La ricerca è vita ed è un lavoro di squadra

I latini ci hanno insegnato a declinare la scienza come conoscenza, ossia lo studio dettagliato e sistematico di ciò che esiste, che vive, dentro di noi e di ciò che ci circonda. Ma cosa vuol dire fare scienza? La conoscenza non può essere un atto meramente teorico, ma per essere viva ha bisogno di una realizzazione pratica, che si dispiega nelle relazioni interpersonali, nella condivisione, nella partecipazione, in ciò che definiamo comunemente esperienza umana. È dal connubio di questi due aspetti che prende forma e si alimenta lo spirito del nostro gruppo: la scienza è amica e deve avvicinare, e il nostro compito è quello di renderla vicina a tutti.

Spesso si è inclini a sottovalutare l’aspetto umano, ma al di là dei singoli esperimenti, delle tecniche di laboratorio innovative, dietro a quegli strumenti alle volte troppo sofisticati ci sono persone, vite e storie meravigliose da raccontare. E’ questo che rende speciale il nostro lavoro di gruppo; la nostra forza risiede proprio nella passione che mettiamo nell’ impegno quotidiano, senza mai perdere di vista il fine, il punto di caduta della nostra attività di ricerca, il bene dei pazienti. Ed è anche per questo motivo che il raggiungimento di obiettivi importanti come le diverse pubblicazioni sulle autorevoli riviste scientifiche sono da considerarsi il frutto di un lavoro di squadra e la piena espressione delle singole e peculiari competenze, in un lavoro armonioso e corale. 

La ricerca è vita e, come la vita, è un cammino non privo di ostacoli, di cadute, di sofferenze, ma fare ricerca nel nostro gruppo vuol dire anche incontrare braccia sempre aperte ad accogliere e mani sempre tese a rialzare chi è caduto. I risultati non si ottengono solo alla fine di un esperimento in laboratorio, ma durante e spesso prima di iniziarlo, perché la ricerca è un’attività continua e ininterrotta di singoli istanti, di piccole cose, dell’essenziale, ed è “dando” valore alle piccole cose che si possono fare cose grandi.

Gruppo di Ricerca di Ilaria Dando, Università di Verona
Instagram: @ilariadandolab

Dopo le mie ricerche sul campo in Nuova Caledonia ho vinto una borsa post-doc al Musée du Quai Branly di Parigi

“Sono un dottore di ricerca in Antropologia. Ho seguito i miei studi universitari presso la Sapienza di Roma, poi grazie a una borsa di studio offerta dall’Università di Verona, dipartimento Culture e Civiltà, ho potuto frequentare il Corso di Dottorato inter-ateneo in Studi Storici, Geografici e Antropologici che lega le università di Verona, Padova e Venezia. Questa esperienza è stata per me molto formativa poiché mi ha permesso non solo di interagire con colleghi di altre discipline, ma anche di intraprendere proficui scambi con studiose e studiosi esperti dell’Oceania, grazie all’interesse ormai consolidato dell’Università di Verona verso il Pacifico (ESfO 2008, Convenzione con l’Université de la Nouvelle-Calédonie e con il Musée de la Nouvelle-Calédonie, e vari progetti di ricerca).

Dal 2015 lavoro infatti in Nuova Caledonia, un arcipelago nell’Oceano Pacifico. Si tratta di un territorio francese sui generis iscritto da più di trent’anni in un complicato ma irreversibile processo di decolonizzazione. Ho svolto la maggior parte della mia etnografia a Wëté, un villaggio sulla catena montuosa centrale della Grande Terre (l’isola principale dell’arcipelago). I miei studi si sono interrogati sulla condizione della gioventù kanak (il popolo autoctono), al centro delle attuali politiche pubbliche e del dibattito sul futuro del paese. La jeunesse kanak è spesso stata il bersaglio di discorsi stereotipati che descrivono la gioventù indigena come delinquente, deviante e in preda a una completa perdita di punti riferimento identitari (e dunque incapace di gestire autonomamente il futuro del Paese). La mia ricerca di dottorato, incentrata sulle pratiche locali di trasmissione e valorizzazione del passato e sulle politiche culturali nazionali, ha messo in evidenza invece la creatività e la ricchezza delle pratiche giovanili e del loro intimo rapporto con il patrimonio e con la “tradizione”, mostrando come tali retoriche siano di parte.

Al mio ritorno in Italia, con il sostegno e la collaborazione della mia tutor, la professoressa Anna Paini (antropologa, oceanista), ho potuto organizzare diverse conferenze scientifiche: non solo siamo riusciti a invitare diversi ospiti internazionali, ma abbiamo anche sperimentato nuove forme di condivisione come la giornata seminariale interdisciplinare tenutasi nell’aprile del 2019, che ha coinvolto più dipartimenti dell’ateneo e ha permesso di ospitare dieci giovani ricercatori e ricercatrici kanak che hanno dato vita a un originale scambio. Uno dei momenti più significativi della mia esperienza di dottorato!

Grazie all’accordo già esistente tra Univr e Université Aix-Marseille, ho potuto poi essere accolto per due mesi presso il Centro di Ricerca e Documentazione sull’Oceania (CREDO) e partecipare, insieme alla prof. Anna Paini all’organizzazione del prossimo convegno ESfO (European Society for Oceanists) che si terrà nel 2022 in Corsica.

Questa ricca esperienza si è felicemente conclusa nel settembre 2020, quando ho ufficialmente ricevuto il titolo di dottore in Antropologia (con lode!)… ma ne è subito iniziata un’altra.

Durante il periodo del lockdown, mentre cercavo di concludere la stesura della tesi e pensavo con terrore al mio futuro prossimo, ho provato a partecipare al bando per la prestigiosa borsa di ricerca offerta dal Musée du Quai Branly di Parigi con un progetto intitolato “Le Kaneka de Nouvelle-Calédonie: circulation de connaissances et réveil de consciences”. A giugno ho scoperto di essere stato ammesso tra i finalisti. Ho sostenuto il colloquio orale con il cuore in gola, davanti a una commissione composta da 20 esperti. Per me quello era già un traguardo.

La bella notizia è quindi giunta inaspettatamente: ero stato selezionato tra i cinque vincitori, e ho subito iniziato a pensare al trasloco in Francia. Malgrado il Covid-19, che forse non mi permetterà di ritornare sul campo, sono molto felice di avere avuto la rara opportunità di continuare a fare ricerca in una istituzione museale specializzata nell’antropologia.

Lo auguro a tutti e a tutte!”

Matteo, Dottore di Ricerca in Antropologia

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