Prime proclamazioni di laurea del corso di Data Science Univr: i racconti di Marta e Jordy

Marta e Jordy sono tra i primi laureati del corso di Laurea Magistrale in Data Science dell’Università di Verona. Sul blog di People of Univr, raccontano la loro esperienza universitaria in Univr e i progetti futuri.

Marta: 

Perché Data Science a Verona?

Inizio nel rispondere alla domanda che più frequentemente mi è stata posta: perché hai scelto la magistrale in Data Science proprio a Verona? I fattori che maggiormente hanno influenzato la decisione sono stati due: 50% lezioni in presenza e possibilità di fare un’esperienza all’estero extra UE. Ad oggi posso aggiungere molte altre motivazioni, ma partiamo dall’origine…

La scelta, una scommessa.

I miei primi tre anni di università li ho passati a Milano laureandomi in Informatica per la comunicazione digitale, Università degli studi di Milano. È stata una esperienza bellissima, che mi ha fatto crescere molto dal punto di vista formativo e umano, avendo anche abitato in appartamento con altri studenti. Questo ha alzato l’asticella nella decisione della magistrale che è stata influenzata dal periodo storico del Covid-19. Mi sono laureata proprio in quell’anno, passando i sei mesi di tesi triennale forzatamente chiusa a casa. La fatica è stata tanta (penso che anche te possa condividere) soprattutto essendo abituata a studiare spesso in compagnia con i compagni. Le mie opzioni erano restare a Milano segregata in appartamento con lezioni 100% online oppure optare per Verona che offriva 50% di lezioni in presenza e 50% online. Per me frequentare i corsi è sempre stato molto importante perché stando attenta e prendendo appunti si è già a metà dello studio, e avendo io molte altre passioni, sono sempre riuscita a ritagliarmi il tempo necessario. La decisione non è stata semplice anche perché essendo il primo anno di corso magistrale di Data Science non potevo chiedere a vecchi studenti la loro esperienza. È stata una bella scommessa.

Pochi ma buoni

Il primo anno è stato molto particolare, tanto ha influenzato la situazione del Covid. Ho cercato sempre di frequentare le lezioni anche se in classe eravamo solo in 4-5. Ci sono pro e contro di essere in pochi, sicuramente si viene seguiti molto bene e c’è sempre spazio per domande o approfondimenti.Essendo un nuovo corso fin dall’inizio c’è stata molta collaborazione tra noi studenti e i professori, soprattutto con il coordinatore Prof. Dai Pra, che è stato molto attento ad ascoltare i nostri pareri sui corsi, i dubbi e i consigli.

American experience

Uno tra gli aspetti positivi e indimenticabili che ho passato in questi due anni è stata l’esperienza in Louisiana, più precisamente alla Southeastern Louisiana University, grazie al World Wide Study Program. Sì, ho passato 5 mesi in un college americano, dormito negli studentati del college, mangiando in mensa con cheerleaders e giocatori di football. C’è pure stato l’uragano 14 giorni dopo il mio arrivo, ma posso affermare che è stata una di quelle esperienze che ti formano tanto sia dal punto di vista scolastico che umano. Un diverso modo di insegnare, un diverso modo di apprendere, un diverso modo di studiare, una diversa cultura. Che dire ho conosciuto persone fantastiche da tutte le parti del mondo (ero l’unica Italiana)!

Tesi e futuro

Tornata in gennaio, molto carica, ho dato l’ultimo esame per poi prepararmi ad iniziare la tesi con la Prof. Bazzani, la quale mi ha fatto appassionare al digital marketing. Qui inizia il mio spostamento di rotta verso il marketing. Durante questi mesi di magistrale, a causa di imprevisti del progetto di tesi, ho iniziato a collaborare per Legend Kombucha dove tuttora lavoro, un ambiente che mi ha permesso di iniziare ad applicare tutto ciò che ho imparato in questi 5 anni di università. Ritornando alla tesi, anche se è stato un lungo periodo con alti e bassi, sono molto soddisfatta perché mi ha permesso di poter lavorare in un gruppo di ricerca e concludere un vero progetto per un’azienda (Masi Agricola) riuscendo a dare il mio contributo, che soddisfazione! Lavorare in questo ambito mi è piaciuto molto e proprio per questo ho deciso di candidarmi per un progetto di ricerca in università.

Conclusione

Sono stati due anni molto particolari: dalle lezioni online allo scoprire i volti dei compagni dopo mesi senza mascherine, dalle aule di Borgo Roma alle lezioni in America, dall’essere studente ad iniziare a lavorare… Sono veramente grata di tutte le esperienze che ho fatto! Devo ringraziare il coordinatore del corso Prof. Dai Pra, Roberta Padovani per avermi sempre aiutato con la parte burocratica soprattutto durante i mesi all’estero, Maddalena Pigozzi referente del programma World Wide Study, Dott.ssa Claudia Bazzani per avermi trasmesso la sua passione e aver creduto in me. Grazie a tutti i compagni di corso per aver scommesso con me su questo nuovo corso e in bocca al lupo anche a tutti gli studenti! 

Marta Bonioli, laureata in Data Science @martabonioli

Jordy:

Se mi avessero chiesto cos’è la Data Science all’inizio della mia laurea triennale in Matematica Applicata, non avrei saputo rispondere. Quando ho scoperto dell’esistenza di questo nuovissimo programma, la laurea magistrale in Data Science, mi sono subito informato a riguardo. Un programma innovativo che racchiudeva tutto ciò che desideravo approfondire: applicazioni dell’analisi di dati mediante strumenti informatici e statistici in vari campi, tra cui economia, business e sociologia. Nei tre anni a Matematica, sono stato catturato dei metodi e delle applicazioni mentre la teoria è diventata una solida base, un contorno fondamentale per il mio percorso. Il programma di Data Science mi fu presentato dal mio supervisore di tesi triennale, nonché coordinatore della nuova magistrale (prof. Paolo Dai Pra). In un misto tra fiducia nel professore, voglia di affacciarsi ad una nuova realtà ed entusiasmo riguardo i temi del corso di laurea, decisi di fare il grande passo e scegliere Data Science. Ciò voleva dire scegliere la strada meno battuta: lasciarsi dietro molti amici, professori e corsi per affacciarsi ad una nuova realtà. Col senno di poi, di nuovi amici ne ho trovati, e lo stesso vale per professori e corsi che hanno lasciato un segno indelebile nel mio percorso accademico.

Descriverei il programma in poche parole: innovativo, multiforme ed internazionale. 

Innovativo perché tocca una scienza che è in continua espansione ed è un tema caldo negli ultimi anni sia nel mondo lavorativo, sia in quello accademico.

Multiforme perché ho potuto scegliere fra vari percorsi (curriculum) nei quali soltanto tre esami erano obbligatori mentre gli altri andavano “pescati” dai diversi ambiti di approfondimento e applicazione fra cui informatica, economia e sociologia.

Internazionale perché favorisce gli scambi e mi ha permesso di aprirmi a nuovi orizzonti all’estero.

A coronare l’esperienza di questa magistrale, vi è infatti il secondo anno, che ho speso all’Università di Helsinki grazie al programma Erasmus. In Finlandia ho avuto modo di approfondire alcuni argomenti avanzati relativi alla Data Science tra cui Deep Learning e High Performance Computing ed ho concluso il mio percorso di tesi magistrale proprio con un professore dell’università di Helsinki. La nuova magistrale in Data Science mi ha lasciato molte soddisfazioni ed è stata senz’altro un’esperienza positiva.

Jordy Dal Corso, laureato in Data Science @elmarajon

Marco, primo in Italia nel test di Medicina, è una matricola Univr

Marco, neo-iscritto al corso di laurea in Medicina e chirurgia dell’Università di Verona ha superato il test d’ingresso con il massimo dei punti risultando essere il primo in Italia.

Nel contributo video registrato per peopleofunivr Marco ci racconta come si è preparato per il test, che metodi di studio ha usato e su quali argomenti si è maggiormente concentrato.

In bocca al lupo per il percorso di studi in Ateneo di Verona…

Marco Zenari, Studente del corso di laurea in Medicina e chirurgia @marco_zenari_

The University of Verona opens a window to acquire diverse knowledge in Computer Science. The programmes are not only about obtaining an academic degree, but it offers the opportunity to interact with different people and cultures

I have joined the University of Verona in 2020 as a research fellow for a specific project: Machine learning methods for biofeedback technology customization – Environmental and wearable intelligent biofeedback technologies for postural correction, funded by the European Union. Later I become a PhD student and member of the research group: Krearti – Knowledge Representation and Applied Artificial Intelligence at the University of Verona, directed by Professor Matteo Cristani. In my PhD thesis I am working on the idea of business process compliance with the aim of minimizing the carbon footprint. The concept is based on non-monotonic reasoning/logic, i.e., prioritization of rules. By providing these rules, business processes are designed, verified and validated.

The University of Verona opens a window to acquire diverse knowledge in Computer Science. The programmes are not only about obtaining an academic degree, but it offers the opportunity to interact with different people and cultures from all around the world. Nevertheless, with the experience you gain during your studies, you can perfectly shape your future career plans. The time I spend at the University of Verona is so precious and full of beautiful memories. Even though there are many offices, scholars and students at the University that I have to thank, I would like to mention only some of them.

My first recognition and thanks go to my mentor, Professor Matteo Cristani, for his guidance and unwavering support, and Dr. Andres F. Maldonado de’Gàbriel (International Students Unions) for his quick response and collaboration. 

Finally, I would like to say a few words about Verona, a city gifted by nature and historical with a favorable environment for students, but I would also like to mention some points about the accommodation service that need to be addressed for the future. During my stay it was difficult to find accommodation for many reasons, so in the future the University should collaborate with different offices to solve this problem.

Tewabe Chekole Workneh, from Ethiopia, PhD student at the Department of Computer Science, University of Verona (Italy)

Una vita avventurosa è meglio di una vita noiosa (a wise doctor told you once…)

Se hai una meta goditi il viaggio più che puoi. Se la meta geografica coincide con un obiettivo che viene dal passato, senti che dilazionare il piacere ne accrescerà il godimento. Poco importa che secondo i criteri correnti sono cose da ragazzi, ti sei sempre mossa fuori dagli schemi. Quello che davvero conta è poterti dedicare a un lavoro bellissimo, la pubblicazione di un manoscritto inedito corteggiato da quasi vent’anni, una passione dell’intelletto che ti viene riproposta.

Per andare incontro a tutto questo unisci i due punti geografici sulla carta, prima con un aereo, ma gli orari sono improbabili (una notte in bianco è un’idea insopportabile) e poi con il treno, o meglio con i binari del treno e a quel punto ti rendi conto che l’Europa unita è un puzzle ferroviario. Il sito più quotato promette 12 ore di viaggio diurno con 2 cambi, uscendo di casa come se andassi al lavoro (questa parentesi la lascio al lettore, visto che, in epoca postpandemica le abitudini dei lavoratori sono cambiate, visto che il lavoro intellettuale non ha mai avuto orari fissi). E infatti esci di casa verso le sette e mezza con borsa leggera a tracolla e ti concedi perfino un caffè alla stazione raggiunta a piedi.

What are you doing in Zurich?!? Hai dovuto cambiare tutto il percorso per via di un problema tecnico al primo treno, la rete elettrica dei vari paesi è diversa e quindi i treni che dovrebbero unirli in realtà tornano indietro costringendo i passeggeri in entrambi le direzioni a passare da un treno all’altro. La Germania non funziona, è un paese in ginocchio (la tua è una voce fuori dal coro, già…) ritardi su ritardi, gente avvilita a arrabbiata. Invece in Svizzera via le mascherine, sorrisi aperti, vagoni ampi e paesaggi mozzafiato tra laghi, montagne, cieli blu, ghiacciai… Le idee si rinfrescano e lo spirito, agitatosi in Germania, si acquieta e riparte con slancio. Lungo tutto il percorso emerge l’elasticità del personale ferroviario nel cambiare i biglietti con messaggi scritti ai colleghi degli altri paesi, e a te la spiegazione: We have to make Europe united in this way!

A Chiasso, dico Chiasso, guardi dal finestrino verso il binario e un operaio con gilet orange ti fa l’occhiolino… Ecco il benvenuto in Italia! Il treno ti porta fino a Milano dove ti attende un gelato e poi TRENORD, che dire… una circumvesuviana padana… La tua meta, si capisce anche col buio, è di un’eleganza straordinaria, il tassista un lord, la stanza un appartamento e le lenzuola candide. Al mattino quando chiedi al primo passante dove andare a fare colazione ti indica un bar che è uno scrigno di dolci…

Happy beginning: la firma è un’epifania e l’incontro con la comunità scientifica una rivelazione.

Nel mese di maggio ho iniziato un nuovo progetto sui Diari inediti di Giuseppe Antonio Borgese con un assegno di ricerca del Center for European Studies del Dipartimento di Culture e Civiltà, Università di Verona.

Ilaria De Seta, assegnista di Storia contemporanea, Dipartimento di Culture e Civiltà

Il mio Expo Dubai: un’esperienza indimenticabile che mi ha permesso di ampliare i miei orizzonti, conoscere nuove culture e farmi crescere umanamente e professionalmente

Quando son venuto a conoscenza della possibilità fornita dall’Università di Verona di poter essere un ambasciatore dell’Italia nel mondo, in un contesto internazionale come Expo 2020 Dubai, ho deciso che questa sarebbe stata l’esperienza ideale con cui concludere il mio corso di studi, una rivincita personale dopo la negata possibilità di svolgere un semestre di studio all’estero a causa della pandemia globale. 

Nel candidarmi non ero per nulla certo di poter essere selezionato, vista la competizione e l’importanza del progetto. Tuttavia, avevo già deciso che qualora fossi stato selezionato, avrei sfruttato questa opportunità anche per scrivere un elaborato di tesi magistrale che si fosse basato su un’esperienza concreta: questo era  ilmio desiderio sin dall’inizio del mio percorso di studi specialistici. 

Visitando il sito di Italy Expo 2020 numerose volte, cresceva in me la convinzione che Padiglione Italia sarebbe stato il posto giusto per esprimere le proprie capacità linguistiche e relazionali, un’occasione unica per conoscere e osservare in che modo il “Sistema Italia” si propone all’estero, attraverso quali strumenti sviluppa le relazioni commerciali, diplomatiche, culturali. Questo sogno è diventato realtà quando ho saputo di essere stato selezionato tra gli oltre 3.000 studenti candidati. Vedere il mio nome tra quei 60 studenti vincitori onestamente è stata una grande soddisfazione. La mia avventura come volontario è iniziata ufficialmente il 29 dicembre 2021 con l’attivazione di un percorso di preparazione caratterizzato da incontri online in cui ho conosciuto gli altri volontari e mi sono state presentate le principali figure operanti all’interno del commissariato italiano per la partecipazione italiana a Dubai. 

I 3 mesi che ho passato come volontario di Padiglione Italia a Dubai sono letteralmente volati, in quanto ogni giornata è stata piena di emozioni. Attraverso questa esperienza ho potuto conoscere un gruppo di gente fantastica, i miei colleghi volontari, studenti provenienti da tutta Italia, i quali mi hanno insegnato molto e con i quali si è formato un bellissimo rapporto che ovviamente continuerà al termine di Expo. Posso dire che grazie a quest’ottimo legame i volontari di Padiglione Italia hanno svolto un ottimo lavoro, presentando una brillante immagine del futuro del Paese. 

Tornando a me, attraverso questo stage ho potuto perfezionare le mie capacità linguistiche, interpersonali e ho avuto l’opportunità di approcciarmi ad altre discipline e acquisire nuove competenze potendo osservare le diverse modalità di promozione del “Sistema Italia” ad Expo. Essere volontario di Padiglione Italia mi ha permesso di conoscere persone interessanti, esperti comunicatori e importanti figure professionali che hanno voluto condividere la loro storia personale, diventando delle fonti di ispirazione. 

Infine, posso dire con certezza che questa è stata un’esperienza indimenticabile che mi ha permesso di ampliare i miei orizzonti, conoscere nuove culture e farmi crescere umanamente e professionalmente.

Andrea, studente di Lingue per la Comunicazione Turistica e Commerciale – Relazioni Commerciali Internazionali
Instagram:
@andrea_ponsini

Ricordi del mio semestre a San Pietroburgo

Questi giorni così drammatici della nostra contingenza mi portano a pensare che, solo tre anni fa, mi trovavo davanti alla stessa fermata della metro dove oggi migliaia di russi stanno manifestando contro la guerra in Ucraina. Nel 2019, infatti, sono partita per San Pietroburgo, tramite il progetto Worldwide Study dell’Università di Verona. 

Ai telegiornali e sui social, continuo a intravedere scorci della città in cui moltissime persone si trovano in coda agli sportelli bancari e ai negozi che si stanno via via dissolvendo. Sono gli stessi negozi in cui io, le mie amiche e amici andavamo spensierati alla ricerca di sconti durante i lunghi pomeriggi di inverno. Soltanto tre anni fa, a San Pietroburgo, la Nevskij era popolata da stranieri, turisti, ma anche studenti internazionali come noi. Noi che abbiamo scelto questa meta nonostante i timori e i pregiudizi dei nostri conoscenti, che già allora non erano troppo entusiasti che andassimo a vivere per cinque mesi in un paese così “particolare”. “Davvero andrai in Russia? Stai attenta…” per citarne una. Nonostante questo, noi abbiamo scelto proprio questa destinazione così inusuale, per vari motivi: c’era chi voleva migliorare la lingua russa, chi voleva studiare in una delle più prestigiose università della Russia, chi era semplicemente attratto da questo paese dalla cultura così affascinante. Ricordo ancora il momento in cui sono arrivata all’aeroporto, dove mi aspettava la mia amica russa Anna, e il tragitto in taxi che mi avrebbe portata nella mia prima casa, un appartamento in una delle vie più note della metropoli. La neve sulle strade e le luci delle insegne “Ресторан” (ristorante) mi avevano già incantata dal finestrino oscurato del taxi. Ricordo molto bene anche l’ultima notte a San 

Pietroburgo, in cui mi aggiravo senza meta sotto quel cielo blu chiaro ammirando la Neva, l’Ermitage e la statua fiera di Pietro il Grande, con il vento tra i capelli e gli occhi lucidi, perché i miei piedi volevano rimanere sui marciapiedi su cui Rakol’nikov, Nureyev e Čajkovskij avevano passeggiato anni e anni prima. 

I ricordi di questa esperienza indimenticabile sono tanti, non solo dei luoghi che ho visitato e dell’immensità culturale che questa città mi ha trasmesso, ma anche delle persone che ho incontrato. Oltre alle amicizie nate in quel periodo con giovani russi e non solo, ci sono tanti uomini e tante donne che sono rimasti impressi nella mia mente e nelle note del mio iPhone, in modo che con il passare degli anni io non mi dimentichi mai di loro. Era gente comune, musicisti (bravissimi) di strada, clochards che sedevano immobili sui marciapiedi nel gelido inverno, con accanto a sé un piccolo bicchiere con dentro qualche rublo, donne e uomini che osservavo durante i tragitti in metropolitana. Erano personaggi che, appena sentivano me e il mio amico Adriano parlare in italiano, ci guardavano con ammirazione e che, più di una volta, si sono offerti di aiutarci a ordinare o semplicemente si sono fermati a conversare con noi. Ancora, ricordo quella volta in cui la nostra professoressa di russo, Svetlana, chiese a noi studenti internazionali di aiutarla durante le sue lezioni di conversazione inglese rivolte a dei ragazzini russi. Ad un certo punto della lezione, Svetlana chiese loro di cantare per noi la celebre canzone sovietica Katjuša: rimasi ancora una volta con gli occhi lucidi di fronte a quei giovani così educati, composti e intonati che cantavano per noi una canzone così potente. 

Sulla mia scrivania su cui sto scrivendo in questo momento, ci sono due matrëške, un libretto illustrato con delle poesie di Puškin, una versione in russo del libro “La valigia” dello scrittore Sergej Dovlatov e tanto altro. Questo mio breve racconto, oggi, riflette senza dubbio un sentimento di nostalgia per queste memorie russe, ma allo stesso tempo vuole trasmettere un messaggio positivo nei confronti della Russia, in quanto popolo russo e cultura russa, di fronte agli episodi di russofobia che stanno dilagando sempre di più. Spero che la parola pace, (мир in russo, che ha come altro significato quello di “mondo”) subentri il prima possibile al suo contrario e che inizi una nuova pagina della storia.

Irene, laureata in Lingue per la comunicazione turistica e commerciale, attualmente studentessa “Percorso formativo 24 cfr”

Instagram: @irinaannaloro96

Comunicare sostenibile, Univr for SDGs

Come definirei il XXI secolo? Insostenibile, senz’ombra di dubbio. Ma anche il momento giusto per agire nella direzione di un cambiamento concreto. 

Ho sempre visto la comunicazione come un elemento cruciale nelle nostre vite: ogni giorno, più o meno volontariamente, comunichiamo, riceviamo messaggi, interpretiamo ciò che ci circonda. Forse è un po’ questo il motivo che mi ha spinta a scegliere il mio corso di laurea: credo fermamente nelle potenzialità della comunicazione, strumento che, se utilizzato nel modo giusto, può determinare risposte significativamente positive da parte di chi riceve i nostri contenuti. Spesso, tuttavia, quando si pensa al tema comunicativo lo si connette implicitamente a tutta quella retorica legata al marketing “di facciata”, al greenwashing, alle tecniche finalizzate a persuadere il consumatore a comperare cose di cui non ha bisogno, sostenendo, in questo senso, un lifestyle all’insegna del consumismo. 

Mi sono sempre piaciute le sfide, e credo che la mia sfida sia proprio quella di dimostrare che la comunicazione può essere molto più di questo. Un paio di mesi fa ho avuto la fortuna di conoscere Francesco Molfese, studente di Filosofia e presidente dell’Associazione Univr for SDGs. Tale realtà mi ha, chiaramente, fortemente incuriosita, anche se doveva, di fatto, ancora nascere. Fu così che, nel giro di pochissimo tempo, sono diventata il braccio destro di Francesco: siamo sulla stessa linea d’onda, ed è facile per noi collaborare. Abbiamo lavorato intensamente per l’associazione, che sta, giorno dopo giorno, crescendo sempre di più, anche e soprattutto grazie al supporto che la RUS (Rete delle Università sostenibili) dell’Università di Verona ci sta offrendo. Attualmente siamo una decina di associati e abbiamo dei ruoli, necessari dal punto di vista prettamente organizzativo, perché questo ci consente di gestire meglio i compiti da ripartire tra noi: io, nello specifico, sono vicepresidente e PM Coordinator; dunque, mi occupo di supportare Francesco nelle varie attività nelle quali l’associazione è implicata e sovrintendo a diversi progetti, coordinando le nostre risorse. Sì, tra le varie cose – e le mie colleghe e colleghi di corso potranno confermarlo – sono a dir poco una maniaca dell’organizzazione. Questo per dire che, in Univr for SDGs, ognuno riveste una posizione legata alle proprie passioni, un talento o un’attività nella quale si vuole cimentare. Per noi è importante metterci in gioco per sensibilizzare sui temi dell’Agenda 2030 gli studenti e le studentesse, e lo facciamo divertendoci: al di là dei ruoli, collaboriamo tutti assieme sotto ogni punto di vista ed è dal nostro piccolo, dal luogo dove passiamo le nostre giornate, ovverosia l’Università, che pensiamo di dover partire. A parer mio la forza del nostro gruppo sta proprio nel rapporto di amicizia che si sta creando tra noi nonché nella fermezza con cui crediamo nella sostenibilità. Penso che la comunicazione sia essenziale per scatenare un cambiamento: un cambiamento per il pianeta, per la società, per noi stessi.

Elena, studentessa di Scienze della Comunicazione
Instagram: @elenapettenon | Instagram “Univr for SDGs”: @univrforsdgs

Il mio Expo Dubai: un incontro con mondi nuovi e diversi

“Da pochi giorni ho concluso la mia esperienza di stage ad Expo 2020 Dubai. Sono venuta a conoscenza del progetto grazie all’Università di Verona, che ha pubblicato il bando ad inizio 2021 e ho deciso di candidarmi e tentare la selezione., che richiedeva in particolare alte competenze linguistiche, preferibilmente precedenti esperienze all’estero ed una lettera motivazionale. 

Le ragioni principali che mi hanno spinto a candidarmi sono state la mia costante necessità di approcciarmi a mondi nuovi e diversi – ragione per cui in fondo ho scelto il percorso di studi con focus sulle relazioni internazionali – il desiderio di rappresentare il mio Paese e promuoverne la ripresa – in particolare dopo averlo visto lacerato dalla piaga Covid negli ultimi anni – e la necessità personale di imparare, crescere e sperimentare in un contesto mondiale. 

Le candidature si sono concluse con più di 8500 ragazzi e ad aprile 2021 sono uscite le graduatorie, dove ho scoperto di essere stata selezionata come ambasciatrice digitale insieme ad altri 59 studenti provenienti da tutta Italia. La formazione inizialmente è avvenuta in DAD per poi seguire con gli ultimi 15 giorni in presenza a Dubai, dal 1° ottobre 2021 è poi iniziata Expo e da lì anche il lavoro vero e proprio sul campo. 

I ruoli principali che ho svolto sono stati: la preparazione dello storytelling del padiglione, la gestione del percorso espositivo con tour guidati per ospiti nazionali ed internazionali, attività di public speaking e set on stage, l’organizzazione e partecipazione ad eventi e la collaborazione con diverse funzioni del commissariato tra cui la funzione ‘institutional’ che si occupa della gestione degli eventi internazionali e del contatto con tutte le istituzioni italiane e non aderenti ad Expo e la funzione ‘business’ che riguarda la gestione degli sponsor, partner e stakeholder del padiglione Italia. 

Questa esperienza mi ha arricchito sia dal punto di vista personale che professionale: mi ha permesso di conoscere e mettere in pratica le lingue che ho studiato, relazionarmi con nuove persone e culture oltre che venire a contatto con il grande mondo degli scambi internazionali.  Ho avuto modo di capire le logiche di collaborazione economica, sociale e politica, apprendere protocolli e procedure internazionali, aver voce in meeting internazionali e soprattutto promuovere il mio Paese all’estero. 

Nonostante sia innegabile il fatto che l’esperienza sia stata totalizzante sia dal punto di vista fisico che mentale, raccomando a qualsiasi studente non solo di partecipare a quanti più progetti Erasmus possibili ma anche di tentare le traineeships all’estero, poiché venire in contatto con un mondo del lavoro diverso da quello italiano aiuta a sviluppare un maggior pensiero critico, imparare come mediare ed essere tolleranti, capire quali siano le vere competenze da acquisire e soprattutto capire come fare la differenza sia nella propria vita personale che nella futura carriera lavorativa. “

Elisa, studentessa di Lingue per la Comunicazione Turistica e Commerciale 
Instagram:@e.isonni 

Il giro del mondo a piedi continua… in Ecuador

“Qua fa freddissimo, la notte soprattutto, si gela”

“Cavolo… Ma… Freddo, freddo quanto? Che temperatura?”

“Eh, freddo forte amico, la notte arriva a 15 gradi!”

“…”

L’Ecuador è una strana terra. È uno stato ricco con gente povera che si diverte ballando musica triste. Il paese siede a cavalcioni sulla linea dell’equatore ma anche qui c’è diritto al freddo, quindi per i suoi abitanti è lecito battere le brocche con dieci gradi. Ah, un’altra cosa: a nessuno piace camminare. Quando chiedo quanto ci voglia per arrivare al mercato, mi dicono che è lontano, lontanissimo, devi prendere un mototaxi. Ma lontano, quanto lontano? Uuuh a piedi fino a la saranno cinque, anche dieci minuti! 

Sorrido, che altro dovrei fare? Confermo che andrò a piedi e mi diverto a vedere le loro facce stupite quando spiego perché non prendo mezzi: sto facendo il giro del mondo a piedi.

Mi chiamo Nico ed un anno fa sono partito per realizzare il mio sogno. Perchè proprio a piedi? Quando si viaggia si cerca qualcosa che normalmente non riusciamo ad afferrare, un elemento che sfugge alla quotidianità e che per questo diventa tanto prezioso quando lo troviamo. Lentezza, se penso a qualcosa che manca nella vita di tutti i giorni è: lentezza. É la chiave per accedere ad un contatto speciale con luoghi e persone, è la qualità che permette di costruire storie ed esperienze che un giorno si chiameranno ricordi. Camminare è il modo più naturale per spostarsi da un luogo all’altro, si avanza ascoltando il ritmo del corpo, seguendo quello del giorno: perchè non avviarsi così, alla scoperta del nostro pianeta?

Il 9 Agosto del 2020 ho chiuso la porta di casa dietro di me e cominciato a camminare: nei primi caldi ed assolati giorni in Italia ho attraversato Pianura Padana ed Appennino Tosco-Emiliano, all’altezza del passo del Lagastrello. Mi sono poi diretto lungo la costa ligure fino a giungere al confine francese, passando Ventimiglia e proseguendo lungo la riserva della Camargue ed il Canal du Midi, un magnifico canale fluviale che taglia la Francia collegando Mediterraneo ed Oceano Atlantico.  A seguire, i Pirenei, i 30km più duri di tutta l’Europa. Arrivato in Spagna, ho percorso il Cammino di Santiago e la Via de la Plata fino a Palos de la Frontera, città dalla quale mi sono imbarcato per le Canarie alla ricerca di un passaggio in barca per le Americhe

Dopo un mese di ricerche, sono riuscito a trovare un catamarano di 12 metri ed ho attraversato l’Atlantico in un lunghissimo mese di alienante distacco dal mondo umano. L’equipaggio si è sciolto all’arrivo, proseguo da solo alla volta di Panama, dove collego gli Oceani Atlantico e Pacifico camminando lungo l’istmo. In questo modo, è come se il cammino interrotto in Spagna fosse ripartito, senza interruzioni, dall’altro lato del mondo

Giungo a Quito verso la fine di marzo 2021, sono più di sei mesi che ho lasciato casa, a Vicenza. L’arrivo alla capitale ecuatoriana è il migliore che potessi sperare perché sono ospite da una famiglia che mi spiega storia, geografia, politica ed usi e costumi del loro paese – regalandomi anche qualche informazione sul resto del continente. Ho incontrato Alejandra, Melissa e Caro su Couchsurfing, una piattaforma che permette a chi ha un divano libero di ospitare i viaggiatori come me, in cerca di un contatto immediato ed autentico con la realtà locale. È grazie a loro che comincio a familiarizzare con le dinamiche latinoamericane e quando, dieci giorni dopo, lascio la loro casa per incamminarmi verso sud, sono molto più tranquillo e pronto ad affrontare i 7000km che mi separano da Santiago del Cile, la meta di questo continente.

Prima di scendere, però, mi concedo 250km di passeggiata a nord, alla volta di Otavalo, Ibarra e Cayambe, nel pieno delle Ande Ecuatoriane. Le ragazze me ne avevano parlato con occhi sognanti, quindi decido di esplorare la regione. Ad un paio di giorni di cammino da Quito, il paesaggio cambia, lasciando emergere colossi di quattro e cinquemila metri di fianco alla strada: sono il ghiacciaio Cayambe ed il picco Imbabura. Le Ande cominciano a stregarmi e mentre giro lentamente attorno all’Imbabura – mi ci vogliono quasi due settimane – faccio conoscenza dell’ospitalità e della cucina andina, un mix di patate, yuca e stranezze come il porcellino d’india! Scavallo un paio di volte il parallelo zero, poi torno verso Quito e proseguo il cammino verso il vulcano Pululahua, dove mi fermo a campeggiare. Lo sapevate che è uno degli unici due vulcani al mondo con un villaggio al suo interno? Nel gigantesco cratere regna una pace immensa, i contatti con l’esterno sono ridotti al minimo: l’unica strada che scende al pueblo non è asfaltata e le reti cellulari non prendono. È un posto perfetto per stare con se stessi.

Lascio il vulcano una settimana dopo, con una vena di malinconia, ma sento che il cammino mi chiama. Comincio la vera e propria discesa, passando da 2800 metri al livello del mare in pochi giorni, fino a toccare l’oceano stesso, all’altezza di Manta, il porto sul Pacifico più grande del paese. Qui un violento mal di stomaco frutto di un ceviche non proprio fresco mi blocca per qualche giorno; è la prima volta che sto veramente male da quando sono partito e tutto sommato fino ad allora mi era andata di lusso. Fortunatamente ho un posto dove stare, così in un paio di giorni riesco a recuperare le forze e ripartire.

Piano piano, cammino lungo la costa, scendendo la Ruta del Spondylus. La strada prende il nome dall’omonima conchiglia, lo Spondylus, che nell’America precolombiana aveva una valenza sacra. Quando cambiava il clima e si avvicinava la stagione delle piogge, questa conchiglia arrivava alla costa, segnando l’inizio della stagione della fertilità – dunque, nuova vita. Ancora una volta, sono stupito dall’ospitalità ecuatoriana: quando chiedo se posso mettere la tenda nei pressi di una casa, la risposta affermativa arriva già al primo, massimo secondo tentativo. Il Manabi – così si chiama questa regione – è famoso anche per la cucina. A parte il ceviche, che ora evito con gran attenzione, qui si prepara l’encebollado, una sorta di zuppa di cipolle, pesce e… Arachidi! Il frutto viene messo un po’ in tutti i piatti e dopo l’iniziale perplessità, l’abbinamento mi conquista. 

Arrivato a Santa Elena, giro verso est alla volta di Guayaquil, seconda città del paese. Per qualche giorno mi accoglie Marcelo, conosciuto durante l’Erasmus in Spagna. Mentre chiacchieriamo di fronte all’ennesima, squisita zuppa di pesce, mi dice che alle Galapagos stanno vaccinando in massa. Potrei avere un’opportunità, magari qualcuno rinuncia e rimangono dosi disponibili. L’idea mi alletta e ovviamente un giro alle Galapagos dev’essere tutto fuorché brutto. Marcelo mi informa che parte della sua famiglia è lì e che potrebbe ospitarmi per tutta la permanenza. Non ci penso più di tanto: il pomeriggio stesso prenoto il volo per le isole. Prima di andarci, però, passo da un’altra vecchia conoscenza, Juan Pablo, incontrato in Australia mentre lavoravo a Melbourne. La sua famiglia, neanche a dirlo, mi accoglie come un figlio e sento di essermi definitivamente e perdutamente innamorato di questa terra e delle sue genti. Il padre, Pablo, mi passa una lista di piatti nazionali che devo assolutamente provare. Scorro l’elenco assieme a lui, spuntando i cibi già provati. Con una nota di orgoglio, concludo di essere oltre la metà e Pablo si propone di aiutarmi facendomi provare altre specialità finché sono a casa loro.

Debitamente rifocillato, prendo il volo per San Cristobal, Galapagos. Dopo essermi installato a casa di Vilma, Alejandra e Rosalia, vado a fare la coda per il vaccino, ma ricevo un due di picche. Fortunatamente, il giorno successivo ha un lieto fine e riesco a vaccinarmi. Per ricevere la seconda dose la permanenza sull’isola si allunga a  quattro settimane, cambiando ancora una volta i piani che avevo in mente. Poco male, ho tempo di recuperare le forze e quando torno sulla terraferma sono pronto per ripartire verso il Perù. Attraverso la provincia di El Oro, una gigantesca piantagione di banane a perdita d’occhio, e giungo a Zaruma. Da qui, scendo verso il confine di Lalamor, dove giungo a metà luglio. Nel frattempo, il visto ecuatoriano è scaduto ed il suo rinnovo mi ha fatto riflettere sul leitmotif di questo viaggio: la lentezza. 

Pensavo di fermarmi in Ecuador un mese, il tempo di attraversarlo lungo 1000km di cammino. Ora che ne esco, mi guardo indietro e vedo quattro mesi e decine di storie che hanno arricchito un percorso molto più intenso di quanto potessi immaginare. Ci sarebbero decine di storie da raccontare: il piacere di scambiare quattro chiacchiere nella nostra lingua con i ragazzi di Operazione MatoGrosso incontrati lungo la costa manabita; la disponibilità di Christian prima e Luca poi, che mi danno un tetto durante i weekend di lockdown totale; i consigli di Jilmar, che portano un cambiamento radicale nella distribuzione delle energie durante le giornate di cammino; le creme al mentolo di Ianela e Pato, che ancora oggi, in Perù, alleviano la tensione dei tendini stressati. 

La lentezza è stata la chiave per scoprire le persone che hanno arricchito questo viaggio, rendendolo un’esperienza ricca di insegnamenti e ricordi piuttosto che una guida turistica dei posti più belli dell’Ecuador. Mi avvicino al Perù grato per le settimane passate qui, un tempo meraviglioso che mi ha portato ad innamorarmi sinceramente di queste terre.

Il giro del mondo a piedi prosegue alla volta del Perù, il cui confine terrestre è ancora chiuso… Come farò ad attraversarlo?

Se volete camminare con me attorno al mondo, seguite @pieroad____ su Instagram!”

Nicolò, laureato in Economia aziendale
Instagram: @pieroad____

Proudly powered by WordPress | Theme: Baskerville 2 by Anders Noren.

Up ↑