La filosofia per i bambini: aspetti essenziali per il ben-essere di ciascuno

“Mi chiamo Sara, ho 36 anni e a dicembre scorso mi sono laureata in Scienze della Formazione Primaria con una tesi intitolata “Philosophy for Children: una pratica per la Comunità di Ricerca nella scuola primaria”. Dire in poche parole cosa sia la Philosophy for Children non è cosa facile. La P4C è stata definita una “forma di vita”, unica e indicibile, un luogo da abitare quindi più che un oggetto da descrivere. Per questo ritengo più facile raccontare cosa sia stata questa esperienza formativa.

Innanzitutto, la Philosophy for Children rappresenta per me un approccio per curare aspetti che considero essenziali nella vita e nel ben-essere di ciascuno: l’empatia, la padronanza delle emozioni, la loro espressione, la capacità di credere in sé, di gestire le relazioni, l’amore e l’affetto. Per chi come me ha potuto incontrare e conoscere il mondo dell’infanzia sa come questi valori influenzino enormemente la crescita e gli apprendimenti. Le strade della mia vita mi hanno condotta in diversi modi alla vicinanza con bambini e adolescenti: durante l’anno di servizio civile, all’interno di associazioni di volontariato e nel mio lavoro come educatrice in una comunità familiare. Da queste esperienze ho imparato ad apprezzare il valore di un contesto di cura come motore di cambiamento individuale; la centralità della condivisione e del dialogo, come gioco a somma positiva; l’importanza di offrire ai bambini competenze autonome, critiche, riflessive. Negli anni, ho maturato la consapevolezza di voler dedicarmi all’insegnamento, riconoscendo l’importanza della figura del maestro nella vita del bambino, la sua vicinanza prolungata nelle giornate e negli anni cruciali per lo sviluppo. Fu proprio nel percorso di studi di Scienze della Formazione Primaria che conobbi il metodo della Philosophy for Children, dell’americano Matthew Lipman. Da subito mi sono scoperta affine al pensiero di questo autore, che spese la sua vita a impostare un innovativo curricolo scolastico. Ripensando con commozione ai momenti di convivialità trascorsi con i giovani, mi chiedevo se non avessi, in piccola parte, praticato anch’io la P4C, sognando come, forse, la passione dell’autore, raccolto nello studio della sua casa di Montclair, fosse stata simile alla mia. Così, iniziai le mie ricerche, partecipando ad alcune sessioni di P4C con adulti, nel contesto universitario padovano, e soprattutto con bambini, in una scuola primaria di Verona. Quello che osservavo era un potente strumento che garantisce pari opportunità all’interno del gruppo nell’esposizione delle proprie idee, una tecnica per sviluppare competenze espressive e relazionali, che favorisce i momenti di riflessione e le situazioni comunicative autentiche. Il dialogo maieutico ispirato a Socrate costituisce l’attività centrale di una sessione di P4C, che può diventare quindi il luogo dove i bambini interiorizzano l’etica del dialogo, imparando a pensare con la propria testa, a ragionare criticamente e creativamente. Il bambino che cresce e si forma in un contesto di democraticità non farà che riproporre lo stesso stile relazionale e comunicativo nella propria vita.

Nello scegliere l’argomento di tesi decisi di seguire il mio cuore, piuttosto che ragionare su quale professore fosse più disponibile, o di fare considerazioni pragmatiche sulle tempistiche di laurea. Ciò che contava era indagare un argomento di interesse, fare qualcosa che mi coinvolgesse e appassionasse. Una scelta che risultò condizionante nel determinare il tipo di insegnante che avrei voluto essere. Fu infatti durante il tirocinio di tesi sulla P4C che incontrai e lavorai assieme alla tutor Cosetta, una maestra motivata e scatenata che è per me modello di riferimento umano oltre che professionale. La sua carriera mi ha fatto capire come la P4C rappresenti un programma di formazione in primis per gli insegnanti coinvolti, un’occasione per ribaltare le modalità di conduzione frontale delle lezioni, la tanto obsoleta “trasmissività”. La scuola del terzo millennio necessita di riforme che infrangano in profondità vecchi e impliciti paradigmi. La P4C rappresenta un modo di apprendere circolare, democratico, collaborativo e co-costruito. Rappresenta uno “stile di vita” improntato alla ricerca e alla riflessività, che si fanno habitus del docente all’interno delle quotidiane azioni didattiche.

Ancora, il ruolo della P4C è stato estremamente valevole all’interno della Didattica a Distanza. Il setting digitale ha portato la P4C dentro alle case, nelle cucine e nelle camerette degli alunni. In un momento così tragico come quello della pandemia, che i bambini spesso hanno vissuto silenziosamente, la P4C ha rappresentato per loro uno spazio efficace di ascolto attivo e di auto-espressione, uno strumento per mantenere connessi gli alunni e le loro maestre, in uno spazio di dialogo e di cura, di rispetto e di comunione.

Frequentare il corso di SFP è stata una sfida immane: 6 anni di studi, tirocini sfiancanti, confronti, riflessioni sulla pratica di questo lavoro e su di me come persona. Il tutto continuando a lavorare nel sociale. La soddisfazione maggiore può ben dirsi quella di essere giunta al termine di un percorso tanto impegnativo. Una strada imboccata con leggerezza e quasi per sfizio, che ha condizionato in modo prepotente il mio futuro, così come, a volte, gli eventi più banali nelle nostre vite sono quelli che le influenzano maggiormente. Grazie a questa tesi di laurea ora ho vinto un concorso nazionale indetto dal CRIF, il Centro di Ricerca sull’indagine filosofica, che mi dà accesso ad una formazione estiva presso una “scuola di pratica filosofica”. Non posso non chiedermi quali strade questa esperienza ancora mi aprirà, come potrò spendere queste competenze. Nella vita facciamo tante esperienze, ciascuna colorata di sfumature calde o fredde, tenui o accese, dai toni cupi o vivaci.

Ognuna di esse ci aiuta a rivelarci ciò che siamo stati o siamo o vorremmo essere. Ogni incontro, ogni scelta, ogni caso può apparire oscuro perché le sue conseguenze ci sono ignote. Ma la vita, così come la P4C, ci insegna ad abitare con coraggio questo spazio, perché è il luogo della consapevolezza e della responsabilità.

Sara, laureata in Scienze della Formazione Primaria

Un giro del mondo…. a piedi|

“Mi chiamo Nico, vicentino annata ‘93, ed otto mesi fa sono partito per realizzare il mio sogno: fare il giro del mondo a piedi attraverso quattro continenti, in un viaggio di quattro anni lungo 35 mila chilometri.

Dopo essere partito da Vicenza il 9 Agosto del 2020, ho camminato attraversato Pianura Padana, Appennino Tosco-Emiliano e costa ligure fino a giungere al confine francese. Da Ventimiglia sono passato in costa azzurra, proseguendo il viaggio lungo la riserva della Camargue ed il Canal du Midi, un canale fluviale navigabile che collega mar Mediterraneo ed oceano Atlantico. A seguire, Lourdes ed i Pirenei, una delle tappe più dure, a 1600 metri in mezzo ad una bufera di neve. Nonostante il freddo ed il vento, sono arrivato in Spagna, percorrendo il Cammino di Santiago fino a Leon, città che mi ha ospitato durante l’Erasmus del terzo anno di studi presso UniVR. L’ultimo tratto europeo è stata la Via de la Plata, altro cammino della rete di Santiago, che da Leon mi ha portato a Palos de la Frontera, città dalla quale mi sono imbarcato per le Canarie alla ricerca di un passaggio in barca per le Americhe.

Dopo un mese di ricerche, sono riuscito a trovare un passaggio a bordo di un catamarano di 12 metri, il Tata, assieme al capitano australiano e a un ragazzo polacco. La traversata atlantica si è rivelata molto più lunga del previsto a causa di una fascia di bonaccia insolita per la stagione degli Alisei. Solitamente, infatti, la navigazione si conclude in tre settimane; l’equipaggio del Tata, invece, è approdato a St. Lucía (Caraibi) dopo 33 giorni in mezzo all’Oceano, più di un mese senza alcun contatto con il resto del mondo. Siamo rimasti nei pressi dell’isola per due settimane, prima di salpare nuovamente verso nord e spostarci ad Antigua. Qui, tuttavia, l’equipaggio si è sciolto e ho deciso di proseguire da solo alla volta di Panama, dove ho coronato un altro piccolo ma significativo pezzo del mio cammino: collegare gli Oceani Atlantico e Pacifico camminando per tutto l’istmo di Panama. In questo modo, è come se il cammino interrotto in Spagna fosse ripartito, senza interruzioni, dall’altro lato del mondo.

La prossima tappa riparte da Quito, capitale dell’Ecuador, e mi impegnerà per tutto il 2021: per arrivare a Santiago del Cile ci vorranno infatti circa dieci mesi perché la distanza da percorrere è di più di 6500km.

Dal Cile mi imbarcherò nuovamente, stavolta per l’Australia, che attraverserò da sud a nord tagliando a metà gli spazi sconfinati di terra rossa – l’Outback – che riempiono l’enorme stato australe. Sarà poi la volta dell’Asia, dalla Malaysia alla Thailandia giungendo a Bangkok e da lì in Birmania ed India. Mi dirigerò in Bangladesh per poi tornare nel subcontinente indiano, a New Delhi, e successivamente in Pakistan proseguendo lungo la Karakorum Highway, strada che attraversa l’omonima catena montuosa e passa in Cina a 4.700 metri, il punto più alto dell’intera spedizione.  Dopo un mese di cammino in Cina sarà la volta del Kirghizistan, dove seguirò la Via della Seta attraverso Samarcanda, Bukhara fino al Turkmenistan, ed Iran. Dall’antica Persia raggiungerò le coste del Mar Caspio attraversando l’Azerbaijan, la Georgia e la Turchia fino a Costantinopoli, dove ritornerò in Europa passando dalla Grecia e poi ancora a piedi, attraverso i Balcani per tornare a Malo, casa.

CAMMINARE AI TEMPI DEL COVID

Ho attraversato tre stati europei che attualmente versano in difficile situazione. Scegliendo di partire ad agosto, tuttavia, le prime settimane sono state più semplici da affrontare. In particolar modo, Italia e Francia non avevano ancora imposto lockdown, quindi non è stato difficile attraversarle. L’uso della mascherina si imponeva all’arrivo nei centri abitati più grossi, ma adottando queste misure di sicurezza il viaggio è proseguito tranquillamente. Non sono mancati gli incontri, né l’ospitalità da parte di persone conosciute lungo il cammino. La situazione è peggiorata con l’arrivo in Spagna, ad ottobre, ed i primi lockdown locali. Lungo il Cammino di Santiago diverse strutture di ricezione erano chiuse e gli spazi comuni come le cucine non potevano essere utilizzati. Anche così, tuttavia, sono riuscito a proseguire, alternando le notti negli ostelli rimasti aperti a quelle in tenda e condividendo con i pellegrini lungo il percorso il tratto di cammino comune. Ad inizio novembre, con il peggiorare della situazione, le tappe sono diventate più lunghe, con l’obiettivo di avvicinarsi al porto di Palos per lasciare il continente prima di un’eventuale lockdown totale in Spagna. A Las Palmas la situazione era migliore e quando nel continente sono ritornati i lockdown totali, in occasione delle festività natalizie, mi trovavo ormai a bordo del Tata, in mezzo all’Oceano, a sperimentare un isolamento del tutto diverso. Le regole incontrate ai Caraibi cambiavano di stato in stato: c’è chi chiedeva il test all’ingresso, chi predisponeva una quarantena. Per ora, comunque, il viaggio è potuto proseguire senza grossi intoppi e guardo speranzoso al 2021 come l’anno in cui la situazione potrebbe cominciare a tornare alla normalità.

IL VIAGGIO

Il viaggio durerà quattro anni, in un percorso di 35.000 km che chiamo “Il viaggio da casa a casa”, ispirandomi liberamente al periodo del Grand Tour quando giovani ragazzi viaggiavano lungo l’Europa per accrescere le loro conoscenze e tornare in patria per condividerle. Il progetto si chiama PIEROAD, ovvero “Pie” dal piede del dialetto veneto e “Road” la strada internazionale che percorro.

Se volete camminare con me attorno al mondo, seguite @pieroad____ su Instagram!”

Nicolò, laureato in Economia aziendale
Instagram: @pieroad____

La ricerca è vita ed è un lavoro di squadra

I latini ci hanno insegnato a declinare la scienza come conoscenza, ossia lo studio dettagliato e sistematico di ciò che esiste, che vive, dentro di noi e di ciò che ci circonda. Ma cosa vuol dire fare scienza? La conoscenza non può essere un atto meramente teorico, ma per essere viva ha bisogno di una realizzazione pratica, che si dispiega nelle relazioni interpersonali, nella condivisione, nella partecipazione, in ciò che definiamo comunemente esperienza umana. È dal connubio di questi due aspetti che prende forma e si alimenta lo spirito del nostro gruppo: la scienza è amica e deve avvicinare, e il nostro compito è quello di renderla vicina a tutti.

Spesso si è inclini a sottovalutare l’aspetto umano, ma al di là dei singoli esperimenti, delle tecniche di laboratorio innovative, dietro a quegli strumenti alle volte troppo sofisticati ci sono persone, vite e storie meravigliose da raccontare. E’ questo che rende speciale il nostro lavoro di gruppo; la nostra forza risiede proprio nella passione che mettiamo nell’ impegno quotidiano, senza mai perdere di vista il fine, il punto di caduta della nostra attività di ricerca, il bene dei pazienti. Ed è anche per questo motivo che il raggiungimento di obiettivi importanti come le diverse pubblicazioni sulle autorevoli riviste scientifiche sono da considerarsi il frutto di un lavoro di squadra e la piena espressione delle singole e peculiari competenze, in un lavoro armonioso e corale. 

La ricerca è vita e, come la vita, è un cammino non privo di ostacoli, di cadute, di sofferenze, ma fare ricerca nel nostro gruppo vuol dire anche incontrare braccia sempre aperte ad accogliere e mani sempre tese a rialzare chi è caduto. I risultati non si ottengono solo alla fine di un esperimento in laboratorio, ma durante e spesso prima di iniziarlo, perché la ricerca è un’attività continua e ininterrotta di singoli istanti, di piccole cose, dell’essenziale, ed è “dando” valore alle piccole cose che si possono fare cose grandi.

Gruppo di Ricerca di Ilaria Dando, Università di Verona
Instagram: @ilariadandolab

Il mio stage durante la pandemia: un’esperienza totale nonostante la distanza

“Nonostante qualche incertezza dettata dalla pandemia, il mio tirocinio di sei mesi all’Ufficio stampa dell’università è iniziato comunque lo scorso settembre svolgendosi totalmente a distanza. Il mio entusiasmo, però, non si è smorzato e, superata qualche paura ed ansia iniziale, sono riuscita a dare me stessa, imparando tantissimo. In questi sei mesi ho avuto l’opportunità di mettere in pratica la maggior parte delle nozioni apprese nella triennale di Scienze della Comunicazione, che ho svolto sempre a Verona, e dunque di addentrarmi nel campo del giornalismo vero e proprio.

Mi sono messa in gioco come mai avevo fatto nella mia vita.

È stata per me un’esperienza totale e completa nonostante la distanza e il virus incombente perché mi ha fatto veramente comprendere che il mondo dell’informazione è esattamente il campo in cui vorrei lavorare in futuro: scovare le notizie, gerarchizzarle, capirne l’importanza, controllare le fonti, seguire gli eventi, scrivere i pezzi su di essi e molto altro.

Ho condiviso questo percorso con le mie colleghe stagiste con cui mi sono confrontata, dandoci supporto reciproco riguardo la stesura dei pezzi, tra problemi di connessione, riunioni Zoom, gruppi WhatsApp e scambi di e-mail: ci siamo adattate, vivendo lo stage formativo e sfruttandolo a pieno. Non mi sono abbattuta quando ciò che scrivevo o facevo, soprattutto nella fase iniziale, non andava bene, leggendola nell’ottica di una risorsa per un miglioramento.

La mia esperienza si è conclusa, ma ricorderò e non smetterò di allenarmi e di osservare ciò che leggo e scrivo con occhio critico, come mi è stato insegnato, mettendomi sempre anche nei panni del lettore.”

Paola, studentessa di Editoria e Giornalismo
Instagram: @paolina.96

La mia esperienza con l’OCD – Obsessive Compulsive Disorder

“Mi chiamo Irene, ho 22 anni e soffro di DOC – Disturbo Ossessivo Compulsivo (OCD). Dopo due anni di terapia cognitivo-comportamentale con una specialista del centro “Dritto al Punto” di Verona e grazie al supporto farmacologico del mio psichiatra, posso dire di aver superato questo brutto mostriciattolo. Ovviamente il mio cervello resta lo stesso, le connessioni non sono magicamente scomparse, ma grazie alla cassetta degli attrezzi che ho costruito durante questo percorso mi sento pronta a scoprire il mondo e vivere la mia vita secondo le mie regole.

Sono fiera di me stessa, del lavoro svolto e del supporto che ho ricevuto dalla mia famiglia e dai miei amici. Sono grata di avere avuto la possibilità di affrontare e superare questa crisi e di avere l’opportunità di viaggiare nel bellissimo pianeta in cui viviamo.

Vorrei condividere questo messaggio con tutte le persone che, come me, devono convivere e imparare a gestire questo disturbo: sappiate che non siete sole.

Spero che la mia testimonianza possa raggiungere molte persone, per questo ho realizzato un video in cui racconto la mia esperienza personale che spero possa essere condiviso il più possibile.

Buona vita a tutte e tutti!

P.S. Nel video non menziono tipologia di farmaci né dosaggi o altro. Non voglio in nessun modo classificare il disturbo perché sono perfettamente consapevole della vastità della casistica, ma voglio semplicemente raccontare la mia esperienza personale. Non voglio in nessun modo dare una “ricetta segreta” per superare il disturbo, perché oltretutto la ricetta non esiste! Ognuno di noi è unico, non paragonabile agli altri. Ogni storia è preziosa e merita di essere condivisa.”

Irene, studentessa di Logopedia
Instagram: @__irene.22

Fare meglio, o almeno fare la nostra parte

“L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha coinvolto tutti da vicino, aprendo molte riflessioni sulla realtà che sperimentiamo ogni giorno.

La necessità di rifiutare un cieco individualismo ci è apparsa più che mai urgente e la grande lezione che secondo noi il Covid-19 ha portato con sé è che nessuno si salva da solo, ma è piuttosto l’attenzione per il prossimo, il tutelarne le sue debolezze, il più grande gesto d’amore per gli altri e per se stessi.

Partendo da queste riflessioni abbiamo voluto partecipare alla sfida lanciata dall’Università LUMSA per la sensibilizzazione dei giovani all’adozione di comportamenti corretti per la prevenzione del Covid-19.

Troppo spesso abbiamo sentito parlare di giovani e di studentesse e studenti con toni poco incoraggianti, soprattutto nell’ultimo anno, ma noi ci siamo!

Non abbiamo certo l’arroganza di pensare di essere davvero migliori rispetto alle altre generazioni, ma sicuramente siamo pronti a fare la nostra parte, per questo abbiamo voluto metterci in gioco con questo concorso.

Abbiamo partecipato nella categoria campagna social media con un messaggio semplice: “l’amore è una questione di sguardi”.

L’idea è quella di comunicare l’importanza dell’uso della mascherina, senza la sua diretta rappresentazione grafica, ma focalizzandoci sul fatto che basti uno sguardo per trasmettere un’emozione: “Guarda agli altri, vedi il prossimo, attribuiscigli la giusta importanza e con amore proteggilo, perché non è altro che lo specchio di te stesso.”

Ai fini di coinvolgere il target Millenials e Gen Z e rendere la campagna “instagramabile” abbiamo utilizzato alcuni dei più famosi volti del mondo dell’arte a cui abbiamo aggiunto il nostro messaggio.

Orgogliose di aver rappresentato il nostro Ateneo e che il nostro sia stato uno dei progetti vincitori, ci teniamo a congratularci con tutti i colleghi delle altre università che hanno ottenuto con noi questo riconoscimento e ci auguriamo di riuscire sempre a fare la nostra parte!”

Michela, Anna e Michela, studentesse di Marketing e comunicazione d’impresa
Instagram: @michela_agus @annawhale @michizantedeschi

Credete sempre nella potenza dei vostri sogni

“Tre anni fa ho intrapreso la carriera universitaria in Scienze e Tecnologie Viticole ed Enologiche all’Università degli Studi di Verona.

Iniziare un nuovo percorso, qualsiasi esso sia, può significare andare incontro a ostacoli e difficoltà. Infatti così è stato: non riuscivo a passare i primi esami, alcuni ho dovuto farli più e più volte. Sono arrivata a un punto in cui pensavo di arrendermi, convincendomi di non essere all’altezza di un percorso universitario.

Complice il tempo e la motivazione acquisita ascoltando i racconti dei miei amici universitari, mi sono convinta a proseguire e concludere quello che oggi reputo il mio tanto amato e sudato percorso di studi.

La vita, si sa, ci mette continuamente alla prova, in qualsiasi ambito noi ci troviamo, che sia scolastico, familiare o professionale. Sta a noi però, con le nostre forze, riuscire a proseguire durante questo lungo percorso fatto di sfide.

Ho deciso dunque di affrontare gli esami, uno ad uno, con il massimo impegno ed al massimo delle mie capacità.

Questa forza interiore mi ha portato così a concludere la mia carriera con il massimo dei voti: 110 e lode.

Appena il Presidente della Commissione ha pronunciato questo esito non credevo alle mie orecchie, ho pensato solo: CHE BELLO! LO RIFAREI ALTRE MILLE VOLTE!

Consiglio a tutte le persone di non arrendersi, perché in ognuno di noi risiede una forza e una determinazione tale da poter raggiungere i propri obiettivi, qualsiasi essi siano.

Siamo giovani, abbiamo dei sogni, ed è bello continuare a sognare, ma per farlo bisogna credere in se stessi.

Questo percorso non è stato solo una possibilità di acquisire nozioni tecniche e professionali, ma è servito per credere in me stessa, in quanto mi ha insegnato a non arrendermi, perché una sconfitta non è un fallimento.

Raggiungere i propri obiettivi è la cosa migliore al mondo. Ti porterà davanti allo specchio, ti guarderai e con tutto l’amore che hai vedrai te stessa/o felice, felice per davvero.

Ed io mi sento esattamente così.”

Giulia, neolaureata in Scienze e Tecnologie Viticole ed Enologiche
Profilo Instagram: @reanigiulia

CyberChallenge? Un’esperienza che consiglio a tutte e tutti

“Sono Alessandro e vorrei raccontarvi della mia partecipazione alla CyberChallenge, dove l’Univr si è classificata terza grazie alla mia squadra.

Il progetto vede una prima fase di lezioni e poi una sfida, opportunità che consentono di toccare con mano tutte le nozioni che altrimenti resterebbero solo sui libri: ho pensato di raccontarvi questa esperienza tramite un breve video.

Che aspettate? Iscrivetevi alla prossima edizione della CyberChallenge, c’è tempo fino a gennaio!”

Alessandro, studente di Informatica
Instagram: @alessandro.righi_

Il vantaggio di avere dei titoli che valgono doppio

“Sono assegnista di ricerca in Filosofia Morale presso il Dipartimento di Scienze Umane, ed ho avuto l’occasione di partecipare ad un importante evento grazie alla mia esperienza universitaria.

L’evento per il quale sono stata coinvolta, organizzato dall’Ambasciata tedesca a Roma, consisteva in un panel virtuale tra Nunzia Catalfo, Ministra del Lavoro per il Governo italiano, e Hubertus Heil, Ministro del Lavoro per il governo tedesco, sulla tema della migrazione del lavoro in Europa dal punto di vista italo-tedesco. 

Sono stata invitata ad intervenire con un breve video, riportando la mia esperienza di studio e ricerca tra Italia e Germania: una laurea magistrale a doppio titolo e un dottorato a titolo congiunto.

L’evento si è tenuto in diretta streaming, credo che la mia video-testimonianza possa riassumere al meglio quella che è stata la mia esperienza italo-tedesca.

Buona visione!”

Giulia, assegnista di ricerca al Dipartimento di Scienze Umane
Instagram: @giulia.battistoni.90

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