.

E allora a pensare, scrivere e leggere queste parole mi vengono in mente quelle del Dr. Kelso nella puntata 3×14 di Scrubs: “Potresti scoprire che la cosa che odi tanto è la stessa che ti manca da morire quando non c’è”.

Mi mancano le lezioni, le risate con i compagni di corso e, perché no, anche le interazioni con i professori.

Le lezioni online in fondo non sono così male, anzi sono così dannatamente comode che mi sento in colpa a stare bene in un momento così particolare per tutti noi.

Ciao Univr, ci vediamo presto.”

Gabriele, studente di Marketing e comunicazione d’impresa
Instagram: @gabriele_faedo

La piega assurda che ha preso il mio Erasmus mi sta dando la lezione più importante: siamo tutti uguali e vulnerabili

“Sono partita per la Lituania il 28 Gennaio 2020. Vivo a Vilnius più di 70 giorni. Era il 16 Marzo 2020 quando, al fine di poter controllare il contagio da COVID-19, il Governo lituano ha dichiarato la quarantena sull’intero territorio nazionale. A differenza di altri Paesi, siamo ancora liberi di uscire, obbligatoriamente con la mascherina e in gruppi di non più di due persone. Ma alla fine poco cambia, perché là fuori di aperto non c’è niente, se non supermercati e farmacie. I confini nazionali sono chiusi, nessuno può entrare e nessuno può uscire, salvo per chi torna al proprio Paese d’origine.

Ma che fare quando quel Paese è tra i primi al mondo per numero di contagi e decessi? È davvero una buona idea tornare a casa? A questo punto, quel che è giusto o sbagliato è estremamente soggettivo.


Quel 28 Gennaio l’Italia contava solo 2 casi di Coronavirus. Sono partita con un bagaglio pieno di curiosità, di voglia di esplorare, di conoscere persone da tutto il mondo per poter entrare in contatto con culture e tradizioni diverse; volevo divertirmi, sperimentare la vita universitaria all’estero e pensare a nient’altro se non al fatto che stessi vivendo l’esperienza più bella della mia vita.


Le prime settimane non le dimenticherò mai: ho conosciuto tantissime persone delle più svariate nazionalità, e quando loro mi chiedevano “E tu? Da dove vieni?”, io rispondevo con fierezza “Sono italiana”. Ma con il passare dei giorni e l’aumento esponenziale dei casi di contagio del virus in Italia, la fierezza è diventata quasi paura. Paura di essere sentirsi a disagio, paura di un rifiuto, paura di far paura. Quando le persone hanno paura, la parte irrazionale scavalca quella della ragione, e porta generalmente a creare pensieri come “Sei italiano? Sei inevitabilmente portatrice del virus”. E a rincarare la dose c’è che stiamo vivendo una pandemia mondiale ai tempi dei social che, con il loro potere di distorcere la percezione della realtà e del pericolo, influenzano i comportamenti umani.

Nel primo periodo di soggiorno all’estero, tutti andavamo avanti con la nostra vita tra università, studio, cene con gli amici, feste ed eventi, cercando di vivere al meglio. Ma lo sguardo degli italiani non l’aveva nessun altro, perché a casa nostra la vita si stava gradualmente bloccando, quasi già a presagire quello che prima o poi si sarebbe verificato anche qua.


In Lituania ci sentivamo al sicuro, e poi eccolo là, il primo caso di contagio; poi il secondo, il terzo e così via. Oggi il numero dei contagi è di quasi mille persone e noi ci siamo tutti resi conto che non c’è più differenza tra una nazione e un’altra. Il mondo è un unico grande Paese. La preoccupazione nei nostri occhi  adesso appartiene anche a tutti gli altri.


E scrivendo questa breve testimonianza mi sono accorta che, alla fine, nonostante la piega assurda e inimmaginabile che ha preso questa esperienza Erasmus, la lezione più importante l’ho colta lo stesso: la diversità nazionale, culturale o sociale che a volte ci fa sentire distanti, non cambierà mai il fatto che siamo tutti, indistintamente, esseri umani e, in quanto tali, vulnerabili.”

Micaela, studentessa di Lingue e culture per l’editoria
Instagram: @micamarci

Ho scelto Buenos Aires per concludere il mio percorso universitario, non mi sarei mai aspettata di passarci il lockdown

“Un anno esatto fa mi laureavo in Lingue e Letterature Straniere, ma avevo già cominciato la magistrale in Editoria e Giornalismo con promessa di laurea. In questi anni non mi sono mai fermata un attimo: ho viaggiato tanto, scritto per La Gallina Ubriaca, Fuori Aula Network, lavorato come interprete in fiera e alla mostra del cinema di Venezia. Non contenta, di notte indossavo una divisa arancione e mi trasformavo in soccorritrice volontaria della Croce Verde.

Ho seguito instancabilmente tutte le mie passioni, senza ovviamente tralasciare l’università e portando avanti gli esami e il tirocinio.

Forse l’unica cosa che avrei voluto davvero erano due settimane di tranquillità per leggere la pila di libri che si accumulavano sul comodino.
Per unire i due percorsi di studio, ho deciso di completare gli ultimi tre esami a Buenos Aires, dove mi trovo attualmente. Qui posso praticare lo spagnolo, una delle cinque lingue che parlo, e approfondire lo studio del giornalismo: questi sono i motivi principali che mi hanno portata fin qui.

Non mi sarei mai aspettata però di trascorrere qui la quarantena, imposta appena un mese dopo il mio arrivo. Ho deciso di restare qui per non correre il rischio del contagio durante il rimpatrio, ma anche così è dura.

È difficile stare da soli in Argentina, dall’altra parte del mondo e lontani dalla propria famiglia. La situazione cambia ogni giorno e bisogna prendere decisioni altrettanto velocemente, senza avere la garanzia che siano quelle giuste. Purtroppo i momenti di sconforto e incertezza non mancano, per questo cerco di darmi degli orari e di ricostruire una parvenza di routine quotidiana: studiare, scrivere, leggere, chiamare i miei cari, aggiornarmi sulle notizie, fare esercizio fisico, guardare film, migliorare il russo.

Anche restando a casa cerco di mantenermi impegnata.

Mi dispiace solo che quest’esperienza, che avrebbe dovuto essere la degna conclusione del mio percorso universitario, abbia preso invece questa piega. In un modo o nell’altro però sono convinta che mi stia formando anche così.

Adesso almeno ho le mie settimane per leggere tutti i libri che voglio… Peccato che la maggior parte siano rimasti in Italia perché non ci stavano in valigia!”

Lara, studentessa di Editoria e Giornalismo
Instagram: @dead_popcorn_

Non c’è quarantena che tenga, l’emozione e la felicità di quel momento non scemano a causa della distanza

In nome della legge e per i poteri conferitimi dal Magnifico Rettore, la proclamo Dottore in Lettere“.

“Argomento di oggi: le fantomatiche e temute lauree per via telematica. Vi parla una reduce che, malgrado le modalità inaspettate di questa sessione, non ha smesso di sorridere un secondo dalle 18.40 di quella sera ad oggi. Perché non c’è quarantena che tenga, l’emozione e la felicità di quel momento non scemano a causa della distanza.

Poco più di un mese fa finivo di scrivere la tesi e iniziavo a pensare all’organizzazione del grande giorno. Un mese fa chiudeva l’Università di Verona e si cominciava a fare i conti con i primi provvedimenti contro l’emergenza del Coronavirus. Certamente le aspettative erano ben diverse. “Fa passare la poesia laurearsi in camera da letto”, mi è stato detto. Sarà stato il fatto che la mia tesi analizza una raccolta di un poeta, Fabio Pusterla, ma un pizzico di poesia (contemporanea) io l’ho visto anche in questa circostanza.

E così le pareti di camera mia – e la mia famiglia in un angolo – sono state testimoni della discussione, di un’ansiosa attesa, della proclamazione, della mia voce rotta che ringraziava per quella menzione della lode che mi ha riempito il petto di commozione.

Non avevo il completo dei miei sogni né la tesi rilegata, ma va bene così. I festeggiamenti arriveranno ancora più entusiasti una volta che questo duro periodo sarà passato. Quella sera, con in testa l’alloro “rubato” ai vicini, ho fatto festa tra telefonate e videochiamate di parenti e amici. Felice e raggiante, nonostante tutto. Ecco com’è stata la mia laurea ai tempi del Covid-19.

Allora in bocca al lupo a tutti i laureandi e congratulazioni ai neolaureati. Ad maiora, colleghi!”

Marta, neolaureata in Lettere all’Università di Verona
Instagram: @marta.bertolini

Pallavolista per caso laureato da casa: distanti oggi per riabbracciarci domani

“Sono un ex pallavolista e mi sono laureato all’Università di Verona online, come sta accadendo spesso in questi tempi di Coronavirus. La mia tesi, intitolata “Pallavolista per caso. elementi da un’indagine sul sistema sportivo italiano”, ha coinvolto personalità dal mondo dello sport, inclusi tifosi, dirigenti, giocatori, campioni olimpici, giornalisti ed esperti di diritto.

Laurearsi da casa è possibile. Il modo è il più impensabile, ma la gioia per questo importante momento esplode ugualmente.

È vero, accade tutto lontano da amici e parenti, fisicamente distanti rispetto alla Commissione, ma presto ci sarà occasione di festeggiare questo risultato e riabbracciarci.

Ora è il momento di rispettare le indicazioni che ci sono state date e di restare a casa.

Devo ringraziare tutto il sistema universitario di Verona per aver permesso a noi studenti e studentesse di laurearci in questo delicato momento.

Distanti oggi, per riabbracciarci domani.

Uniti ce la faremo!”

Federico, laureato in Scienze dei Servizi Giuridici per l’Amministrazione

 Instagram: @fedecentomo11

Abbiamo accettato la sfida e applicato le nostre conoscenze di marketing a un problema reale

“Durante il corso di Marketing strategico ci è stata data l’opportunità di partecipare ad una problem solving competition in collaborazione con Gardaland Hotels. I manager hanno proposto un’interessante sfida per noi studentesse e studenti, ossia presentare una soluzione efficace per aumentare la brand awareness dell’azienda.

A tal fine io, Beatrice, Marta e Alberto abbiamo iniziato ad elaborare un piano di marketing che fosse in grado di rispondere al problema, sviluppandosi tra fase analitica, strategica, operativa e di controllo.

Alla luce dei dati emersi dalla fase di analisi e dopo aver selezionato le “Millennials Families” come target di mercato da raggiungere, abbiamo deciso di proporre una soluzione che potesse migliorare l’esperienza di servizio attualmente offerta da Gardaland Hotels, nonché utilizzare diversi strumenti di comunicazione, sia innovativi che tradizionali, al fine di aumentare la notorietà del brand.

Grazie a questa esperienza siamo potuti entrare in contatto diretto con una realtà aziendale strutturata e abbiamo potuto applicare le conoscenze di marketing strategico ad un problema reale al quale l’azienda era esposta, elaborando concretamente un piano di marketing.

Inoltre, dovendo esporre il progetto davanti a manager, docenti e numerosi compagni di corso, abbiamo sicuramente affinato le nostre capacità di public speaking!”

Enrico, studente di Management e strategia d’impresa

Se il Paradiso è così, mi trasferisco a Sydney per sempre

“8 luglio 2019. È nato tutto per caso, quasi per gioco, e magari con quel pizzico di incoscienza che solo la giovinezza dei 24 anni può regalarti. Sono al Consiglio europeo di Bruxelles per iniziare il mio tirocinio come giornalista europeo presso le istituzioni e il mio tutor aziendale mi introduce nel magico mondo della comunicazione televisiva, mettendomi in mano una videocamera per filmare il doorstep di un ministro italiano.

«Sei un pesce, ti butto in acqua: fammi vedere se sai nuotare!».

Le ultime parole famose, prima di essere accerchiato da colleghi di Rai, Mediaset e ANSA. Passa il ministro, il REC è attivato, ma la vera registrazione è quella che sto vivendo dentro di me. Da quel momento scatta un amore folle per quella che sarebbe diventata la compagna più bella da voler conquistare: la videocamera, una di quelle che ti cambia la vita e te la fa vivere “un quarto di pixel alla volta”.

Quel tirocinio fu tutto per me: il videomaking mi trasformò in un video-giornalista, e trasformò se stesso, come direbbe il buon Armani, in quella “eleganza non da notare, ma da ricordare”. I microfoni, il treppiede, lo stabilizzatore divennero l’emblema di una crescita costante tanto nel campo giornalistico quanto in quello multimediale, ma soprattutto rappresentarono la motivazione principale verso il mio balzo decisivo: un’esperienza in una filmmaking company. Ecco: la videocamera me la sono ricordata eccome!

16 novembre 2019. Con gli occhi socchiusi, dopo due giorni di viaggio in aereo passando per Londra e Pechino, e con 10 ore di jet lag tra Europa e Oceania, vedo “l’eternità del mare mischiato col sole”. Giuro che non provo a copiare Arthurt Rimbaud per immaginarmela davanti agli occhi, così come non attingo da Herb Caen quando provo a descriverla, ma devo ammettere con tutto il mio cuore che quando la vidi pensai: “Se il Paradiso è così, mi trasferisco a Sydney per sempre”.

Fu tanto shakespeariano il mio incontro con la città dei canguri e dei koala: la perfetta “alchimia nella combinazione tra emozioni ed immagini”, quasi come un fotogramma in una pellicola di Francis Coppola. Questa, però, era la mia pellicola più personale, quella del mio più introspettivo editing. Arrivai subito a capire l’importanza del “guaio” in cui mi ero cacciato: stavo imparando a riprendere e montare da tizi che avevano lavorato con Disney e Paramount, tanto per citarne un paio, e non si limitavano al banale cavalletto con microfono per le interviste, bensì montavano dei veri e propri palcoscenici cinematografici. Fu lì che pensai: “Come è possibile che io abbia voluto fare il giornalista per tutta la mia vita e ora mi ritrovo a voler diventare anche un film-maker?”.

Mio padre mi ha sempre detto che nella vita bisogna fare ciò che si è capaci di fare, e allora guardavo gli altri per “rubare il lavoro”, registravo seguendo tutti i consigli necessari, caricavo l’attrezzatura per essere utile al gruppo, piangevo tra me e me per sorridere agli altri. E alla fine, guess what? Aveva ragione mio padre: presi la fotocamera Sony Alpha 7 di Lenard, il direttore della film-making company dove stavo facendo pratica, e decisi di fare un mini-video per la pagina “solo italiani estero” per il mio tutor aziendale, che nel frattempo aspettava progressi da Bruxelles, e per me stesso, per migliorarmi e per mettermi alla prova.

3 gennaio 2020. Il mio tutor aziendale: «Ho guardato il video australiano: beh, eccezionale, tecnicamente è fatto molto bene, complimenti davvero! Bravissimo!».

13 gennaio 2020: Ho finalmente comprato l’attrezzatura e la mia fotocamera. Indovinate? Una Sony Alpha 7.

Questa parte della mia vita, l’Australia, questa piccola parte della mia vita si può chiamare Felicità”. O meglio, “video-happiness making”, mate!”

Michele, studente di Editoria e Giornalismo

Instagram: @mr.melemayo

Proudly powered by WordPress | Theme: Baskerville 2 by Anders Noren.

Up ↑