Dopo le mie ricerche sul campo in Nuova Caledonia ho vinto una borsa post-doc al Musée du Quai Branly di Parigi

“Sono un dottore di ricerca in Antropologia. Ho seguito i miei studi universitari presso la Sapienza di Roma, poi grazie a una borsa di studio offerta dall’Università di Verona, dipartimento Culture e Civiltà, ho potuto frequentare il Corso di Dottorato inter-ateneo in Studi Storici, Geografici e Antropologici che lega le università di Verona, Padova e Venezia. Questa esperienza è stata per me molto formativa poiché mi ha permesso non solo di interagire con colleghi di altre discipline, ma anche di intraprendere proficui scambi con studiose e studiosi esperti dell’Oceania, grazie all’interesse ormai consolidato dell’Università di Verona verso il Pacifico (ESfO 2008, Convenzione con l’Université de la Nouvelle-Calédonie e con il Musée de la Nouvelle-Calédonie, e vari progetti di ricerca).

Dal 2015 lavoro infatti in Nuova Caledonia, un arcipelago nell’Oceano Pacifico. Si tratta di un territorio francese sui generis iscritto da più di trent’anni in un complicato ma irreversibile processo di decolonizzazione. Ho svolto la maggior parte della mia etnografia a Wëté, un villaggio sulla catena montuosa centrale della Grande Terre (l’isola principale dell’arcipelago). I miei studi si sono interrogati sulla condizione della gioventù kanak (il popolo autoctono), al centro delle attuali politiche pubbliche e del dibattito sul futuro del paese. La jeunesse kanak è spesso stata il bersaglio di discorsi stereotipati che descrivono la gioventù indigena come delinquente, deviante e in preda a una completa perdita di punti riferimento identitari (e dunque incapace di gestire autonomamente il futuro del Paese). La mia ricerca di dottorato, incentrata sulle pratiche locali di trasmissione e valorizzazione del passato e sulle politiche culturali nazionali, ha messo in evidenza invece la creatività e la ricchezza delle pratiche giovanili e del loro intimo rapporto con il patrimonio e con la “tradizione”, mostrando come tali retoriche siano di parte.

Al mio ritorno in Italia, con il sostegno e la collaborazione della mia tutor, la professoressa Anna Paini (antropologa, oceanista), ho potuto organizzare diverse conferenze scientifiche: non solo siamo riusciti a invitare diversi ospiti internazionali, ma abbiamo anche sperimentato nuove forme di condivisione come la giornata seminariale interdisciplinare tenutasi nell’aprile del 2019, che ha coinvolto più dipartimenti dell’ateneo e ha permesso di ospitare dieci giovani ricercatori e ricercatrici kanak che hanno dato vita a un originale scambio. Uno dei momenti più significativi della mia esperienza di dottorato!

Grazie all’accordo già esistente tra Univr e Université Aix-Marseille, ho potuto poi essere accolto per due mesi presso il Centro di Ricerca e Documentazione sull’Oceania (CREDO) e partecipare, insieme alla prof. Anna Paini all’organizzazione del prossimo convegno ESfO (European Society for Oceanists) che si terrà nel 2022 in Corsica.

Questa ricca esperienza si è felicemente conclusa nel settembre 2020, quando ho ufficialmente ricevuto il titolo di dottore in Antropologia (con lode!)… ma ne è subito iniziata un’altra.

Durante il periodo del lockdown, mentre cercavo di concludere la stesura della tesi e pensavo con terrore al mio futuro prossimo, ho provato a partecipare al bando per la prestigiosa borsa di ricerca offerta dal Musée du Quai Branly di Parigi con un progetto intitolato “Le Kaneka de Nouvelle-Calédonie: circulation de connaissances et réveil de consciences”. A giugno ho scoperto di essere stato ammesso tra i finalisti. Ho sostenuto il colloquio orale con il cuore in gola, davanti a una commissione composta da 20 esperti. Per me quello era già un traguardo.

La bella notizia è quindi giunta inaspettatamente: ero stato selezionato tra i cinque vincitori, e ho subito iniziato a pensare al trasloco in Francia. Malgrado il Covid-19, che forse non mi permetterà di ritornare sul campo, sono molto felice di avere avuto la rara opportunità di continuare a fare ricerca in una istituzione museale specializzata nell’antropologia.

Lo auguro a tutti e a tutte!”

Matteo, Dottore di Ricerca in Antropologia

Ero in Francia durante il Covid e ho scelto di tornare a casa: è stato come un uragano che ha scosso qualsiasi certezza

Mi sono laureata alla triennale a novembre 2019 e per la magistrale ho pensato di partecipare al programma Erasmus per un semestre: una sorta di regalo, un’esperienza all’estero che tanto avevo sognato. Quando ho saputo di essere stata presa in Francia, precisamente in Bretagna a Rennes, ero contentissima!  

Sono partita l’8 gennaio, ho fatto tappa a Parigi per un paio di giorni e in seguito, il 12 gennaio, sono arrivata ufficialmente a Rennes. Quest’esperienza è iniziata in maniera strepitosa: tantissime nuove amicizie con persone provenienti da qualsiasi nazione, moltissimi viaggi, escursioni organizzate e tantissimi confronti a livello culturale che mi hanno arricchita moltissimo.  

Ad un certo punto, però, questa avventura Erasmus cambia.  

Erano trascorsi circa due mesi, quando la mia esperienza all’estero inizia a prendere una piega diversa. Verso la fine di febbraio arriva una notizia: in Italia erano stati registrati i primi casi di Covid-19. In Francia la situazione era diversa, perché in quelle settimane non c’erano ancora stati dei contagi. Ricordo quelle settimane e i sentimenti contrastanti che continuamente si presentavano: cosa stava accadendo nel mio Paese? Noi italiani in Erasmus avevamo forse più timore di tutti gli altri ragazzi, poiché stavamo vivendo l’inizio della pandemia tramite i racconti dei nostri familiari, dei nostri amici, dei nostri legami più cari.  

Dopo qualche settimana dalle prime notizie tutto ciò che stava accadendo in Italia, che avevo vissuto indirettamente, cominciò piano piano a verificarsi anche sotto ai miei occhi. Ricordo giovedì 12 marzo, quando annunciarono che anche in Francia tutte le università sarebbero rimaste chiuse dal lunedì successivo. Quel weekend andai a restituire i libri presi in prestito dalle biblioteche dell’Università e cercai di bloccare tutti gli abbonamenti di cui stavo usufruendo. Arriva quindi il lunedì e le università chiudono. 

A poco a poco le restrizioni aumentavano e i dubbi su cosa fare o non fare crescevano di giorno in giorno. Io, assieme ad altri italiani che avevo conosciuto, alloggiavo nella residenza universitaria dove c’era una cucina in comune. Ogni giorno le domande erano sempre più frequenti: partire o non partire? Oppure rimanere? Il viaggio? I contagi? Tantissimi erano i dubbi che, giorno dopo giorno, si sovrapponevano nei nostri pensieri. 

 Molti ragazzi di altre nazionalità sono stati rimpatriati subito. A noi italiani, invece, è stato chiesto di scegliere. Così iniziai a valutare entrambe le opzioni, ovvero rimanere o partire, continuando a monitorare la situazione. Ricordo le chiamate all’Ambasciata, alla Farnesina e soprattutto ai familiari preoccupati. Piano piano la scelta iniziale che ci era stata offerta ha assunto un altro significato, perché i mezzi per rientrare in Italia diminuivano di giorno in giorno. Rennes si trova nel Nord-Ovest della Francia e dista circa un’ora e mezza di treno da Parigi. Cercai un volo per il rimpatrio, ed era garantito (da Parigi a Roma-Fiumicino e da Roma-Fiumicino a Milano Malpensa), ma i treni e qualsiasi altro mezzo per arrivare a Parigi si riducevano sempre di più e le restrizioni alla circolazione aumentavano.  

Iniziò così una corsa contro il tempo per riuscire a prendere i mezzi ancora garantiti per tornare a casa. Il primo volo di rimpatrio, previsto per il 31 marzo, era garantito ma il treno per raggiungere Parigi (e di conseguenza l’aeroporto) venne cancellato. Chiamai quindi la compagnia aerea, che molto gentilmente riuscì ad anticiparmi il volo al 29 marzo.  

Arrivò quel giorno: erano le 19 quando finalmente arrivai a Milano Malpensa. Ricordo l’ultima parte del mio viaggio di ritorno, in autostrada da Milano verso Vicenza: la strada completamente vuota, deserta. Dopo aver trascorso i 15 giorni di auto-isolamento, obbligatori per chi rientrava da un Paese estero, sono tornata a vivere normalmente con la mia famiglia. L’università francese, molto disponibile, ha permesso a tutti gli studenti di terminare il programma Erasmus a distanza, di seguire le lezioni e di svolgere gli esami online. Sono così riuscita a terminare il programma dell’università francese.  

È stata un’esperienza che non mi sarei mai aspettata di affrontare, una sorta di uragano all’improvviso che ha scosso qualsiasi certezza, un repentino cambio di programmi e di progetti, e che mi ha fatto capire quanto a volte, molte cose che diamo per scontate, in realtà, possono cambiare velocemente. 

Erika, studentessa di Lingue per la comunicazione turistica e commerciale
Instagram: @erikavitomi

Proudly powered by WordPress | Theme: Baskerville 2 by Anders Noren.

Up ↑